Barack Obama in manette. Le recenti accuse lanciate dal presidente Donald Trump ai Dem, e in particolare all’ex titolare della Casa Bianca Barack Obama, prendono forma in un video realizzato con l’intelligenza artificiale.
Il filmato, risultato della tecnologia deepfake, riproduce l’arresto dell’ex presidente all’interno dello Studio Ovale, davanti agli occhi compiaciuti di Trump, per poi concludersi con Obama incarcerato, con tanto di tuta arancione.
Il nuovo attacco ai Democratici, stavolta in formato video condiviso sulla piattaforma Truth Social, è rapidamente diventato virale, scatenando una bufera politica e mediatica. Si, perchè la natura “artificiale” del contenuto scioccante, oltre che infamante, non è stata segnalata in alcun modo dal Tycoon.
Nessun disclaimer, nessun avvertimento, nessun contesto. E la cosa ha confuso, nonchè irritato, molti utenti. Tra i commenti: “Questo è profondamente irresponsabile”, scrivono alcuni, mentre altri ironizzano: “Qualsiasi cosa pur di non parlare dei file di Epstein…”.
La politica dietro il deepfake: nuove accuse a Obama
Nel video, dal tono chiaramente strumentale e provocatorio, si sente Barack Obama pronunciare la frase: “Soprattutto il Presidente è al di sopra della legge”, seguita da dichiarazioni di altri politici americani che ribadiscono: “Nessuno è al di sopra della legge”. Un montaggio costruito ad arte per suggerire la colpevolezza dell’ex presidente in quella che Trump definisce una maxi frode elettorale risalente a quasi dieci anni fa.
A sostenere apertamente la tesi del Presidente repubblicano è Tulsi Gabbard, attuale Direttrice dell’Intelligence Nazionale, che ha redatto un rapporto esplosivo di 114 pagine. Il documento denuncia un presunto complotto ai massimi livelli della sicurezza nazionale statunitense, volto a screditare la vittoria elettorale di Trump nel 2016, attribuendola falsamente a interferenze russe.
Nel mirino del dossier: James Clapper, John Brennan, James Comey e Susan Rice. Secondo Gabbard, questi alti funzionari avrebbero manipolato informazioni di intelligence per orientare l’opinione pubblica e innescare l’indagine Mueller.
Tra le prove citate, un memo del 7 dicembre 2016 che escludeva qualsiasi attacco informatico in grado di alterare il risultato delle elezioni. Tuttavia, un incontro alla Casa Bianca appena due giorni dopo, il 9 dicembre, avrebbe dato il via alla costruzione di un report “falsato”, pubblicato nel gennaio successivo, che alimentò la narrativa dell’ingerenza russa.
La documentazione è stata trasmessa al Dipartimento di Giustizia per una possibile azione legale, ma al momento non sono state confermate incriminazioni, riferisce la CNN.
Intelligenza artificiale, propaganda e confini etici
L’episodio riaccende i riflettori su una questione urgente, ossia l’uso distorto dell’intelligenza artificiale nel dibattito politico. Deepfake come quello pubblicato da Trump pongono, infatti, interrogativi seri sulla disinformazione, sul rischio di manipolazione dell’opinione pubblica e sul ruolo delle piattaforme nel regolare contenuti ingannevoli.
La tecnologia corre, e la politica sembra pronta a sfruttarne ogni sfumatura, anche le più controverse. Ma in un’epoca in cui il confine tra vero e falso si fa sempre più labile, quanto può costare un sorriso davanti a un arresto virtuale?