elettromagnetismo

Limiti di esposizione ai campi elettromagnetici, perché va aggiornata la normativa italiana

di Fabrizio Dalle Nogare, professore a contratto di Diritto della rete - Università Alma Mater di Bologna |

In Italia, nonostante la profonda innovazione tecnologica intervenuta con il passaggio dalla prima alla quinta generazione dei servizi mobili e la prolifica produzione normativa di settore in ambito nazionale ed europeo, la regolamentazione dei limiti di esposizione ai campi elettromagnetici non si è evoluta di pari passo nel tempo.

[1]L’annosa questione dell’aggiornamento o meno dei vigenti limiti di esposizione ai campi elettromagnetici è stata in questi ultimi tempi nuovamente risollevata, anche in sede parlamentare con l’avvio dell’indagine conoscitiva sulla transizione verso il 5G condotta dalla Commissione ”Trasporti, Poste e Telecomunicazioni” della Camera dei Deputati.

Diversi soggetti (non solo operatori di telecomunicazioni) sono stati ascoltati dalla Commissione parlamentare, manifestando posizioni nettamente contrapposte[2]: da un lato è stata espressa l’esigenza di rivedere (verso l’alto) gli attuali limiti, allineandoli a quelli raccomandati a livello internazionale dall’ICNIRP (lnternational Commission on Non-lonizing Radiation Protection); dall’altro, è stato sollevato il tema dei rischi per la salute umana che potrebbero derivare da un’esposizione continuativa ai campi elettromagnetici generati dalle frequenze 5G.

Senza addentraci in una valutazione tecnica delle diverse posizioni assunte e tesi sostenute, è opportuno porsi una domanda: perché in Italia, nonostante la profonda innovazione tecnologica intervenuta con il passaggio dalla prima alla quinta generazione dei servizi mobili e la prolifica produzione normativa di settore in ambito nazionale ed europeo, la regolamentazione dei limiti di esposizione ai campi elettromagnetici non si è evoluta di pari passo nel tempo, sicché l’impianto normativo risulta ancora fermo, sostanzialmente, alla Legge quadro n. 36 del 2001[3] e al successivo Decreto attuativo del 2003[4]?

Partiamo dalla Legge quadro che detta due princìpi fondamentali: il primo, assicurare la tutela della salute dei lavoratori, delle lavoratrici e della popolazione dagli effetti dell’esposizione a determinati livelli di campi elettrici, magnetici ed elettromagnetici ai sensi e nel rispetto dell’articolo 32 della Costituzione[5]; il secondo, promuovere la ricerca scientifica per la valutazione degli effetti a lungo termine e attivare misure di cautela da adottare in applicazione del principio di precauzione di cui all’articolo 174, comma 2, del Trattato istitutivo dell’Unione Europea (oggi art. 191 TFUE)[6].

Il successivo Decreto attuativo del 2003, nel fissare i limiti di esposizione, i valori di attenzione e gli obiettivi di qualità, specifica che a tutela dalle esposizioni a campi elettrici, magnetici ed elettromagnetici generati da frequenze comprese tra 100 kHz e 300 GHz e da sorgenti “non riconducibili ai sistemi fissi delle telecomunicazioni e radiotelevisivi,” si applica l’insieme completo delle restrizioni stabilite nella Raccomandazione del Consiglio dell’Unione europea del 12 luglio 1999[7], mentre per le frequenze utilizzate dai servizi radiomobili si applicano gli specifici limiti (più restrittivi) stabiliti dal Decreto stesso e, quindi, non quelli (meno restrittivi) previsti nella Raccomandazione: una scelta politica resa possibile (come vedremo meglio nel seguito) proprio grazie all’applicazione del principio europeo di precauzione richiamato espressamente (per la prima volta nello specifico settore delle comunicazioni elettroniche) dalla Legge quadro del 2001.

Una scelta politica, peraltro, coerente con lo spirito della stessa Raccomandazione che, se da un lato richiama i principi fondanti del Trattato UE di armonizzazione, proporzionalità e sussidiarietà, dall’altro, invocando il principio di precauzione, conferma in capo agli Stati membri la facoltà di fornire un livello di protezione più elevato rispetto a quello da essa stabilito nonché dal quadro normativo comunitario di riferimento. Stesso principio che impone agli Stati membri, sempre secondo la Raccomandazione, di considerare i progressi delle conoscenze scientifiche e della tecnologia in relazione ai sistemi di protezione dalle radiazioni, prevedendone “la rassegna e la revisione su base sistematica con le corrispondenti valutazioni, tenendo presenti gli indirizzi elaborati dalle organizzazioni internazionali competenti, quali l’ICNIRP[8].

Avuto sempre riguardo alla legislazione europea, in continuità con il pacchetto di direttive del 2002, poi aggiornate nel 2009, il recente Codice europeo delle comunicazioni elettroniche del 2018[9] ribadisce l’esigenza di proteggere la salute pubblica dai campi elettromagnetici e raccomanda l’armonizzazione dell’uso dello spettro radio nella UE allo scopo di ottimizzarne l’uso e di evitare interferenze dannose, tenendo nella massima considerazione la Raccomandazione del 1999 e fatto salvo il principio di precauzione di cui al Trattato UE. Anche il Codice, quindi, invoca detto principio, abdicando, pertanto, anche se in via eccezionale e all’interno del ristretto contesto in argomento, alla primazia del principio di armonizzazione che aveva sin qui caratterizzato l’intero corpus normativo europeo del settore, lasciando così limiti tuttora assai differenziati nel mercato (unico) europeo[10].

La stessa giurisprudenza amministrativa – chiamata più volte a pronunciarsi, in particolare, sulla legittimità di normative regionali o comunali in contrasto con i valori “soglia” di esposizione per la popolazione fissati dal Decreto del 2003 – ribadisce come l’applicazione del principio di precauzione non possa prescindere da una considerazione fondamentale, ovvero l’assenza di conoscenze scientifiche certe sugli “effetti a lungo termine” sulla salute umana, derivanti dall’esposizione ai campi elettromagnetici generati dagli impianti di telefonia mobile. Un principio di precauzione applicato in misura più o meno estensiva da parte degli Stati membri che ha fatto venir meno un indirizzo uniforme europeo sulla fissazione di valori limite[11]. Un’impostazione normativa confermata anche dalla Corte di Giustizia europea quando riafferma l’esigenza di tutela della salute umana che diviene imperativa in presenza di rischi solo possibili, ma non ancora scientificamente accertati[12].

In definitiva, tra i diversi Stati membri si riscontra un’applicazione del principio di precauzione fortemente variegata, con l’Italia che ha adottato, a differenza della maggioranza dei Paesi europei, un quadro regolamentare sui limiti assai restrittivo e ancora fermo al 2003, in quanto i Governi e i Parlamenti che si sono succeduti nel tempo, nel difficile compito di garantire un corretto bilanciamento tra interessi non sempre convergenti (da un lato la libertà di impresa nel realizzare reti di comunicazioni elettroniche e offrire i relativi servizi, dall’altro l’esigenza di ridurre i rischi per la salute), hanno invocato sistematicamente detto principio, giustificando così il permanere di limiti che ancora oggi si discostano fortemente da quelli indicati dalla Raccomandazione UE e dalle citate Linee Guida redatte dall’ICNIRP.

Del resto, dall’analisi delle fonti normative e delle decisioni attuative di questo principio, e ciò non solo con riguardo al settore delle comunicazioni elettroniche ma anche a quello più vasto della tutela ambientale, si riscontra come il legislatore – europeo e nazionale – si sia limitato a un mero richiamo dello stesso, senza fornirne una precisa definizione e una specificazione delle modalità di attuazione, sicché l’azione amministrativa ha potuto godere di un’ampia discrezionalità nell’attuazione di questo principio[13].

L’unica fonte utilizzabile in tal senso è la Comunicazione della Commissione europea del 2000[14] che, peraltro, fornisce solo alcune linee generali per l’applicazione del principio di precauzione che può essere invocato ”quando un fenomeno, un prodotto o un processo può avere effetti potenzialmente pericolosi, individuati tramite una valutazione scientifica e obiettiva, se questa valutazione non consente di determinare il rischio con sufficiente certezza”. Inoltre, esso è giustificato in presenza di una valutazione scientifica più completa possibile e di una valutazione del rischio e delle conseguenze potenziali dell’assenza di azione. Sempre secondo la Comunicazione, le misure applicative del principio di precauzione ”debbono essere mantenute finché i dati scientifici rimangono insufficienti, imprecisi o non concludenti e finché il rischio sia ritenuto sufficientemente elevato per non accettare di farlo sostenere alla società. Come conseguenza dei nuovi dati scientifici, è possibile che le misure debbano essere modificate o eliminate prima di un termine preciso. Tutto ciò non è tuttavia collegato ad un mero fattore temporale, ma all’evoluzione delle conoscenze scientifiche”. Accanto all’”ampiezza dell’incertezza scientifica”, la Comunicazione richiede, quindi, espressamente quale requisito per la sua applicazione, anche il regolare “riesame delle misure alla luce dell’evoluzione scientifica”.

Proprio al fine di garantire una corretta applicazione del suddetto principio, la Legge quadro del 2001 promuove attività di ricerca e di sperimentazione tecnico-scientifica, avvalendosi, tra l’altro, del Comitato Interministeriale per la Prevenzione e la Riduzione dell’Inquinamento Elettromagnetico (CIPRIE)[15] che ha, in particolare, il compito di promuovere attività di ricerca e di sperimentazione tecnico-scientifica, di coordinamento dell’attività di raccolta, di elaborazione e di diffusione dei dati, nonché di svolgere funzioni di monitoraggio e predisporre una relazione annuale al Parlamento sull’attuazione della legge stessa. Il Decreto attuativo del 2003 conferma a sua volta in capo al Comitato il compito di procedere all’aggiornamento dello stato delle conoscenze, conseguenti alle ricerche scientifiche prodotte a livello nazionale ed internazionale.

A tal riguardo, il Comitato, insediatosi solo nel 2015, ha trasmesso al Parlamento tre relazioni informative sulle attività svolte annualmente (l’ultima relazione si riferisce al 2016, le due precedenti al 2015 e al 2014) sotto il profilo normativo, di controllo e monitoraggio delle sorgenti elettromagnetiche e di studio/ricerca, senza peraltro evidenziare se le ricerche scientifiche giustifichino o meno una modifica dei vigenti limiti. Nell’ambito delle relazioni annuali, il Comitato conferma sistematicamente la scelta compiuta dal legislatore europeo e nazionale, evidenziando che la materia dei limiti alle emissioni elettromagnetiche non costituisce oggetto di atti comunitari vincolanti per gli Stati Membri, proprio in virtù del richiamato principio di precauzione.

Tuttavia, nell’ultima relazione al Parlamento (del 2017 riferita al 2016), con riferimento appunto ai limiti di emissione elettromagnetica, lo stesso Comitato sottolinea come resti “attuale…..l’opportunità di approfondire la soluzione normativa più idonea atta a conciliare le esigenze di sviluppo delle reti mobili di nuova generazione con gli obiettivi di tutela radioprotezionistica della popolazione e salvaguardia dell’ambiente”, lasciando chiaramente intendere che sia maturato il tempo di avviare un percorso di aggiornamento del quadro normativo vigente.

E sempre sul tema della revisione dei vigenti limiti va ricordato che la ”Strategia italiana per la banda ultralarga” del 2015[16] indica, tra gli obiettivi per la realizzazione di un’infrastruttura “a prova di futuro” e per raggiungere gli obiettivi dell’Agenda europea, “l’adeguamento agli altri Paesi europei dei limiti in materia di elettromagnetismo”.

Nella stessa direzione si muove l’Autorità antitrust italiana che, nell’ambito della recente segnalazione al Parlamento e al Governo AS 1551[17], auspica ”una verifica, con l’ausilio delle competenti commissioni scientifiche, quali l’Istituto Superiore della Sanità, l’Organizzazione Mondiale della Sanità e la Commissione internazionale per la protezione dalle radiazioni non ionizzanti, della validità degli attuali limiti elettromagnetici e degli standard di misurazione, previsti dal D.P.C.M. 8 luglio 2003, alle luce delle nuove tecnologie e dei nuovi strumenti in via di adozione”.

In conclusione, l’impianto normativo in materia di tutela della salute dagli effetti dell’esposizione ai campi elettromagnetici non costituisce oggetto di atti comunitari vincolanti per gli Stati Membri, proprio grazie al principio di precauzione, richiamato espressamente dalle disposizioni europee di settore e invocato dalla stessa Legge quadro del 2001, in base al quale il Decreto del 2003 ha stabilito per le frequenze utilizzate dai servizi radiomobili livelli di protezione assai più cautelativi rispetto alla Raccomandazione UE del 1999.

Tuttavia, il principio di precauzione, lungi dal costituire una “riserva” protetta in cui lo Stato membro riacquista piena potestà legislativa a scapito dell’armonizzazione delle legislazioni nazionali europee, vieta alle autorità nazionali di adagiarsi sullo stato dell’arte e di avallare statiche moratorie normative. Lo Stato, infatti, dovrebbe invocare questo principio solo nell’ipotesi di un rischio potenziale verificato sulla base di dati scientifici aggiornati e dovrebbe applicarlo sempre e soltanto a condizione che lo stato di incertezza e di rischio sia regolarmente verificato nel tempo alla luce dell’evoluzione scientifica.

Tutto ciò non sta avvenendo in Italia, dove l’applicazione del principio di precauzione è caratterizzata, in questo ambito, da un elevato grado di discrezionalità, che non appare in linea con le citate previsioni europee. Le norme introdotte nel 2001 continuano, infatti, a rimanere applicabili e la decisione di mantenerle in vigore, a distanza di più di quindici anni dalla loro introduzione, appare basata su scelte politiche non adeguatamente supportate da basi scientifiche aggiornate.

E’ giunto quindi il tempo di rivedere le valutazioni del rischio per consentire ai decisori politici l’adozione di scelte consapevoli e informate. In tale contesto il Comitato interministeriale per la prevenzione e la riduzione dell’inquinamento elettromagnetico può giocare un ruolo propositore, magari nell’ambito della prossima relazione annuale che dovrà essere presentata al Parlamento e i cui risultati potrebbero essere utilmente acquisiti dalla Commissione parlamentare della Camera, ai fini dello svolgimento e conclusione della richiamata indagine conoscitiva sulla transizione verso il 5G.


[1] Il presente testo riproduce, ampliato e arricchito con ulteriori argomenti e riferimenti normativi e bibliografici,  l’articolo “Campi elettromagnetici: limiti italiani da rivedere”, pubblicato da lavoce.info il 21 giugno 2019 a firma del medesimo autore e disponibile sul sito web www.lavoce.info.

[2] Si vedano in proposito i resoconti pubblicati sul sito della Camera dei Deputati: http://www.camera.it/leg18/1102?id_commissione=09&shadow_organo_parlamentare=2809&sezione=commissioni&tipoDoc=elencoResoconti&idLegislatura=18&tipoElenco=indaginiConoscitiveCronologico&calendario=false&breve=c09_telecomunicazioni&scheda=true.

[3] Legge 22 febbraio 2001, n. 36 recante “Legge quadro sulla protezione dalle esposizioni a campi elettrici, magnetici ed elettromagnetici”, in G.U. n. 55 del 7.03.2001.

[4] DPCM 8 luglio 2003 recante “Fissazione dei limiti di esposizione, dei valori di attenzione e degli obiettivi di qualità per la protezione della popolazione dalle esposizioni a campi elettrici, magnetici ed elettromagnetici generati a frequenze comprese tra 100 kHz e 300 GHz”, in G.U. n. 199 del 28.08.2003.

[5] L’art. 32 della Costituzione della Repubblica italiana recita: “La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti. Nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge. La legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana”.

[6] In base all’art. 191, comma 2 del Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea (TFUE) “La politica dell’Unione in materia ambientale mira a un elevato livello di tutela, tenendo conto della diversità delle situazioni nelle varie regioni dell’Unione. Essa è fondata sui principi della precauzione e dell’azione preventiva, sul principio della correzione, in via prioritaria alla fonte, dei danni causati all’ambiente, nonché sul principio ”chi inquina paga”. In tale contesto, le misure di armonizzazione rispondenti ad esigenze di protezione dell’ambiente comportano, nel casi opportuni, una clausola di salvaguardia che autorizza gli Stati membri a prendere, per motivi ambientali di natura non economica, misure provvisorie soggette ad una procedura di controllo dell’Unione”. Il principio di precauzione trova la sua naturale collocazione nell’ambito del Titolo XX del Trattato UE in materia di tutela ambientale. Tuttavia, come specificato dalla Commissione europea, il campo di applicazione del principio è molto più vasto e si estende anche alla politica dei consumatori, alla legislazione europea sugli alimenti, alla salute umana, animale e vegetale. E’ in questo contesto che la Legge quadro italiana estende l’applicazione di tale principio alla tutela della salute umana nel settore delle comunicazioni elettroniche.

[7] Raccomandazione del Consiglio del 12 luglio 1999 (n. 1999/519/CE) relativa alla limitazione dell’esposizione della popolazione ai campi elettromagnetici da 0 Hz a 300 GHz, in GUCE L199/59 del 30.07.1999.

[8] Le Linee Guida ICNIRP stabiliscono valori limite per l’esposizione ai campi elettromagnetici, in modo da fornire una protezione contro gli effetti conosciuti che siano nocivi per la salute. Tali limiti derivano da una analisi critica della letteratura scientifica pubblicata su riviste internazionali e vengono periodicamente aggiornati sulla base delle più recenti conoscenze.

[9] Direttiva (UE) n. 2018/1972 del Parlamento europeo e del Consiglio dell’11 dicembre 2018 che istituisce il Codice europeo delle comunicazioni elettroniche, in GUCE L 321/36 del 17.12.2018.

[10] Si consideri in proposito l’interessante iniziativa assunta dall’International Telecommunication Union (ITU) che ha promosso l’elaborazione di case-studies europei per valutare l’impatto determinato dalle legislazioni nazionali, che regolano i limiti di esposizione ai campi elettromagnetici, sull’introduzione delle reti 5G: “5G New Radio and System Standardization in 3GPP” Ginevra, Luglio 2017.

[11] Sentenza TAR Puglia – Lecce, Sezione I, 6 marzo 2002, n. 1027

[12] Si veda CGUE, Sentenza 14 luglio 1998, causa C-248/95 e Sentenza 3 dicembre 1998, causa C-67/97.

[13] Si veda in proposito l’analisi svolta da Maria Gabriella Stanzione “Principio di precauzione, tutela della salute e responsabilità della P.A. Profili di diritto comparato”, in Comparazione e diritto civile, a cura di Pasquale Stanzione (www.comparazionedirittocivile.it), settembre 2016.

[14]Comunicazione della Commissione sul principio di precauzione”, Doc. COM (2000) 1 Final del 2.02 2000.

[15] In base all’art. 6 della L. 36/2001 “Il Comitato è presieduto dal Ministro dell’ambiente o dal Sottosegretario all’ambiente delegato, ed è composto altresì dai Ministri, o dai Sottosegretari delegati, della sanità, dell’università e della ricerca scientifica e tecnologica, del lavoro e della previdenza sociale, del tesoro, del bilancio e della programmazione economica, dei lavori pubblici, dell’industria, del commercio e dell’artigianato, per i beni e le attività culturali, dei trasporti e della navigazione, delle comunicazioni, della difesa e dell’interno”.

[16]Strategia italiana per la banda ultralarga – Piano di investimenti per la diffusione della banda ultralarga”, Presidenza del Consiglio dei Ministri, 3 marzo 2015.

[17]Segnalazione al Parlamento e al Governo AS 1551 “Ostacoli nell’installazione di impianti di telecomunicazione mobile e broadband wireless access e allo sviluppo delle reti di telecomunicazione in tecnologie 5G”, AGCM, 21 dicembre 2018.