Un’inversione di marcia rispetto alle ultime COP. La Banca Mondiale ha annunciato il ritorno al finanziamento di progetti di energia nucleare nei Paesi in via di sviluppo. Una decisione che segna un punto di svolta nella politica energetica globale, finora dominata da una linea di rigore verso il nucleare e i combustibili fossili.
Negli ultimi vertici internazionali sul clima, dalla COP28 a Dubai alla recente COP29, il nucleare era rimasto fuori dai riflettori, relegato ai margini del dibattito. Eppure, il contesto è cambiato. La crescente urgenza di soddisfare la domanda energetica globale, intensificata dall’avvento dell’AI, ha riaperto la porta all’atomo, visto come strumento strategico per una transizione rapida e stabile.
Il divieto di finanziare progetti nucleari, introdotto nel 2013, e quello sul petrolio e gas upstream (dal 2019) avevano rappresentato una linea rossa. Oggi, quel confine viene superato.
Via libera al nucleare, cautela sul gas
Secondo Ajay Banga, presidente della World Bank dal 2023, il consenso sul nucleare è stato rapido. Meno fluido, invece, il confronto sul gas naturale, soprattutto nella fase di estrazione. Francia, Germania e Regno Unito restano scettiche sull’apertura indiscriminata a nuovi progetti fossili.
L’obiettivo, però, è chiaro: garantire l’accesso all’energia nei Paesi a basso reddito, dove la domanda è destinata a raddoppiare entro il 2035. Ciò richiederà investimenti superiori ai 280 miliardi di dollari l’anno solo per generazione, reti e sistemi di stoccaggio.
Un mix energetico su misura per lo sviluppo
La strategia di Banga abbraccia un approccio pragmatico e inclusivo: non esistono soluzioni universali, ma mix energetici personalizzati. Alcuni Paesi punteranno su solare, eolico e idroelettrico, altri integreranno anche nucleare e gas, valutando costi, impatto e affidabilità.
Per garantire sicurezza e trasparenza, la Banca collaborerà con l’AIEA (Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica) su aspetti chiave come non proliferazione, normative e sistemi di controllo. Il sostegno riguarderà anche il potenziamento delle reti esistenti, l’estensione della vita utile dei reattori attuali e lo sviluppo dei nuovi reattori modulari di piccola taglia (SMR), considerati più flessibili e sicuri.
Il peso geopolitico degli Stati Uniti
A spingere per la svolta nucleare c’è anche Washington, primo azionista della Banca Mondiale con oltre il 15% delle quote. La posizione dell’amministrazione Trump, favorevole al nucleare e critica verso gli impegni della COP21, ha giocato un ruolo chiave nell’orientare il dibattito interno.
La logica è chiara. Se i Paesi sviluppati possono ancora utilizzare combustibili fossili, non si può negare ai Paesi in via di sviluppo l’accesso a fonti affidabili e competitive per crescere economicamente.
Il nodo ambientale e le critiche
Non mancano però le voci critiche. Alcuni attivisti ambientali temono che il rilancio del nucleare e del gas distolga risorse vitali dalle rinnovabili, come il solare e l’eolico, già oggi sempre più convenienti. Inoltre, si teme un rallentamento nella corsa verso un futuro a basse emissioni.
Flessibilità e futuro: la nuova roadmap energetica
La nuova politica energetica della Banca prevede una maggiore flessibilità decisionale per i singoli Stati, che potranno scegliere in autonomia il mix più adatto ai propri obiettivi. Il finanziamento al gas sarà concesso solo se rappresenta l’opzione più sostenibile e conveniente, senza ostacolare le rinnovabili.
La Banca continuerà inoltre a:
- finanziare il phase-out del carbone;
- sostenere progetti di carbon capture per industria e produzione energetica (escludendo però il recupero petrolifero);
- esplorare tecnologie emergenti come l’energia marina e l’idrogeno verde.
In sintesi la Banca Mondiale cambia passo. Il ritorno al nucleare e una nuova apertura (cauta) al gas segnano una svolta pragmatica e geopolitica nella corsa all’energia. Tra esigenze di sviluppo e sfide climatiche, la parola d’ordine diventa equilibrio energetico, economico e ambientale.