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Limiti elettromagnetici, 5G a rischio se l’Italia non si adegua all’Ue?

di Marco Scialdone, avvocato e docente Università Europea di Roma |

Dopo l’asta 5G, occorre prendere atto che i limiti di emissione elettromagnetica nel nostro Paese rischiano di rallentare lo sviluppo delle nuove reti, sia perché molto contenuti, sia perché la metodologia di calcolo utilizzata non è adeguata alle caratteristiche tecnologiche delle reti 5G. Nel mondo solo l’Italia e la Bulgaria hanno adottato un limite pari a 6 V/m, gli altri Stati si attestano in media su limiti che oscillano tra i 41 e i 58 V/m.

Lo sviluppo delle reti mobili di quinta generazione impone una rinnovata riflessione sulla tematica del c.d. inquinamento elettromagnetico ambientale e dei conseguenti limiti di emissione degli impianti di telefonia mobile che la normativa nazionale oggi impone.

L’Italia, unitamente a Cina, India, Polonia, Russia e Svizzera, presenta limiti significativamente più restrittivi rispetto a quelli individuati dalle linee guida ICNIPR (International Commission for Non-Ionizing Radiation Protection) o IEEE (Institute of Electrical and Electronics Engineers).

Secondo un recente studio dell’International Communication Union ciò determinerà, nei prossimi tre anni, l’impossibilità di soddisfare fino al 67% della domanda di traffico dati.

A livello comunitario non esistono atti normativi vincolanti per gli Stati Membri i quali restano, pertanto, liberi di adottare la regolamentazione ritenuta più opportuna.

L’apparato regolamentare cui si deve far riferimento, a livello europeo, consta infatti:

  • di una Risoluzione adottata nel 1994 dal Parlamento europeo e di una successiva Raccomandazione che il Consiglio europeo ha emanato nel 1999 relativa alla limitazione dell’esposizione della popolazione ai campi elettromagnetici da 0 Hz a 300 GHz (1999/519/CE);
  • delle Linee Guida ICNIRP del 1998 Guidelines for Limiting Exposure to TimeVarying Electric, Magnetic and Electromagnetic Fields (up to 300 GHz), riconfermate dallo stesso ICNIRP nell’agosto del 2009 nell’intervallo di frequenza 100 kHz – 300 GHz;
  • delle Linee Guida ICNIRP del 2010 Guidelines for Limiting Exposure to TimeVarying Electric and Magnetic Fields (1 Hz to 100 kHz);
  • delle Indicazioni dell’Agenzia Internazionale per la Ricerca sul Cancro (IARC) di valutazione della cancerogenicità dei campi elettromagnetici a radio frequenza (RF, da 30kHz a 300 Ghz).
  • del Rapporto dell’Agenzia Internazionale per la Ricerca sul Cancro (IARC) del giugno 2001 che ha inserito i campi magnetici a frequenze estremamente basse nel gruppo 2 B.

A livello nazionale, la materia ha trovato la sua regolamentazione nella legge 22 febbraio 2001, n. 36 recante “Legge quadro sulla protezione dalle esposizioni ai campi elettrici, magnetici ed elettromagnetici” la cui impostazione riflette il principio di precauzione di cui all’articolo 191 del Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea.

La legge attribuisce allo Stato le funzioni relative, tra l’altro, alla:

  • determinazione dei limiti di esposizione, dei valori di attenzione e degli obiettivi di qualità;
  • promozione di attività di ricerca e di sperimentazione tecnico-scientifica, nonché alle attività di coordinamento delle attività di raccolta, di elaborazione e di diffusione dei dati, informando annualmente il Parlamento;
  • istituzione di un catasto nazionale delle sorgenti fisse e mobili dei campi elettrici, magnetici ed elettromagnetici e delle zone territoriali interessate;
  • determinazione dei criteri di elaborazione dei piani di risanamento degli elettrodotti.

Con successivo D.P.C.M. dell’8 luglio 2003 sono stati fissati i limiti di esposizione e i valori di attenzione per la prevenzione degli effetti a breve termine e dei possibili effetti a lungo termine nella popolazione dovuti alla esposizione ai campi elettromagnetici generati da sorgenti fisse con frequenza compresa tra 100 kHz e 300 GHz.

La legge del 2001 ha istituito, altresì, un Comitato interministeriale per la prevenzione e la riduzione dell’inquinamento elettromagnetico che, tra le altre funzioni, annovera quelle della promozione di attività di ricerca e sperimentazione tecnico scientifica, nonché di coordinamento dell’attività di raccolta, elaborazione e diffusione dei dati, informando annualmente il Parlamento su tale attività.

Il Comitato è chiamato, tra le altre cose, ad esprimere il parere sui DPCM relativi alla definizione dei limiti di esposizione, dei valori di attenzione e degli obiettivi di qualità, delle tecniche di misurazione e rilevamento dell’inquinamento elettromagnetico.

L’insediamento del Comitato è avvenuto ufficialmente solo il 4 agosto 2015, dunque, a circa 14 anni di distanza dalla legge istitutiva.

L’ultima relazione al Parlamento disponibile è quella relativa all’anno 2016 nella quale si dà conto del fatto che “con riferimento ai limiti di emissione elettromagnetica resta attuale, come già in precedenza segnalato, l’opportunità di approfondire la soluzione normativa più idonea atta a conciliare le esigenze di sviluppo delle reti mobili di nuova generazione, con gli obiettivi di tutela radioprotezionistica della popolazione e salvaguardia dell’ambiente”.

Sulla predetta tematica si è assistito nel corso degli anni ad uno scontro tra i diversi livelli territoriali dello Stato, con una proliferazione di regolamenti comunali non di rado in contrasto con la normativa primaria.

I numerosi arresti giurisprudenziali intervenuti, consentono oggi di ritenere acclarato che “in tema di installazione di strutture operanti quali stazioni radio base per telefonia mobile, le funzioni legislative e amministrative relative alla determinazione dei limiti di esposizione alle onde elettromagnetiche sono attribuite allo Stato; rimangono, invece, di competenza delle Regioni le funzioni relative alla localizzazione dei siti di trasmissione e alla regolamentazione delle modalità procedimentali per il rilascio delle autorizzazioni; residua, infine, ai Comuni una mera potestà sussidiaria, che consente loro di adottare regolamenti finalizzati esclusivamente ad assicurare il corretto insediamento urbanistico e territoriale degli impianti, nonché volti a minimizzare, in conformità ed in attuazione alle direttive ed ai criteri introdotti dallo Stato e dalle Regioni, l’esposizione della popolazione ai campi elettromagnetici, restando invece esclusa ogni potestà normativa in ordine alla determinazione di criteri, maggiormente limitativi o rigidi, di valutazione della soglia di inquinamento elettromagnetico o alla introduzione di misure generali interdittive a contenuto igienico-sanitario e divieti all’installazione degli impianti all’interno di intere ed estese aree del proprio territorio, condotte, queste, che pregiudicherebbero il raggiungimento dei livelli essenziali delle prestazioni da garantirsi su tutto il territorio nazionale” (T.A.R. Emilia-Romagna sez. II, 19/10/2017, n.677)

I Comuni non possono, dunque, introdurre surrettiziamente ulteriori e diversi limiti, non essendo titolari di alcuna potestà normativa in ordine alla determinazione di criteri, maggiormente limitativi o rigidi, di valutazione della soglia di inquinamento elettromagnetico (cfr., in tal senso, T.A.R. Friuli-Venezia Giulia sez. I, 19/01/2017, n.24).

Peraltro, la circostanza che le funzioni legislative e amministrative relative alla determinazione dei limiti di esposizione alle onde elettromagnetiche siano di competenza esclusiva dello Stato ha come suo precipitato sul piano della responsabilità civile che solo quei parametri fissati dal legislatore nazionale (i quali non sono modificabili, neppure in senso restrittivo, dalla normativa delle singole Regioni) assumono rilevo e il loro mancato superamento osta alla possibilità di avvalersi della tutela giudiziaria preventiva del diritto alla salute, che è ipotizzabile solo in caso di accertata sussistenza del pericolo della sua compromissione, da ritenersi presuntivamente esclusa quando siano stati rispettati i limiti posti dalla disciplina di settore (cfr., in tal senso, Cass. n. 15853/2015; Cass. n. 1391/2007; Tribunale Milano sez. X, 03/03/2018, n.2520).

Nel panorama mondiale, solo l’Italia e la Bulgaria hanno adottato un limite pari a 6 V/m

Così ricostruito il panorama normativo e giurisprudenziale, occorre prendere atto che i limiti attualmente vigenti in Italia presentano una connotazione pressoché unica: è sufficiente leggere i dati forniti dalla Organizzazione Mondiale della Sanità per rendersene conto.

Se guardiamo all’ultima ricognizione disponibile, ossia quella del 31 maggio 2017, ciò che colpisce è che, nel panorama mondiale, solo l’Italia e la Bulgaria hanno adottato un limite pari a 6 V/m, laddove tutti gli altri paesi si attestano in media su limiti che oscillano tra i 41 e i 58 V/m, dunque dalle 7 alle 10 volte superiori.

Va detto che per l’Italia, in realtà, il limite di esposizione sarebbe 20 V/m: tuttavia, nelle case, nelle scuole, nei parchi giochi e nei luoghi in cui le persone possono soggiornare per più di 4 ore, viene applicato un valore di attenzione di 6 V/m su una media di 24 ore. Questo valore è considerato un “obiettivo di qualità” per le nuove installazioni, quindi in sostanza rappresenta il limite effettivo, al di là di quello massimo consentito.

In un simile scenario e a fronte dell’asta 5G appena conclusa in Italia, con l’incasso record di 6,55 miliardi di euro, occorre prendere atto che i predetti limiti rischiano di rallentare lo sviluppo delle nuove reti, sia perché molto contenuti, sia perché la metodologia di calcolo utilizzata non è adeguata alle caratteristiche tecnologiche delle reti 5G, che comporteranno una densa distribuzione di celle macro/micro/femto in modo da realizzare servizi non pensabili con le reti attuali.

Su tale ultimo aspetto, peraltro, è bene ricordare che il nuovo codice europeo delle comunicazioni elettroniche, approvato in via definitiva lo scorso 14 novembre, ha previsto che per tali tipologie di celle è “opportuno limitare al massimo eventuali restrizioni della loro diffusione. Ne consegue che, al fine di agevolare l’installazione di punti di accesso senza fili di portata limitata, e fatti salvi eventuali requisiti applicabili connessi alla gestione dello spettro, gli Stati membri non dovrebbero sottoporre ad alcun permesso individuale l’installazione di tali dispositivi in edifici che non siano ufficialmente protetti in quanto parte di un ambiente designato o per il loro specifico valore architettonico o storico, tranne che per motivi di pubblica sicurezza” (considerando n. 139).

È da salutare, dunque, con favore l’avvio proprio in questi giorni da parte della Commissione Trasporti, Poste e Telecomunicazioni della Camera dei Deputati di un’indagine conoscitiva sulle nuove tecnologie delle telecomunicazioni, con particolare riguardo alla transizione verso il 5G ed alla gestione dei big data.

Soltanto, infatti, attraverso una compiuta e approfondita analisi dei concorrenti interessi in gioco, si potrà addivenire alla composizione del quadro regolamentare più adatto per consentire all’Italia di vincere la sfida dell’innovazione.