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Libri, l’esordio di Antonio Valitutti nel romanzo parte da una profezia, destinata (forse) ad avverarsi “inta ‘a natu munno”

Antonio Valitutti è un infaticabile lettore prima che uno scrittore. Lo si intuisce dai tanti cammei incastonati nelle righe, riferimenti culturali, artistici, musicali, che impreziosiscono, senza tuttavia appesantire, la sua scrittura. Una scrittura che dopo le decine di pubblicazioni giuridiche, i saggi, le apprezzate poesie ‘ermetico-romantiche’, approda ora al romanzo con “Il mistero della zingara”, pubblicato da Edisud Salerno nella collana Nuovi Orizzonti.

Presidente della prima sezione civile della Corte Suprema di Cassazione, Antonio Valitutti è stato assistente universitario, docente nella Scuola Superiore della Magistratura e oggi collabora attivamente con diverse Università italiane. Conferenziere su temi legati al diritto e alla giustizia, è componente del Comitato Scientifico della rivista “La Nuova Procedura Civile”. Musicista, suona la chitarra e il sax e ha scritto due apprezzati studi per chitarra classica.

Da questa seppur estrema sintesi della biografia dell’Autore, è possibile tuttavia sfilare i due fili rossi che ne ispirano la vita e l’attività: la giustizia e la cultura. E proprio la giustizia come ostinata ricerca della “verità” – la verità, non una verità, quella che è umanamente possibile raggiungere –, e la cultura come mezzo di costruzione del sé e prodromica al “ben pensare” e al ben agire sono, in altrettanta estrema sintesi, gli stessi due fils rouges sottesi al romanzo. I messaggi, diciamo, in trasparenza, tra le righe delle sue duecento pagine.

La trama del fatto di cronaca nero in cui si trova proiettato il protagonista – un avvocato “ben nato”, appartenente ad una famiglia illustre, originario di una cittadina del Mezzogiorno dove tornerà dopo tanto tempo appunto per contribuire a sbrogliare la matassa – ha così un ordito fitto e composito, dal ritmo serrato, però, fino alla soluzione del caso. Due i piani del racconto, da una parte la ricerca della verità su un delitto, lo stupro e l’omicidio di una giovane donna, sullo sfondo di altri crimini pure in qualche modo collegati. Dall’altra, intersecato a questo, il piano della memoria, con l’emergere prorompente di un certo ricordo a lungo sopito, l’incontro con una zingara, Miriam, e con i suoi vaticini. E che si rivelerà, ma noi non riveleremo come, ben più che solo un ricordo.

Del Sud parla bene e male Antonio Valitutti. È il suo Sud, ci è nato, in una cittadina di provincia nel tempo certo cambiata, ma di cui ha sperimentato gli atteggiamenti di omertà e inerzia così come quelli di pettegolezzo e maldicenza. E la maldicenza, come da ultimo il bullismo, può uccidere. Come si arriva al vero, sembra chiedersi nel libro, se non si ascolta la versione dell’altro? E poi attraverso la descrizione di questi lati oscuri della cittadina di provincia, come anche nei dialoghi con il prete in un altro momento della narrazione, ravvisa l’occasione per parlare di differenze sociali e dell’impellenza di un cambio di atteggiamento verso i meno fortunati e di sensibilità maggiore, più in generale, verso il dolore degli altri.Ma del Sud è raccontata anche la bellezza, nei paesaggi naturali e urbani, nelle architetture, nei colori. Colori che anche qui Valitutti usa in modo strumentale, il blu del cielo come invito ad alzare lo sguardo, a fare leva sull’ottimismo per contrastare il nichilismo, per esempio. Colori mai scelti a caso, come il rosso, simbolo di passione e in definitiva di amore, dello scialle della zingara, appena “una pennellata sul muro”, nel ricordo del suo allontanarsi nella mente del protagonista.

Che è Luca Pogliani, un avvocato che esercita al Nord, in questo scontro e poi incontro di culture che il libro, tra l’altro, propone. Anche la scelta di un avvocato non è casuale, ma come lo stesso Autore ha avuto modo di raccontare a Roma lunedì scorso, nel corso di un incontro presenziato da Piero Curzio, Presidente della Corte Suprema di Cassazione, dal qualificato parterre nell’occasione quasi esclusivamente legato al mondo giuridico, rappresenta innanzitutto un doveroso omaggio alla figura di questo professionista, che, come giudice, conosce bene. Ma soprattutto vuole significare il riconoscimento della funzione essenziale degli avvocati come promotori di tutele, coloro che raccolgono la vita, e la vita nei momenti più difficili, del dolore, per portarla come istanza di giustizia al giudice. Molte volte con coraggio. Per questo l’Autore affida ad un avvocato il compito di farsi interprete dei valori in cui crede. Per questo e perché l’ispirazione per scrivere un romanzo gli è venuta proprio da questo personaggio, che si può dire sia andato a cercarlo, e attorno al quale ha costruito la trama.

Una trama che ha il ritmo e il colore del giallo, certamente, ma che proprio la zingara del titolo apre ad un terzo piano di senso, variamente interpretabile dal lettore. Si ispira alla leggenda della Bella Mbriana, figura di una leggenda napoletana, benefica fino a che le persone delle case che visita si mostrano grate. Poi affatto. L’incontro con la zingara Miriam è anche un elemento autobiografico, episodio reale della vita dello scrittore, capitatogli in gioventù, e la stessa profezia se si avvera si avvera in qualche modo anche per lui, “in un mondo diverso, inta ‘a natu munno”. Quel mondo nuovo che l’Autore vede, cui la curvatura ottimistica del libro tende, e che ciascuno di noi può contribuire a costruire.

E la verità è un po’ l’ossessione di questo Autore. Laura Perego, uno dei personaggi femminili del libro – tutti forti e positivi, in un omaggio alla figura della donna verso cui “come uomo si sente ancora in debito” che attraversa tutto il romanzo, che affiora nella dedica in apertura del libro, nel “grazie” sentito rivolto alla sua compagna di vita, Patrizia, durante la presentazione – rappresenta forse per questo magistrato-scrittore il Pubblico Ministero ideale,  quello che non interpreta il suo ruolo in direzione solo accusatoria, che non si ferma tout court all’evidenza di indizi dati per certi, ma che persegue la verità nel confronto che segue, magari, lo scontro. Un’apertura mentale che l’Autore trova desiderabile sempre e comunque e che sola consente redenzione e, infine, giustizia. 

C’è quindi in questo romanzo molto della lunga carriera al servizio della giustizia del giudice Antonio Valitutti, ci sono le sue pene di uomo e i suoi echi di vita vissuta. E accanto a questo tutto ciò che lo appassiona, la musica di ieri e di oggi, le letture, l’amore per l’arte, l’omaggio al dialetto, da preservare, una certa commossa empatia verso l’altro. C’è tutto questo, ma il libro si legge d’un fiato, come si dice, per la sua scrittura scorrevole, i dialoghi ben costruiti, il ritmo stesso della trama del thriller che incuriosisce il lettore, lo fa entrare nel mondo dello scrittore e lì lo trattiene, fino all’epilogo finale.

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