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La via stretta di Genish. Il disegno acrobatico della sua rete unica

Amos Genish, Amministratore delegato di Telecom Italia (TIM), non è certamente in una situazione facile.

La cronaca delle ultime settimane lo conferma e per la verità non sembra che egli stia facendo molto per uscirne.

Va innanzitutto considerato che è un amministratore delegato in minoranza nel Board. Rappresentare solo una componente minoritaria degli azionisti toglie già molta forza alla sua azione.

L’incertezza pesa come un macigno

Poi ci sono le condizioni oggettive di TIM. Oggettive per modo di dire, perché sono state determinate da una serie di errori di Vivendi accumulatisi nel corso dei mesi.

Al primo posto vi è la perenne incertezza in cui naviga TIM ovvero la mancanza di un chiaro piano industriale, un vuoto che si sta riflettendo pesantemente sul valore del titolo che è tornato ai suoi minimi storici. Non a caso negli ultimi mesi si è inoltre diffuso uno scetticismo sempre più profondo tra gli analisti e gli investitori internazionali sul futuro della società. Secondo molti di loro non c’è chiarezza su quello che la società vuole fare, per cui preferiscono tutti vendere ed aspettare sul bordo del fiume.

Non si tratta di debacle imprevista, ma di problemi vistosi che sono ormai da tempo sul tavolo e sono sotto gli occhi di tutti.

Sembra di assistere al corteo regale, ma nessuno osa dire che il Re è nudo.

I problemi di TIM, tra assetto azionario, dinamiche competitive e necessità di fare investimenti

Il primo problema di TIM è l’assetto azionario e questo Genish non può certamente risolverlo.

Quali sono le vere intenzioni del gruppo Vivendi e quelle del Fondo Elliott?

Vogliono rimanere e per quanto tempo?

O vogliono tutti uscire, ma non sanno come fare?

Il secondo problema è l’assetto competitivo del mercato italiano e la necessità di fare prima possibile consistenti investimenti per le nuove reti FTTH e 5G.

Da una parte si è aperta la concorrenza nel mercato wholesale grazie alla presenza di Open Fiber che sta investendo nella nuova rete FTTH in tutto il Paese. Una circostanza che sta mettendo in oggettiva difficoltà Telecom Italia costretta a fare sconti (e legando la convenienza dell’offerta a contratti pluriennali – sempre che l’Antitrust non obietti nulla), ma anche a ridurre i suoi margini e quindi a ridurre il valore della stessa sua rete.

Dall’altra la società guidata da Amos Genish sarà costretta in tempi rapidi a mettere sul piatto consistenti investimenti sia per l’acquisto delle frequenze (la cui asta verrà lanciata prevedibilmente entro l’anno) sia per sostenere gli investimenti infrastrutturali per lo sviluppo del 5G.

Secondo quanto diffuso dalla stessa TIM l’impegno è di investire 9 miliardi di euro in Italia entro il 2020, per portare la fibra nell’80% delle unità abitative e in 100 città con tecnologia FTTH.

Ma dove prenderà TIM tutti questi soldi?

Nel frattempo, la dinamica competitiva del mercato è sempre più frizzante, il che vuol dire che si sta deteriorando.

L’ingresso di Iliad sta avendo un effetto dirompente.

I prezzi della telefonia mobile in Italia stanno crollando rapidamente grazie alla concorrenza e TIM (come gli altri) si dovrà adeguare a questa nuova situazione.

Il rapporto con le istituzioni

Altra questione bollente per TIM rimane il rapporto, non ancora risolto, con il nuovo Governo e le Autorità regolatorie, ma va anche aggiunto che le cose non vanno meglio con le Istituzioni europee.

Per il momento il confronto sembra essere concentrato solo sul tema della crisi aziendale.

Tra esuberi, cassa integrazione e solidarietà, Amos Genish ha cercato di uscire dall’angolo, accusando alcuni dei suoi consiglieri di amministrazione di remare contro di lui e facendo al tempo stesso una apertura per una possibile fusione con Open Fiber.

Ma i risultati dell’ultimo consiglio di amministrazione non sono stati certamente lusinghieri per lui.

Il rapporto con Open Fiber

Quello che, a parere di molti esperti, Genish non ha ancora capito è che non è possibile, almeno per come la propone lui, una fusione tra TIM (o direttamente o tramite Flash Fiber) e Open Fiber per una serie di ragioni. Due su tutte.

La prima è che le Autorità antitrust e regolamentari non la permetterebbero mai ed in ogni caso sarebbero costrette a mantenere o ad imporre remedies molto onerosi per la società, a partire dall’orientamento al costo delle nuove reti a causa delle restrizioni nella concorrenza.

La seconda è che in caso di fusione con Open Fiber si tornerebbe al passato. l’Italia avrebbe di nuovo una rete unica controllata verticalmente dall’incumbent con tutti i problemi di governance e discriminazione che si creerebbero e questo renderebbe di fatto impossibile per il regolatore proporre alcun incentivo regolamentare.

Genish dovrebbe dire definitivamente addio anche all’introduzione della RAB (Regulatory Asset Base), a lui tanto cara, la metodologia di calcolo dei costi utilizzata per le public utilities.

Poi c’è una questione di sostanza. Con la fusione TIM/Flash Fiber/Open Fiber verrebbe meno la concorrenza nel mercato wholesale e Telecom Italia potrebbe essere indotta a rallentare o bloccare gli investimenti in FTTH, cercando di mantenere il più a lungo possibile la vecchia rete in rame a danno del paese

 

La soluzione?

Allora quale potrebbe essere la soluzione?

L’unica soluzione possibile forse potrebbe essere quella che sia Open Fiber “a salvare TIM”, a comprare la rete di TIM scorporata, senza la parte servizi, mantenendo l’impegno a rimanere una società Wholesale only.

Questo garantirebbe la neutralità a tutti gli altri operatori alternativi e la continuità del piano negli investimenti richiesti per FTTH nel nostro paese.

In questo modo la nuova società guidata da Open Fiber potrebbe godere anche di tutti i vantaggi regolamentari riservati alle società wholesale only previsti dal nuovo Codice europeo rispetto agli stringenti obblighi regolamentari previsti in capo agli operatori verticalmente integrati.

Staremo a vedere, ma la via di Amos Genish si sta facendo sempre più stretta.

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