il commento

L’ideologia digitale al tempo dell’intelligenza artificiale

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I nuovi sistemi di intelligenza artificiale, possono essere usate efficacemente per aiutare i più deboli, ma perché questo si possa realizzare il digitale deve smettere di essere una ideologia che i grandi player informatici mondiali tentano di imporre a miliardi di cittadini nel mondo.

Il Novecento è stato il secolo delle ideologie politiche ed economiche (il comunismo, il fascismo, il liberalismo, il capitalismo) che hanno orientato i comportamenti di centinaia di milioni di persone, hanno governato il mondo e sono state anche causa di guerre e di conflitti sociali.

Con il passaggio al nuovo secolo, alcune ideologie del secolo scorso sono crollate sotto i colpi della storia, alcune altre sono state abbandonate, altre ancora si sono dovute trasformare per sopravvivere, il capitalismo è tra quest’ultime. In questo nuovo secolo, che molti qualificano come post-ideologico, il tramonto delle vecchie ideologie ha coinciso con l’alba di nuove ideologie che sono sorte come nuovi astri utili a illuminare l’animo di tanti esseri umani che sembra non riescano a vivere se privi di visioni ideologiche. Tra queste nuove ideologie ci sono certamente l’ambientalismo, il pacifismo e il sovranismo. 

A queste nuove credenze si sta aggiungendo una nuova ideologia che trova alimento nella forte evoluzione tecnologica spinta dall’accelerazione dei sistemi digitali che tutti quotidianamente usiamo e delle quali non riusciamo più a fare a meno. Anche se potrà sembrare strano che si associ alle tecnologie il concetto di ideologia, il grande impatto sociale delle innovazioni figlie della ricerca scientifica scienza e della innovazione, sta generando un coacervo di valori che orientano la società fino a costruire una visione del funzionamento e del governo delle collettività che abitano il pianeta. Termini come algocrazia, datacrazia, algoetica, infocrazia, infosfera (discussi in dettaglio nel saggio “L’impero dell’algoritmo” (Rubbettino, 2021) e in altri saggi apparsi negli ultimi anni) sono tutti neologismi che descrivono nuove realtà sociali, organizzative e politiche che contribuiscono a definire nuovi scenari ideologici nei quali le tecnologie digitali superano i loro limiti tecnici – gli ambiti tradizionali della tecnica – ed entrano nella vita dei cittadini portando, insieme a nuovi servizi e nuove funzionalità, anche nuovi valori, nuove visioni che orientano il funzionamento e il governo della società.

Gabriele Balbi nel suo saggio “L’ultima ideologia” (Laterza 2022) analizza il digitale considerandolo una nuova (ultima in ordine di tempo) ideologia che intende avvolgere l’intero mondo per dominarlo pretendendo di far convergere gli interessi dell’economia, della politica (democratica e totalitaria) e delle élite tecnologiche ed economiche. Il digitale promette un nuovo mondo, migliore del precedente e fa di tutto per convincere i suoi utenti (miliardi di persone) che soltanto le soluzioni che offre possono aiutarli a vivere pienamente il presente. Spiega agli individui che solo tramite le sue app e i suoi dispostivi possono essere cittadini del nuovo secolo ed entrare nel futuro da cittadini di serie A. È fuori discussione il fatto che l’informatica, le telecomunicazioni, i servizi digitali hanno migliorato molte cose nella vita delle persone e nel funzionamento della società, hanno semplificato molte operazioni e ridotto i tempi operativi quotidiani. Tuttavia, allo stesso tempo è evidente che queste potenti tecnologie non abbiano risolto i grandi problemi dell’umanità, non hanno ridotto la fame nel mondo, le guerre e le tante disuguaglianze, anzi in alcuni casi le hanno aumentate.

Nei due anni che abbiamo trascorso in gran parte chiusi in casa per la pandemia, la potenza comunicativa ed elaborativa del digitale ci ha aiutato molto, ma ci ha fatto anche capire che una vita quotidiana interamente online non è piacevole né sopportabile e questa non è stata una buona premessa per la fortuna sperata delle tecnologie del metaverso e dei sistemi di realtà virtuale che dell’ideologia digitale rappresentano, insieme all’intelligenza artificiale l’ultima frontiera. Questi più recenti ritrovati ideologici che pretenderebbero che gli individui vivano e si spostino interamente nel nuovo mondo virtuale fatto di bit, sembrano non voler fare i conti con il bisogno biologico di vivere da umani tra umani. In questo anno di guerra e di eventi climatici drammatici, il digitale è stato capace di informarci in tempo reale con micronotizie in streaming su ogni cosa che un telefonino riesca a vedere, a fotografare, a raccogliere.

Eppure, non sembra essere capace di immunizzarsi dalla diffusione di campagne di disinformazione, di notizie false (le cosiddette fake news). Inoltre, c’è molto digitale nelle armi che sono impiegate nella guerra tra Russia e Ucraina e questo impiego di alta tecnologia non sta di certo evitando le morti di tanti civili e neanche di tanti militari. Insomma, nonostante si parla del conflitto più tecnologico mai esistito, non muoiono i droni o le armi computerizzate, ma continuano a morire gli esseri umani.

I recentissimi sviluppi dei sistemi di intelligenza artificiale generativa di cui si parla sempre più diffusamente da parte di alcuni con timore e da parte di altri con entusiasmo, stanno contribuendo ulteriormente a rafforzare l’ideologia digitale che vede nelle nuove tecnologie informatiche la base per una visione della società, della sua organizzazione e del suo funzionamento. I sistemi chatbot come ChatGPT e Bard mostrano con maggiore chiarezza la potenza delle tecnologie digitali e aumentano il loro impatto sulla società. In questo caso siamo di fronte a sistemi capaci di dialogare con noi usando il nostro linguaggio, capaci di produrre contenuti come sanno fare gli umani e di organizzare l’informazione anche meglio degli umani. Sono sistemi per cui l’Unione Europea ha da poco approvato una legge regolativa e dei quali si teme un impatto dirompente sul mondo del lavoro perché sono capaci di svolgere molti lavori “di concetto” come e meglio di tante persone che per questa ragione rischiano di perdere il loro lavoro.

Il sociologo di origine ungherese Karl Mannheim nel suo saggio “Ideologia e utopia” (Il Mulino, 1999) ha teorizzato che l’ideologia e l’utopia, nonostante siano accomunate dall’essere delle “visioni del mondo”, differiscono radicalmente nella loro natura essenziale. L’ideologia secondo Mannheim rappresenta il pensiero della classe dominante, essa è quindi tesa alla conservazione della realtà esistente, mentre l’utopia rappresenta il pensiero delle classi dominate, essa ha quindi l’obiettivo della trasformazione della realtà esistente. Questa contrapposizione paventata da Mannheim nel caso della tecnologia digitale sembra quasi dissolta e si va verso una forma di convergenza tra ideologia digitale, espressa dalle grandi Big Tech e dai governi che le sostengono, e utopia digitale che sposa il progetto di evoluzione continua del miglioramento della società e dell’uomo a causa delle nuove tecnologie.

Circa un decennio fa, Evgeny Morozov ha definito il concetto di utopismo cibernetico (“L’ingenuità della rete, Codice Edizioni, 2011). Questo utopismo sposa la convinzione che la Rete, il Web e in generale le tecnologie digitali permettano l’emancipazione dei popoli e favoriscano gli oppressi piuttosto che gli oppressori, i deboli invece dei forti. Secondo Morozov questa è una convinzione ingenua e poco lungimirante perché si basa sul rifiuto di considerare i lati negativi del digitale. A questo si può aggiungere che questo utopismo cibernetico che vorrebbe eliminare le disuguaglianze sembra non essere in grado di comprendere che il digitale è in buona parte nelle mani dei grandi potenti della Terra, i quali con molta difficoltà sono disposti a metterlo a disposizione degli ultimi o di usarlo per diminuire le disuguaglianze sociali ed economiche che esistono sul pianeta.

Le tecnologie digitali, e in particolare i nuovi sistemi di intelligenza artificiale, possono essere usate efficacemente per aiutare i più deboli, le comunità più svantaggiate e per rendere le nostre società più giuste e più includenti (adesso va di moda il termine ‘sostenibili’), ma perché questo si possa realizzare il digitale deve smettere di essere una ideologia che i grandi player informatici mondiali tentano di imporre a miliardi di cittadini nel mondo.

Allo stesso tempo, deve anche evitare di essere soltanto una utopia (potremmo usare il termine una ‘algotopia’) che si illude da sola di emancipare i popoli. Le tecnologie e i sistemi digitali dovrebbero fare di più per migliorare il mondo, promettendo meno effetti speciali. Lo devono fare spandendo meno retorica del progresso e realizzando più servizi veramente gratuiti per i cittadini, realizzando maggiori aiuti per chi ne ha bisogno e meno profitti (che sono già elevatissimi) per le grandi company digitali che non sembrano avere a cuore il bene delle persone mentre badano a sempre maggiori guadagni.