l'analisi

Le telco alla prova del digitale: ecco perché la rivoluzione s’ha da fare

di |

Le telco devono cominciare a fornire, oltre alla connettività, anche servizi digitali, ma devono innovare innanzitutto la loro ‘cultura aziendale’ che storicamente, non è mai stata propensa a sperimentazioni e rischi.

Stretti tra le pressione dei regolatori e la concorrenza delle web company con i loro servizi gratuiti, gli operatori telefonici si trovano ora di fronte a un bivio: restare sulla difensiva per compiacere gli investitori – continuando ad agire come semplici ‘trasportatori’ dei contenuti dei player digitali – oppure scommettere su una ‘rivoluzione digitale’ che permetta loro di trasformare il business model e di conquistare nuovi clienti grazie a una superiore qualità e a una più ampia gamma dei servizi offerti.

È da un po’ che gli analisti indicano questa seconda strada come una scelta quasi obbligata per le telco, le quali, però, anche se sotto attacco da più fronti, hanno resistito al cambiamento per paura di una fuga degli investitori. Questi ultimi hanno finora premiato gli operatori per la loro stabilità e per i consistenti dividendi distribuiti e hanno guardato con scetticismo alla trasformazione digitale per via dei rischi connessi agli accordi e alle ristrutturazioni necessarie per raggiungere l’obiettivo.

Anche restare ancorati al proprio business come lo si è condotto finora pone, però, non pochi rischi: dagli ingenti investimenti che le telco dovranno affrontare per aggiornare  le loro reti mobili (5G) e fisse (fibra ottica), alla pressante concorrenza sia sul fronte delle infrastrutture (tower company e società di altri settori che si inseriscono nel mercato della fibra, come sta avvenendo in Italia con Enel) sia sul fronte dei servizi agli utenti (pensiamo a Netflix).

Un assalto che le telco potranno magari contenere ma mai invertire.

Ecco perché, negli ultimi tempi, alcuni investitori stanno cominciando a considerare la possibilità di un’evoluzione in ottica digitale, in virtù dei minori vincoli regolamentari inerenti allo status di player digitali, nonché dell’opportunità di cedere o condividere parti delle infrastrutture (come le torri) per liberare il capitale necessario agli investimenti nel digitale.

Consapevoli della necessità di dover andare oltre la vendita di capacità per cominciare a muoversi nel campo della vendita di servizi, molte telco hanno quindi cominciato a estendersi nel mercato digitale: negli Usa, Verizon ha comprato le attività internet di Yahoo; la giapponese DoCoMo  e SingTel stanno investendo nei media, nella pubblicità e nei Big data; Orange sta investendo nei servizi bancari e BT nei diritti di trasmissione degli eventi sportivi.

Servizi che i clienti degli operatori telefonici – sia privati che aziende – riconoscono come pregiati e che usano regolarmente.

Secondo gli analisti Citigroup, dalla loro parte, le telco hanno molti ‘asset’, tangibili o meno, da poter sfruttare per sostenere l’innovazione digitale: i loro marchi riconosciuti e una consistente base utenti, l’accesso ai contenuti e la familiarità con i regolatori locali.

Per avere successo ed evitare gli errori che, alla fine degli anni ’90, hanno portato allo scoppio della bolla delle dot.com, le telco devono innovare innanzitutto la loro ‘cultura aziendale’ che – dicono gli analisti – storicamente, non è mai stata propensa a sperimentazioni e rischi e cominciare a fornire, oltre alla connettività, anche quei servizi digitali che i consumatori dimostrano di apprezzare (e voler pagare) sempre più.