Cosa succede quando un laboratorio nato per “salvare il mondo dall’intelligenza artificiale” diventa uno degli attori più potenti nella corsa globale all’AI?

È questa la domanda al centro del nuovo libro Empire of AI: Dreams and Nightmares in Sam Altman’s OpenAI, firmato dalla giornalista investigativa Karen Hao, ex corrispondente di MIT Technology Review.
Attraverso un’inchiesta lunga anni e un accesso diretto agli uffici e ai dirigenti di OpenAI, Hao ricostruisce la metamorfosi della società fondata nel 2015. Oggi, OpenAI è tutt’altro: una macchina tecnologica e commerciale al centro di interessi strategici, partnership miliardarie e crescenti polemiche.
Gli inizi nel 2019
Nel 2019, Karen Hao ottenne un raro permesso per osservare da vicino il lavoro quotidiano di OpenAI. Intervistò a lungo figure chiave come Greg Brockman (cofondatore e oggi presidente) e Ilya Sutskever (chief scientist). Già allora, il clima era teso. L’organizzazione stava cambiando pelle: dall’iniziale modello no-profit alla struttura “capped-profit”, una forma ibrida pensata per attrarre investitori mantenendo una vocazione sociale.
Quella trasformazione si concretizzò poco dopo con l’accordo da un miliardo di dollari con Microsoft, che garantì alla Big Tech l’accesso esclusivo all’infrastruttura cloud (Azure) per lo sviluppo dei modelli OpenAI. Secondo Hao, fu il primo vero segnale di come la missione iniziale stesse lasciando spazio a logiche di mercato e alle pressioni dell’industria.
Empire of AI mette in discussione la narrativa ufficiale di OpenAI
L’AGI – intelligenza artificiale generale – è l’obiettivo dichiarato di OpenAI. Un software capace di emulare o superare l’intelligenza umana in quasi ogni ambito, dalla medicina al clima. Ma mentre Brockman e Sutskever ne parlavano come di una rivoluzione positiva, Hao ha posto interrogativi centrali: chi controllerà questa tecnologia? A quale costo sociale, ambientale ed etico sarà raggiunta?
Durante la sua visita, Hao raccolse segnali inquietanti: accessi negati, comunicazioni filtrate, dipendenti sottoposti a rigide restrizioni. Poco dopo la pubblicazione del suo articolo nel 2020, OpenAI interruppe ogni comunicazione con lei. La cultura della trasparenza, pilastro fondante del progetto, sembrava essere svanita.
Empire of AI mette in discussione la narrativa ufficiale di OpenAI. L’azienda oggi controlla tecnologie che alimentano ChatGPT e altri sistemi sempre più centrali in applicazioni educative, sanitarie, aziendali e governative. Eppure, come ricostruisce Hao, la corsa al primato ha portato a decisioni discutibili: manodopera sottopagata per la moderazione dei contenuti, uso smisurato di risorse computazionali ad alto impatto ambientale, opacità crescente nelle relazioni esterne.
La spinta a “essere i primi”, afferma Hao, ha giustificato l’accumulo incontrollato di dati, la dipendenza da infrastrutture energetiche e la concentrazione del potere tecnologico in poche mani. Una corsa che rischia di amplificare le disuguaglianze anziché sanarle.
L’illusione del beneficio condiviso
Secondo Brockman, la missione rimane invariata: costruire un’AGI benefica e redistribuirne i vantaggi. Ma Hao solleva dubbi concreti: quali sono i meccanismi previsti per questa redistribuzione? Chi stabilisce cosa è “benefico”? Il rischio, evidenziato nel libro, è che l’AGI – come il fuoco, le auto o internet – sia un’innovazione tanto potente quanto potenzialmente pericolosa, se lasciata senza regole condivise.
Il parallelo con le utility energetiche, avanzato da Brockman, appare fragile: l’AI non è un servizio, ma un sistema che potrebbe ristrutturare intere società.
Empire of AI è un libro necessario in un momento in cui l’intelligenza artificiale sta ridefinendo equilibri economici, politici e culturali. OpenAI rappresenta un caso emblematico: un’organizzazione nata per “salvare il mondo” che si trova oggi al centro delle sue contraddizioni.
Le domande che pone Hao non riguardano solo un’azienda, ma il futuro di tutti: chi controlla l’AI? A chi serve davvero? E siamo pronti a gestirne le conseguenze?