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La transizione energetica costerà alle Petro-Nazioni 13.000 miliardi di dollari entro il 2040

La transizione energetica che ci farà superare i combustibili fossili genererà una marcata diminuzione delle entrate nelle casse pubbliche di molti Stati produttori di petrolio, gas naturale e in minor misura di carbone.

Secondo un nuovo Rapporto, elaborato dal think-tank Carbon Tracker, a causa della riduzione dei consumi di petrolio e di altri combustibili fossili, le Petro-Nazioni potrebbero perdere entro il 2040 qualcosa come 13.000 miliardi di dollari per mancate entrate nelle casse statali.

La transizione verde e le vecchie economie (o rendite)

La transizione energetica verde sta modificando vecchi assetti economico-industriali, vecchie rendite di mercato, ma tutto questo ha evidentemente un costo, anche molto salato per decine di Stati che hanno preso parte a questo gioco globale.

La domanda di petrolio andrà progressivamente diminuendo e questo porterà ad una riduzione del prezzo del greggio.

Per molti Petro-Stati, soprattutto africani, questo significherà davvero un taglio considerevole dei guadagni, mentre per altri ancora, come l’Arabia Saudita, ad esempio, con un costo di estrazione/raffinazione tra i più bassi al mondo, l’impatto della transizione verde sarà sicuramente meno forte.

L’Africa al centro della trasformazione energetica mondiale

Per gli Stati economicamente meno preparati alla transizione energetica mondiale, quindi quelli che più hanno investito in petrolio e gas naturale, in tutto una quarantina circa, il danno potrebbe essere considerevole.

Per l’Angola e l’Azerbaigian le perdite potrebbero arrivare al 40%, per altri come Nigeria e Algeria tra il 20 ed il 40%.

Arabia Saudita, come detto, assieme a Iraq, Qatar, Kuwait, Iran, Malesia, Libia, Norvegia e Kazakhstan, invece, le perdite saranno compensate dai bassi costi di strazione.

Altri Paesi come Ghana, Uganda e Guyana, invece, considerati Petro-Stati emergenti, potrebbero invece evitare di investire solamente in combustibili fossili e diversificare le proprie entrate.

Affidarsi al petrolio, mentre il resto del mondo è guidato vero la transizione energetica verde, non è una buona idea.

Diversificare gli investimenti per evitare la crisi

Secondo il think tank meglio sarebbe diversificare gli investimenti per ampliare il proprio orizzonte economico-finanziario.

Almeno 19 Stati esaminati nel Report sono considerati “vulnerabili” nei confronti della transizione energetica in corso.

Angola, Sudan, Chad, Camerun, Gabon, saranno gli Stati più colpiti in termini di risvolti sociali in questa fase storica di transizione.

Parliamo di una popolazione complessiva di oltre 400 milioni di persone.

Investire nell’istruzione, nella sanità, in altri settori economici ed energetici più resilienti alla transizione, potrebbe evitare il peggio a molti di questi Stati, senza considerare l’impatto positivo che tali scelte avrebbero in termini di miglioramento della qualità della vita dei cittadini, di lotta alla povertà (condizione cronica per una larga fetta della popolazione di questi Stati) e di riduzione dei conflitti religiosi, sociali e politici (spesso legati a fazioni rivali proprio per il controllo dei combustibili fossili, grande fonte di profitti, spesso privatizzati dal più forte di turno).

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