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Le macchine del futuro? Ecco come erano immaginate in passato

di Federica Valbonesi |

Oggi in tutto il settore dell’automotive si continua ad avere la stessa fervida immaginazione, ma con la differenza non di poco conto della tecnologia che abbiamo a nostra disposizione e che rende più facile concretizzare ogni idea, proprio grazie alle sperimentazioni coraggiose di quegli anni.

Negli anni Cinquanta si svilupparono moltissime idee su come le auto del futuro sarebbero state. Si immaginavano macchine dalle forme eccentriche, simili a fusoliere di aerei o semplicemente con tre ruote, ma sempre con caratteristiche sempre pronte a strabiliare anche la feconda fantasia del tempo. Molti dei modelli previsti in quel periodo non si sono poi realizzate, ma tra gli anni Cinquanta e Settanta vennero ideate alcune soluzioni che sarebbero poi diventate comuni a tutte le auto. Basti pensare ai vetri elettrici, al climatizzatore, al sistema di antibloccaggio delle ruote e molto altro ancora.

Figura 1, Davis Divan, costruita dalla Davis Motocar Company nel 1948

In un cortometraggio prodotto nel 1948, la rivista statunitense Popular Mechanics riportò 3 modelli di auto del futuro, che però, per un motivo o per un altro, non sono mai riuscite a farsi strada nel mercato. Il primo è il Davis Divan: 4 posti, un solo pneumatico anteriore, massima manovrabilità. Aerodinamico e slanciato, il Divan venne costruito dalla Davis Motocar Company di Van Nuys e ideato dal venditore di auto usate Gary Davis. Alcune idee per il design dell’auto del futuro vennero tratte persino dall’ industria aeronautica, tra cui l’adattamento del sistema di atterraggio del carrello. Sfortunatamente, furono solo 13 le Divan che videro la luce del sole, finché l’azienda fu citata in giudizio per non essere riuscita a tener fede all’impegno di consegnare il prodotto al mercato. Quindi in un certo senso la domanda ci sarebbe anche stata…

Figura 2, prototipo della Hoppe & Streur Streamliner, costruita dalla Consolidated Aircraft Corporation nel 1935

Il secondo modello è il prototipo della Hoppe & Streur Streamliner. Nonostante nel cortometraggio del 1948 venisse definita come “l’auto del futuro”, la Hoppe & Streur Streamliner era stata progettata e costruita nel 1935 da Allyn Streur e Allen Hoppe, come parte della Consolidated Aircraft Corporation, un’azienda aeronautica statunitense fondata negli anni Venti. Due ali, fusoliera in alluminio, e 5 posti, questo mezzo si avvicinava forse di più a un velivolo che a un’autovettura.

Figura 3, prototipo TACSO, progettata da Gordon Buehrig nel 1948

Il terzo modello, il prototipo TACSO di Gordon Buehrig, fu progettato nel 1948 e presentava una caratteristica per i tempi estremamente avanzata: il tetto trasparente in vetro, ripreso peraltro dai caccia militari dell’epoca, poteva infatti essere rimosso. Elementi come un forte design sportivo, parafanghi anteriori in vetroresina laminata e uno scompartimento del conducente che assomigliava a un pannello di controllo di un aereo, non furono però sufficienti per lanciare sul mercato l’autovettura. La produzione in serie sarebbe stata infatti troppo costosa, visto che il prezzo di una TACSO si sarebbe al tempo aggirato intorno agli 80.000 dollari. Dunque, il prototipo che appare nel cortometraggio della Popular Mechanics è l’unico esistente. Anche se il progetto di Gordon Buehring non andò a buon fine, nel 1968 l’ideatore riuscì a vendere il brevetto per il tetto removibili alla Corvette, guadagnando però pochissimi soldi.

Figura 4, Peel Trident, costruita dalla Peel Engineering Company nel 1965

Sempre negli anni ’60 venne sviluppato il prototipo di un’autovettura che oggi potrebbe tornare alquanto utile. La Peel Trident, la due posti più piccola che sia mai stata progettata, fu ideata nel 1965 per gli abitanti dell’Isola di Man dalla Peel Engineering Company. Fornita di un motore di una Vespa e un cambio a tre velocità potrebbe essere la soluzione al traffico dei nostri giorni. L’unica pecca? Non è dotata di retromarcia, ma in fondo fu costruita con l’idea di poter essere facilmente spinta nelle manovre, considerato il suo peso inferiore ai 100 chili.

Figura 5, BAT, commissionata dall’Alfa Romeo e realizzata nel 1955

Forse ancora più stravagante tra i modelli più stravaganti fu, nel 1955, il modello della BAT, acronimo di Berlinetta Aerodinamica Tecnica, e in effetti l’aerodinamicità è il suo tratto caratterizzante. Commissionata dall’Alfa Romeoall’imprenditore italiano Nuccio Bertone, la BAT era in grado di raggiungere i 200 Km/h, con una tenuta di strada per l’epoca eccezionale. Fu superata forse, solo dalla Ferrari Modulo del 1970, che vantava 550 cavalli ed era stata progettata come “auto sportiva estrema”. Solo un anno prima nasceva invece la Firebird della General Motors: due posti, ognuno coperto da una bolla di vetro e comandi doppi, così da permettere ad entrambi i conducenti di guidare quest’autovettura, in realtà più simile a un aereo o ad un caccia militare che ispirato al concetto di automobile a cui siamo abituati. Realizzata in titanio, due motori e un impianto di climatizzazione, la Firebird era equipaggiata anche con controllo automatico della velocità; un mezzo davvero fenomenale per l’epoca. 

Figura 6, Ferrari Modulo del 1970

Figura 7, Firebird progettata dal designer Harley Earl della General Motors

Tranne alcune eccezioni, come quelle sin qui prese in esame, il design delle auto tra gli anni Cinquanta e Settanta non è cambiato poi così tanto. Si può quindi dire che le auto di questi anni nascondono i progressi sotto il cofano e nel pannello di controllo.

All’inizio degli anni Settanta, il celebre presentatore della serie della BBCTomorrow’s World”, James Burke mostrò in una puntata del programma il prototipo dell’auto del futuro, la Triumph 2000. Non ancora acquistabile, si stimò che il prezzo di questa macchina si sarebbe aggirato intorno alle 55.000 sterline, una cifra esorbitante per i valori dell’epoca.

Figura 8, Triumph 2000

Mentre il design delle autovetture rimaneva per lo più simile, a dare impulso al loro impatto furono e le soluzioni prese a prestito dal mondo aeronautico, grazie all’introduzione di avanzati sistemi elettronici nel loro sistema che trasformarono gli scarni cruscotti dell’epoca. Anche il prototipo della Triumph 2000 poteva vantare infatti innovativi componenti elettronici, come nuovi sensori, che sarebbero poi diventati comuni a tutte le autovetture. Progettata per essere più efficiente, sicura e facile da guidare, la Triumph 2000 presentava infatti una grande novità: un piccolo schermo sul quale in caso di un malfunzionamento, sarebbero apparse alcune scritte. Una soluzione del tutto inedita per l’epoca. Negli anni Settanta il fatto di poter essere avvertiti in caso la pressione o il livello dell’olio fossero sul punto di diventare insufficienti o vi fosse un guasto a una lampadina o un problema al liquido dei freni, venne considerata una grande innovazione. La Triumph 2000 anticipava quindi il successivo arrivo della tecnologia del cruscotto evoluto. Infatti, nel prototipo presentato, era anche possibile impostare la velocità alla quale si voleva viaggiare, attivare il sistema, e i sensori avrebbero fatto il resto: prendendo informazioni dal tachimetro, la velocità desiderata sarebbe stata raggiunta attraverso un controllo automatico dell’acceleratore. Progettato anche per essere più sicuro, questo prototipo presentava dei sensori in grado di calcolare la velocità media alla quale le ruote avrebbero dovuto rallentare una volta premuto il pedale del freno. Nel caso in cui le ruote avessero frenato più velocemente del dovuto, i sensori avrebbero diminuito la pressione sui freni così da impedire il bloccaggio delle ruote. La Triumph 2000 presentata da James Burke preannunciava dunque il controllo automatico della velocità e il sistema dei freni ABS.

In conclusione, in passato, quando si parlava di automobili, si sognava in grande. Tra gli anni Cinquanta e Settanta sono state ideate automobili stravaganti e sistemi tecnologici per l’epoca davvero avanzati. Oggi in tutto il settore dell’automotive si continua ad avere la stessa fervida immaginazione, ma con la differenza non di poco conto della tecnologia che abbiamo a nostra disposizione e che rende più facile concretizzare ogni idea, proprio grazie alle sperimentazioni coraggiose di quegli anni.