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L’accelerazione tecnologica sta riscrivendo le regole della guerra moderna. L’analisi ASviS

droni

“Ci avviciniamo agli Shahed a 150 o 200 metri. Se li colpisci troppo vicino, l’onda d’urto ti travolge. Se ti trovi un po’ più lontano, diciamo a 500 metri, puoi sparare al motore, la parte più vulnerabile”. Sidehi (nome di fantasia) è un artigliere ucraino che ha raccontato a DW di aver abbattuto recentemente tre droni kamikaze russi nel giro di mezz’ora. Per farlo ha utilizzato un piccolo Yak-52, un aereo d’addestramento. Ma l’innovazione corre veloce, e la Russia sta individuando modi per intercettarli. Nel frattempo si dichiara pronta a produrre fino a 2.700 droni Shahed al mese da lanciare su Kiev: di brevetto iraniano, queste armi, che fino a pochi anni fa non esistevano, costano relativamente poco (tra i 20mila e i 60mila dollari) e garantiscono una gittata lunga, all’incirca 1.600 chilometri.

In questi tre anni e mezzo la guerra in Ucraina è diventata un laboratorio accelerato di tecnologia militare: l’esplosione dei droni, passati da poche centinaia a milioni; l’uso incrociato di droni marittimi, terrestri e aerei (come nel caso della battaglia di Lyptsi o del Mar Nero); la combinazione di intelligenza artificiale e sensori civili per individuare i bersagli; l’adattamento rapido e centralizzato delle tattiche, grazie agli update quotidiani di software e algoritmi.

Apprendimento e adattamento sono sempre stati parte integrante della guerra”, ha scritto su Foreign Affairs Mick Ryan, stratega militare ed ex alto ufficiale dell’esercito australiano, “ma il ritmo sta accelerando. Ci sono voluti anni all’esercito statunitense per adattarsi alle esigenze fisiche e intellettuali delle operazioni di contro-insurrezione in Afghanistan e Iraq, ma solo pochi mesi all’Ucraina per sviluppare la sua flotta di droni da attacco marittimo”. Per questo, secondo Ryan, i cambiamenti in Ucraina influenzeranno ogni istituzione militare nel prossimo decennio.

Muro di droni

Lo spiega bene il think tank americano Atlantic Council, che al fattore droni attribuisce una funzione che va ben al di là del conflitto in corso: “Se questo muro di droni ucraini riuscirà a dimostrare la sua efficacia nei prossimi mesi e a smorzare la grande offensiva di Putin, ciò probabilmente plasmerà la futura dottrina difensiva nelle accademie militari in Europa e oltre”. Nel conflitto in Ucraina entrambe le parti hanno sfruttato ampiamente le armi a pilotaggio remoto. Ma l’uso sistemico da parte di Kiev, con capacità sempre più autonome di comunicazione e decisione (si veda il progetto “The Drone Line”), sta già attirando molta attenzione tra i partner europei. Anche perché le violazioni dello spazio aereo in Polonia, Estonia, Romania e Danimarca, spesso attribuite alla Russia in un contesto di guerra ibrida, hanno creato grande incertezza. Non a caso a inizio ottobre i leader dell’Ue riuniti a Copenaghen si sono schierati a favore della creazione di un “muro di droni” su scala europea. Solo Slovacchia e Ungheria sono rimaste tiepide, per via dei loro rapporti con Mosca. A quanto si apprende, il progetto dovrebbe prevedere una rete di sensori, software di intelligenza artificiale, jammer (strumento chiave nell’attacco elettronico), missili economici e altro ancora per contrastare sciami nemici.

Il conflitto in Ucraina ha anche stravolto i tradizionali calcoli costi-benefici nelle operazioni militari. Come osserva in un paper il Center for strategic and international studies (Csis), “la tradizionale enfasi su forze costose e ad alta potenza di fuoco – carri armati, navi da guerra e aerei avanzati – è messa in discussione dall’efficacia di risorse a basso costo come i droni. E si tratta di sviluppi che si estenderanno oltre l’Ucraina”.

La Nato ha molto da lavorare su questi fronti. Un anno fa un rapporto del Csis si chiedeva se l’Alleanza fosse pronta per la guerra. La risposta è stata che, se un conflitto durasse, emergerebbero “gap critici”: la Nato deve potenziare la capacità industriale, la resilienza e coprire deficit di capacità tecnologica per sostenere guerre prolungate.

La velocità della guerra

La rapidità dell’innovazione è un altro punto chiave. Il vicedirettore di Repubblica Gianluca Di Feo, ospite di un incontro organizzato a Roma dalla Fondazione Ugo La Malfa, ha sottolineato che in Ucraina qualunque arma o contromisura “diventa obsoleta dopo sei mesi”. Ogni volta che uno dei due eserciti introduce una novità (un nuovo protocollo di guida, un filtro anti-jam, un profilo di volo), l’avversario trova presto un antidoto. Fanno eccezione alcuni sistemi, come certi droni “a filo” guidati in fibra ottica (con cavi lunghi anche 40 chilometri), che sfuggono al jamming radio, ma anche lì la partita resta aperta. Questa velocità ha effetti sistemici: i cicli d’acquisto europei, impostati su tempi lunghi e capitolati rigidi, non stanno dietro al ritmo del conflitto. Secondo gli esperti, l’Europa (se vuole contare) deve accettare che la tecnologia cambia in pochi mesi e che quindi servono filiere più corte, standard comuni e procedure più snelle. Per l’ex generale Vincenzo Camporini bisogna cambiare velocemente mentalità su procurement, standard comuni e integrazione industriale, perché la tecnologia “non aiuta soltanto”, ma “ridefinisce la tattica”.

E infatti le tattiche cambiano. La linea del fronte “continua”, ha detto ancora Di Feo, non esiste più: al suo posto una fascia porosa e “atomizzata”, dove pattuglie piccolissime (spesso due uomini) si infiltrano guidate da un drone “angelo custode” che le vede dall’alto, le fa avanzare o fermare, gli porta persino acqua, cibo e sigarette con micro-rilasci. Queste squadre indossano tute che riducono l’emissione infrarossa per risultare meno visibili ai sensori dei droni avversari. Quando intercettano un movimento, passano coordinate e scatenano lo strumento più adatto: fuoco d’artiglieria, missili plananti o balistici, lo stesso sciame di droni.

Anche l’impatto sui soccorsi è drammatico. In Ucraina, nelle operazioni di MedEvac (medical evacuation), l’elicottero non si avvicina: troppo vulnerabile a droni e antiaerea. Così la “golden hour”, il soccorso entro un’ora dal trauma, diventa spesso impossibile; i feriti restano ore sul terreno e li si prova a evacuare con piccoli robot terrestri cingolati, bassi, meno visibili ai droni da ricognizione. È un adattamento che prima non esisteva e, secondo gli esperti, scardina la logistica classica.

Laser e robot

Scenari di guerre del futuro che sono già davanti a noi. La corsa a riscrivere dottrine e addestramenti non si ferma a Kiev. Negli Stati Uniti e in Israele, ad esempio, si stanno già testando unità miste uomo-macchina, dove soldati e robot operano insieme come un’unica squadra. A Gaza l’esercito di Netanyahu ha usato sistemi di intelligenza artificiale per la selezione e l’ingaggio dei bersagli, riducendo i tempi di reazione durante le violente operazioni sul campo.

Nel Pacifico, Taiwan sta portando avanti il sistema T-Dome, presentato pochi giorni fa, che unisce radar, software di AI e armi anti-drone in un’unica rete di difesa. È pensato per riconoscere e neutralizzare in pochi secondi sciami di droni o missili in arrivo da più direzioni, coordinando in tempo reale sensori e fuoco difensivo.

Entro dieci anni potremmo assistere a ulteriore saltoarmi come laser a energia diretta, sensori quantistici, automazione estesa, robot terrestri potrebbero entrare sul campo. In parallelo, continuerà la guerra informativa e cyber, che si nutre di fake news, pressione sull’opinione pubblica e sabotaggi di infrastrutture energetiche.

Anche lo spazio sarà un dominio sempre più contesocome evidenzia The Conversation “il potere che domina lo spazio controlla l’accesso alle tecnologie critiche necessarie per operare nei restanti ambiti di conflitto: terra, mare, aria e informazione. Se si mettono fuori uso le comunicazioni satellitari del nemico, questo diventa cieco, sordo, muto e praticamente indifeso”. La Cina ha identificato lo spazio come un ambito strategico di importanza critica: è all’avanguardia in termini di strategia e investimenti. In Occidente la maggior parte della ricerca e dello sviluppo è svolta dai privati. Un tema che pone degli interrogativi: in che misura lo Stato può esercitare un controllo effettivo su questi beni per impedirne l’uso da parte di potenze straniere?

I dilemmi

Nell’evoluzione a cui stiamo assistendo le criticità non mancano. Le regole d’ingaggio, per esempio: chi può abbattere un drone nel proprio spazio aereo, e in che condizioni? Come comportarsi se un drone è “civile” ma utilizzato per scopi “ibridi”? Germania e altri stanno cercando di legiferare su questi temi. Da non trascurare, poi, il tema della dipendenza tecnologica: molti componenti critici (sensori, processori, sistemi a radiofrequenza) vengono da pochi fornitori globali. In un conflitto prolungato, la resilienza industriale diventa tanto importante quanto le prestazioni del drone. Intanto, in Ucraina si sta diffondendo un nuovo disturbo psicologico legato direttamente alla guerra moderna: la “drone‑phobia”, una condizione di ansia persistente e panico acuto provocato dal solo rumore di un drone in volo.

Secondo il futurista Bernard Marril rischio è quello di”tecnologizzare” la brutalità della guerra: “La storia ci insegna che qualsiasi regola o principio di fair play spesso si rivela irrilevante in guerra. Mentre, da quanto abbiamo visto, l’intelligenza artificiale in Ucraina sembra non arrivare a uccidere persone, sappiamo che la tecnologia che oltrepassa quella linea rossa è in fase di sviluppo”. Di diverso avviso Zena Assaad, docente di Ingegneria all’Australian national university: “L’idea che l’AI possa cambiare la natura della guerra offusca la realtà del ruolo che gli esseri umani svolgono nel processo decisionale militare. Sebbene questa tecnologia abbia presentato e continuerà a presentare sfide, queste sfide ricadranno sempre sulle persone”.

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