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L’industria del libro, un disastro. Come la competizione dei media digitali sta schiacciando l’editoria

Il libro sarà ucciso da Netflix?

 

Una manciata di dati ci danno la misura della incredibile crescita di Netflix e dello streaming video nelle preferenze dei consumatori di prodotti culturali. 125 milioni di nuclei familiari nel mondo hanno un abbonamento a Netflix. Considerando che Netflix consente di condividere, per qualche euro in più al mese, un abbonamento fino a 4 utenti, si può tranquillamente moltiplicare per qualcosa questa già sbalorditiva cifra. Netflix consuma il 37% dell’intera banda di Internet, più del doppio del suo più prossimo concorrente, YouTube. Se mettiamo insieme i servizi di streaming video, succede che esso consuma il 76,3 per cento della banda globale in downstream. Però, il dato, forse più rilevante, è che il tempo trascorso su Netflix da una famiglia sfiora le due ore giornaliere. È grande parte del tempo libero di una persona. Quest’anno per la produzione di originals (film e serie TV) Netflix ha investito 13 miliardi di dollari, più di qualsiasi altro gruppo che opera nell’industria culturale. La società di Los Gatos punta al 100% del nostro tempo non lavorativo.

Dall’altra parte succede che il tempo che le persone possono dedicare al consumo di cultura non è aumentato nel corso degli anni. Speriamo che ce ne liberino un po’ i robot. Viene allora da chiedersi, a chi sta mangiando il pasto Netflix. Senz’altro ai libri. Lo sta mangiando perché, come non si stanca di ripetere Jeff Bezos, nel nuovo scenario digitale “i libri non competono soltanto con i libri. I libri competono con i videogiochi, la televisione, i film, Facebook, i blog, i siti gratuiti di notizie e tanto altro ancora”. È proprio cambiato lo scenario competitivo dei media. Una volta i media erano separati, ciascuno era per conto suo sul proprio canale di distribuzione. Un contenuto competeva solo con un contenuto affine. Oggi tutto è cambiato. Tutti i media sono insieme e competono nello stesso ambiente: uno schermo connesso a Internet.

Che Netflix stia mangiando davvero l’industria del libro ce lo dicono le statistiche del mercato più importante e predittivo, quello americano.

La fiction a picco

Dal 2012 al 2017, in appena cinque anni, la fiction ha perduto un quinto del proprio valore. Ad aggravare il quadro generale nel 2017 è successo che sono mancati i bestseller, che sono il vero e proprio motore dell’industria. Come l’industria del cinema hollywoodiana non esiste al di fuori dei blockbuster e dei sequel, così l’industria del libro di New York è poca cosa senza i bestseller e il drappello di autori che stravendono replicando uno dopo l’altro i successi e i contenuti che gli hanno fatto conquistare una base massiccia di consumatori fedeli.

In una recente intervista Jonathan Franzen, una delle grandi eccellenze della fiction letteraria globale, ha riferito che le vendite dei suoi libri dal 2002 sono in un rapporto inverso al successo di critica che hanno ottenuto. Il suo romanzo del 2001, Le correzioni, ha venduto 1,6 milioni di copie, ma l’ultimo apprezzatissimo lavoro, Purity, non è arrivato a 300 mila copie. Le analisi delle cause sarebbe lunga, ma al fondo c’è che la gente compra e legge sempre meno libri e quindi il problema che ha l’ecosistema del libro è quello di conquistare un nuovo pubblico, un pubblico che vive culturalmente sulla rete.

Fortunatamente, nel 2017, è stata proprio la non-fiction ad evitare il peggio grazie ai libri su Trump, che si rivela una sorta di benedizione per l’industria editoriale. Il libro di James Comey, ex-direttore FBI bruscamente licenziato da Trump, ha venduto 600 mila copie nella prima settimana, mentre Fire and Fury, del giornalista Michael Wolff bersagliato dai twitter di Trump, veleggia verso i 2 milioni di copie. Sono risultati impensabili per la non-fiction. Forse sono proprio le improbabili storie del controverso presidente americano, la fiction del momento. In fin dei conti, la sua presidenza non è un reality show ben sceneggiato?

E non è un caso che proprio un ex-presidente, Bill Clinton, si sia associato con l’autore campione assoluto d’incassi, James Patterson (350 milioni di libri venduti) per confezionare un thriller politico-istituzionale la cui prima tiratura ha superato il milione di copie. Chi sa se funzionerà da solo come iniezione di adrenalina nel corpo anemico della fiction.

L’immiserimento degli autori

Andiamo adesso nel Regno Unito dove un’associazione che tutela gli interessi degli autori ha condotto un’indagine sui ricavi di 5500 scrittori professionisti. Dal 2005 i loro ricavi hanno subito una flessione del 43% e l’introito medio annuo degli intervistati ha superato appena le 10mila sterline, un reddito che li colloca nell’area della povertà. Anche in questo ambito professionale si riproduce il gap nella distribuzione della ricchezza che affligge le economie terziarie. Pochi soggetti, gli scrittori bestseller, si appropriano della grande maggioranza delle risorse create dal business, lasciando a grande distanza la massa. Le conseguenze sono pesantissime per la cultura e l’industria della creatività. Sempre più scrittori dovranno cercare nuovi sbocchi come pennivendoli o omologarsi alla bestseller economy che respinge le idee più originali e innovative in una corsa mimetica che lascia parecchie vittime.

Barnes & Noble fallirà come Toys “Я” Us?

Barnes & Noble vale per l’ecosistema del libro quello che Lehman Brothers valeva per la finanzia. Il fallimento della più grande catena libraria del mondo può scatenare una crisi sistemica e consegnare tutto il settore all’e-commerce. Per questo Barnes & Noble è troppo importante per fallire. Ma è questa la strada sulla quale sembra indirizzato. Ha cambiato quattro amministratori delegati in cinque anni, nel 2008 un’azione di B&N valeva 20 dollari e oggi ne vale 5. Gli investitori vogliono che torni privata e si affidi a un fondo d’investimento. Una strada che è stato fatale a Toys “Я” Us, ma che ha funzionato con Dell. Ma l’impressione è che B&N somigli più alla prima che alla seconda.

Il problema è che B&N si trova in una vera e propria crisi identitaria. Per ora non ha un piano differente da quello di chiudere i negozi storici, licenziare i librai esperti ed aprire nuovi punti vendita dal concept molto incerto. Come scrive un osservatore molto attento dell’universo del libro negli Stati Unit, Alex Shepard, “Barnes & Noble ha a che fare con un problema grande e intrattabile: il caos. La sfida adesso è trovare la cosa che è mancata per troppo tempo: la stabilità”.

In mezzo a questo mare di cattive notizie ce n’è una buona.

Volano gli audiolibri

Mentre gli ebook dei grandi editori si confermano in calo brutale e competono con il libro nel collezionare segni negativi, sono proprio gli audiobook il fenomeno più esplosivo dell’industria. Come dice il book critic del New York Times, Alexandra Alter, sembrano gli ebook delle origini, quando il mercato cresceva di un terzo ogni anno. Il successo degli audiobook, che ha colto di sorpresa gli stessi operatori del settore, la dice lunga sulle nuove abitudini dei consumatori. Gli audiolibri, sono pur sempre dei libri e quindi una conferma che l’essenza del libro non è in crisi come la sua fenomenologia. Gli audiolibri, però, sono dei libri speciali nel formato e nel contenuto. Possono esser consumati insieme ad altre attività e quindi in condivisione di tempo, sono dei prodotti pensati per lo smartphone, ormai l’unico device portatile che si vede in mano ai consumatori quando non sono al televisore, e gli audiolibri dell’ultima generazione sperimentano dei nuovi formati narrativi, formati sempre più netflixiani.

Gli audiolibri indicano agli attori dell’industria del libro il percorso da seguire per traghettare l’industria nel digitale: porre i nuovi media in cima alle proprie strategie, innovare il contenuto per competere con Netflix, portare il contenuto innovativo al pubblico ripensando radicalmente il marketing. Il primo passo di questo lungo cammino è comunque per gli editori e i grandi autori quello di mettere da parte il pensiero che il problema sia Amazon, quando Amazon è una risorsa. Come dice Jeff Bezos “il problema degli editori non è Amazon, è il futuro”.

Tutto questo è molto più facile a dirsi che a farsi, ma c’è già qualcuno che lo sta facendo.

Un punto fermo però esiste in questa odissea. I libri continuano ad essere importanti nella dieta mediatica della gente e continueranno ad esserlo anche in futuro. Lo saranno ancor di più in un mondo sempre più complesso, frammentato e inspiegabile con le categorie di pensiero, che hanno guidato la comprensione della realtà che ci circonda. C’è ancora un pubblico che li vuole, li cerca ed è pronta ad accoglierli a fianco delle serie di Netflix. Meglio però se gli somigliano.

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