riflessioni

Leggere, comunicare e riflettere al tempo del coronavirus

di Fernando Bruno, giornalista, scrittore, esperto di diritto della comunicazione |

In questo inedito tempo del colera, con milioni di persone rinchiuse nelle loro case, mi piacerebbe che si riflettesse sulla fiscalità generale e sul dovere costituzionale di sostenerla, quale condizione indispensabile per reggere come comunità alle sfide del futuro.

Leggere

Dal momento del contagio “ebbe inizio la paura e, con essa, la riflessione …). In quattro giorni (…) la febbre registrò quattro impennate clamorose: sedici morti, poi ventiquattro, ventotto e trentadue. Il quarto giorno fu annunciata l’apertura di un ospedale ausiliario in una scuola materna. Per strada i nostri concittadini, che fino a quel momento avevano continuato a mascherare la preoccupazione dietro le battute, sembravano più silenziosi e tristi”.

Mi chiedo quanti di noi abbiano resistito in questi giorni alla tentazione di riprendere tra le mani La peste di Camus. Qualche amico latinista, più sofisticato, mi ha dirottato su Tucidite e sulla descrizione – nel Libro II de La guerra del Peloponneso – della peste nera che colpì Atene nel 430 a.C., quella che uccise anche Pericle per intenderci: “i santuari erano pieni di cadaveri e la gente moriva sul posto, poiché nell’infuriare dell’epidemia gli uomini, non sapendo che ne sarebbe stato di loro, divennero indifferenti alle leggi sacre come pure a quelle profane”.

A saltellare sulla rete i suggerimenti di lettura dei classici sono moltissimi, dal Tacito degli Annales (più o meno 114 d.C.), in cui si documenta l’epidemia che colpì Roma nel 66, a Procopio di Cesarea, la cui Storia segreta (550 d.C.)  descrive la nuova epidemia di peste che colpì la città eterna nel VI secolo.

Gli esempi per i tempi più recenti sono naturalmente tantissimi. In questi giorni abbiamo visto tutti circolare sui nostri smartphone le celeberrime descrizioni del Manzoni e del Boccaccio. Ma come dimenticare il bellissimo e durissimo Cecità di Saramago (1995), dove l’epidemia rende ciechi e la cecità – metafora della incapacità di discernere – diviene fonte di ogni abominio. Oppure il delicato e sommesso Diceria dell’untore di Gesualdo Bufalino (1981), dove parametro della malattia e del contagio è la tubercolosi, il mal sottile che muove e giustifica divieti di ogni tipo all’interno del sanatorio della Rocca, a Palermo, un luogo che assurge a simbolo della società tutta, ed in cui “l’attesa della morte è una noia come un’altra”.

Oppure il poetico L’amore ai tempi del colera, di Marquez (1985), in cui il realismo magico dello scrittore colombiano, piegato ad una più canonica storia d’amore lungo l’arco di mezzo secolo, diviene veicolo di speranza e di riscoperta sensualità, piuttosto che di paura e panico, pur nello scenario devastato di una foresta pluviale i cui villaggi sono infestati dal colera.

Ma possiamo senz’altro includere a vario titolo in questo elenco (c’è una esplosione di suggestioni in rete, al riguardo), Nemesi, di Philip Roth (2010), dove è la poliomelite a devastare le relazioni umane di una piccola comunità; e Diario dell’anno della peste, di Defoe (1722) che descrive il morbo che colpì Londra nel 1665; e La peste scarlatta di Jack London (1912), che parla di un terribile morbo che nel 2013 devasta la razza umana, non rinunciando, nelle parole di un sopravvissuto, ad un messaggio di saggezza e speranza; e Spillover, di David Quammen (2014), che possiamo liberamente tradurre con termini quali propagazione, riversamento, ricaduta, o più propriamente ai nostri fini, come contagio o epidemia, in cui l’autore segue i cacciatori di virus animali, alla ricerca di risposte su come evitare il prossimo big one; e per finire con l’enciclopedico saggio autobiografico Massa e potere di Elias Canetti (1960), che – a ben vedere – svolge in chiave storico-filosofica il tema ancestrale della paura: “tutte le distanze che gli uomini hanno creato intorno a sé sono dettate dal timore di essere toccati”. Si potrebbe continuare per pagine e pagine, da Poe a King, da Wells a Crichton.

Non ho letto Abisso, di Dean Koontz, e ci andrei piano – visti i tempi propizi a complottisti e terrapiattisti – ad attribuire patenti di profeticità al romanzo di questo prolifico scrittore americano. Ad ogni modo, chi fosse interessato al tema troverà sulla rete di che soddisfare le proprie curiosità.

Comunicare

Il 29 febbraio, ospite a coffee break su la7, il deputato di Italia Viva Luigi Marattin, in contraddittorio con il professor Walter Ricciardi, già del comitato esecutivo OMS, ed ora consulente del ministro per la salute, ha affermato – con toni invero pacati, ma molto fermi e insistiti – come non risponda al vero che il bilancio della sanità pubblica abbia subito tagli di qualche decina di miliardi di euro nell’arco dell’ultimo ventennio. Chi volesse rivedere la registrazione della trasmissione, troverà che Marattin ha insistito in particolare sul fatto che il bilancio della Sanità pubblica italiana è cresciuto costantemente e regolarmente negli anni.

L’episodio ha sollevato l’attenzione dei media. Pagella Politica e Il Post (ma ricordo anche articoli su Repubblica e sul Messaggero) si sono in particolare distinti per un attento lavoro di rilettura dei dati ufficiali, e sono pervenuti a identiche conclusioni. In apparenza ha ragione Marattin, perché effettivamente il trend degli stanziamenti ha mantenuto nominalmente una parabola crescente negli anni (nello specifico, dal 2001 al 2019, il finanziamento del Ssn a carico dello Stato è sempre cresciuto in valore assoluto, tranne che nel 2013 e nel 2015, passando da 71,3 miliardi di euro a 114,5 miliardi di euro), ma in buona sostanza ha ragione Ricciardi perché se si intendono come tagli, i mancati aumenti promessi (o la loro riduzione), un definanziamento da parte dello Stato al Ssn effettivamente c’è stato.

A soccorrere Ricciardi (quanto mai timido nella replica, probabilmente per un difetto di documentazione sul punto) molti documenti ufficiali, a cominciare dall’ Osservatorio Conti Pubblici Italiani di Carlo Cottarelli secondo cui “se si valuta la spesa in termini reali, il livello del 2018 è all’incirca uguale al livello del 2005, prima della grande impennata che si verificò fra il 2006 e il 2010”.

Non da meno il Documento conclusivo dell’indagine conoscitiva del Senato della Repubblica sulla sostenibilità del servizio sanitario nazionale (gennaio 2018) in cui si legge testualmente “le politiche per la tutela della salute sono uno strumento fondamentale per la coesione sociale. Nonostante ciò, anche la sanità sta pagando un pesante contributo alle politiche di contenimento dei costi messe in atto dai Governi succedutisi fino ad oggi, attraverso manovre di particolare entità per il servizio sanitario nazionale che se da un lato hanno favorito una razionalizzazione del sistema, dall’altro stanno mettendo a dura prova i bisogni dei cittadini”.

Nelle conclusioni del Quarto Rapporto della Fondazione Gimbe sulla sostenibilità del Ssn, presentato in Senato a giugno 2019, si legge molto bene ciò che Ricciardi intendeva dire parlando dei tagli miliardari effettuati al bilancio della sanità pubblica: “Un definanziamento che ha sottratto alla sanità pubblica circa 28 miliardi dal 2010 al 2019, cure essenziali non garantite a tutti, sprechi e la progressiva crescita di fondi integrativi per ammortizzare la spesa privata per la salute. Questo mix di 4 fattori sta facendo cadere a pezzi il Servizio Sanitario Nazionale“.

In quella stessa occasione il presidente della Fondazione Gimbe, Nino Cartabellotta, divenuto nel frattempo un volto noto a milioni di cittadini, vista la sua assidua presenza televisiva in questi giorni,  ebbe a rilevare quanto segue: “nel periodo 2010-2019 sono stati sottratti al Ssn 37 miliardi (ecco dunque la fonte di Ricciardi) e, parallelamente, l’incremento del fabbisogno sanitario nazionale è cresciuto di quasi 9 miliardi“, con una differenza di 28 miliardi e “con una media annua di crescita dello 0,9%, insufficiente anche solo a pareggiare l’inflazione (+1,07%)”. Nessuna luce in fondo al tunnel, aggiungeva Cartabellotta, visto che il DEF 2019 riduce il rapporto spesa sanitaria/PIL dal 6,6% nel 2019-2020 al 6,5% nel 2021 e 6,4% nel 2022, mentre l’aumento di 8,5 mld in tre anni previsto dalla Legge di Bilancio 2019 è subordinato ad ardite (quanto mai ora) previsioni di crescita.

Come non ricordare, aggiungo, che Il Censis nell’ottobre 2015, licenziando il proprio Bilancio di sostenibilità del Welfare italiano rilevava come nel 41,7% dei nuclei familiari, almeno una persona in un anno ha dovuto rinunciare ad una prestazione sanitaria pubblica. E quattro anni dopo, nel suo ultimo Rapporto sulla situazione sociale del Paese, rileva comeil 62% degli italiani che ha svolto almeno una prestazione nel pubblico, ne ha fatta anche almeno una nella sanità a pagamento”.

Non si contano, nell’ultimo decennio, le proteste, i documenti e gli appelli contro i tagli alla sanità pubblica da parte di onlus, fondazioni, sindacati, istituzioni locali, a partire da quello lanciato nel 2012 da tre eccellenze italiane nello studio e nell’analisi delle politiche sociali, sanitarie, educative e dei sistemi di welfare, come Fondazione Zancan, Gruppo Abele e SOS Sanità. Nessuno di questi appelli e studi ha mancato di mettere in luce sprechi e inefficenze del Sistema, innegabili per qualsiasi analista serio, ma il comune denominatore di ciascuno di loro resta lo slogan “stop ai tagli”.

A ben vedere, la stessa preoccupazione espressa a giugno 2015, intervenendo ad un convegno del Ceis (Centre for Economic and International Studies) dell’Università di Roma Tor Vergata, sulla sostenibilità dei sistemi sanitari pubblici, dall’allora direttore generale della Programmazione sanitaria del ministero della Salute, Renato Botti (“il sistema sanitario è un bene prezioso, che dobbiamo tenerci stretto. Mi auguro che sul tema delle risorse non vengano previste ulteriori riduzioni”).

Insomma, tra aumenti promessi e non concessi; blocco del turn over; assunzioni mancate e tagli lineari; ed inoltre, considerando l’andamento della spesa a prezzi costanti ed il rapporto stanziamenti/PIL, comunque la si veda, negare che il SSN abbia subito drastici tagli nell’ultimo decennio costituisce una fake news, o se vogliamo, una imperdonabile bugia sostanziale.

Sarà bene ricordare tutto questo quando ci affacceremo ancora dal balcone di casa per applaudire lo sforzo immane del personale sanitario in queste settimane, o durante i nostri peana quotidiani alle eccellenze della nostra sanità pubblica. Sarà bene che, in particolare tutti coloro che portano responsabilità pubbliche e tutti coloro che fanno informazione, siano, di questi tempi vieppiù, vigili ed inattaccabili quanto alla veridicità sostanziale delle proprie affermazioni.

Riflettere

In questo inedito tempo del colera, con milioni di persone rinchiuse nelle loro case, abbarbicate al rito comunitario e scaramantico – praticamente una terapia di gruppo – della musica e dei battimani da balcone, mi piacerebbe che si riflettesse sulla fiscalità generale e sul dovere costituzionale di sostenerla, quale condizione indispensabile per reggere come comunità alle sfide del futuro. Come non ripensare al dileggio diffuso che anni addietro accompagnò l’uscita di Padoa Schioppa sulla “bellezza” del pagare le tasse.

Mi chiedo spesso quanti ammalati, presi in carico e curati dal nostro servizio sanitario nazionale in questa ora cupa, fossero tra coloro che hanno evaso ed eluso, ignorando che pagare le tasse forse non è bello, ma sicuramente può venire utile.

Mi piacerebbe che si riflettesse sulla relazione tra malattia individuale e contagio. La malattia, la fragilità, la paura, la debolezza sono normalmente vissute in forma privata o familiare, nella migliore delle ipotesi con l’ausilio di ciò che resta (qui in Europa) del Welfare.

Quando però la malattia dilaga ed assume la forma democratica e interclassista del contagio, la paura collettiva che ne scaturisce, e le misure su vasta scala che devono essere adottate, possono aiutare i cittadini di una società opulenta, egoista e individualista, pervasa dalla filosofia del successo e del potere, a farsi carico con più consapevolezza del destino di tanti individui fragili: gli ammalati, i disabili, gli anziani soli, i poveri del mondo.

In realtà è ben possibile persino la ricetta opposta, ossia la fuga negli egoismi individuali, ma questa reazione alla lunga renderebbe il pianeta inospitale persino per i più ricchi, i più potenti, i più tetragoni.

Mi piacerebbe che ognuno dei pochi sopravvissuti a questa mia lunga riflessione, un istante dopo aver finito di leggere, facesse – ciascuno secondo i propri mezzi – una donazione ad un ospedale, un presidio, una onlus impegnata in questa guerra.

Se una lezione c’è da trarre dal Covid-19 è che – di fronte alle prove più estreme – esiste una globalizzazione che riguarda il genere umano nella sua unicità. Siamo umani, impariamo da questa vicenda ad esserlo davvero.