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L’economia sommersa in Italia vale 217,5 miliardi di euro

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Più di un euro su dieci, prodotto in Italia, non passa dai canali regolari. Il dato aggiornato dall'Istat è in aumento del 7,5% rispetto al 2022, quando era 202,4 miliardi.

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Tutti i dati in crescita. Il valore generato dai contratti di lavoro irregolari: +11,3% 

L’economia non osservata, quella che non emerge dalle statistiche ufficiali fatta di lavoro in nero e attività illegali, vale 217,5 miliardi di euro, il 10,2% del Pil. In altre parole più di un euro su dieci, prodotto in Italia, non passa dai canali regolari. Il dato – l’ultimo aggiornamento Istat è del 2023 – è in aumento del 7,5% rispetto al 2022, quando era 202,4 miliardi. Dentro questo perimetro convivono due mondi. Il primo è il sommerso “legale”: bar, ristoranti, negozi, artigiani, servizi alla famiglia e cantieri dove una porzione di ricavi o di ore di lavoro non viene registrata. Qui si concentra quasi tutto il fenomeno: 197,6 miliardi, in crescita di 14,9 miliardi rispetto all’anno precedente.

Il secondo è l’illegale vero e proprio – droghe, prostituzione, contrabbando di tabacco – che vale 19,9 miliardi, in crescita dell’1% rispetto al 2023. Tradotto: la crescita del “non osservato” non arriva dai mercati criminali, ma da comportamenti elusivi dentro l’economia normale. Ma qual è l’attività economica che produce più valore in nero? Lo vediamo nel grafico in apertura.

Economia non osservata in Italia: 217 miliardi “spariti”

Il settore dove il peso del sommerso economico è maggiore sono gli “altri servizi alle persone”, dove il non dichiarato costituisce il 32,4% del valore aggiunto del comparto. In questa categoria rientrano i collaboratori domestici, come le babysitter e le badanti; estetisti e parrucchieri, ma anche attività come calzolai, orologiai e riparatori di elettrodomestici. Segue il macro-settore “commercio, trasporti, alloggio e ristorazione”, con il 18,8%. Poco più in basso troviamo il settore delle Costruzioni, con il 16,5%.

Lavoro in nero: attività domestiche e agricoltura in cima alla classifica

Interessante anche vedere come è composto il “nero” di questi settori, ossia quanto incidono lavoro irregolare e omessa dichiarazione. Lo vediamo nel grafico qui in basso, con l’incidenza del lavoro in nero per ogni settore. 

Il valore più elevato si registra nel comparto degli “Altri servizi alle persone” (19,7%), seguito dal settore agricolo (14,9%), che conferma la storica presenza di lavoro irregolare nelle attività stagionali e a bassa qualificazione, spesso soggette al fenomeno del caporalato. Valori intermedi si osservano nel commercio, trasporti e ristorazione (6,4%) e nelle costruzioni (6,2%), comparti caratterizzati da elevata mobilità della manodopera e frequente ricorso a forme di lavoro temporaneo.

I livelli più contenuti si riscontrano invece nei servizi professionali (3,7%), nell’istruzione e sanità (3,7%) e nella produzione industriale (tra 0,9% e 2,8%), dove la presenza di strutture più organizzate riduce le opportunità di lavoro irregolare. Rispetto all’anno precedente il valore generato dal lavoro in nero ha segnato una crescita dell’11,3%.

Non dichiarato: servizi, commercio e costruzioni i più a rischio

Nel successivo grafico, invece, troviamo la classifica dei settori produttivi per sottodichiarazione, ossia ovvero il deliberato occultamento da parte delle imprese di una parte dei profitti. I livelli più alti si osservano negli “altri servizi alle persone” (12,2%) e nel commercio, trasporti e ristorazione (11,1%), dove è più frequente la presenza di attività di piccole dimensioni e rapporti di lavoro meno stabili. Anche le costruzioni (10,3%) e i servizi professionali (10,0%) presentano valori significativi, seguiti dal settore della produzione di beni alimentari e di consumo (7,1%). Nei comparti più strutturati, come istruzione, sanità, industria e pubblica amministrazione, la sottodichiarazione è molto più contenuta.

Rispetto all’anno precedente, il valore aggiunto dovuto alla sottodichiarazione ha registrato un incremento del 6,6%, si tratta di 4,7 punti percentuali in meno rispetto al lavoro irregolare.

Economia illegale in Italia: 20 miliardi da droga e prostituzione

Accanto al sommerso “legale”, fatto di redditi non dichiarati e lavoro irregolare, esiste una parte dell’economia che si muove completamente fuori dai confini della legalità. Nel 2023, le attività illegali hanno generato un valore aggiunto di circa 20 miliardi di euro, pari allo 0,9% del Pil, un dato pressoché stabile rispetto all’anno precedente. Si tratta di una fetta consistente, ma minoritaria, del complesso della “economia non osservata”.

Le componenti principali dell’economia illegale sono il traffico di stupefacenti, la prostituzione e il contrabbando di tabacco. Il traffico di droga continua a rappresentare la quota più rilevante: 15,3 miliardi di euro (+0,2 miliardi rispetto al 2022), mentre la spesa per consumi si è attestata a 17,2 miliardi di euro. Nello stesso periodo si è registrata anche una moderata crescita dei servizi di prostituzione. In particolare, nel 2023 il valore aggiunto e i consumi finali sono aumentati, rispettivamente, del 2,8% e del 2,9% (portandosi a 4,1 e 4,8 miliardi di euro). Infine, il contrabbando di sigarette, ormai fenomeno residuale, incide per appena 0,5 miliardi. Anche l’illegalità genera indotto – principalmente riconducibile al settore dei trasporti e del magazzinaggio – stimato in 1,4 miliardi di euro.

Fonte: Istat
I dati si riferiscono al 2023

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