Finestra sul mondo

La Spagna minaccia di far saltare l’accordo sulla Brexit, Carlos Ghosn arrestato in Giappone, Gilet gialli

di Agenzia Nova |

Poteri, economia, finanza e geopolitica nelle ultime 24 ore.

Finestra sul mondo è una rubrica quotidiana con le notizie internazionali di Agenzia Nova pubblicate in collaborazione con Key4biz. Poteri, economia, finanza, lette in chiave di interdipendenza con un occhio alla geopolitica. Per consultare i numeri precedenti, clicca qui.

La Spagna minaccia di far saltare l’accordo sulla Brexit

20 nov 11:04 – (Agenzia Nova) – La Spagna non dara’ il suo via libera all’accordo sulla Brexit se prima non otterra’ garanzie sul protocollo Gibilterra. Lo ha detto il ministro per gli Affari esteri e la cooperazione, Josep Borrell, puntando il dito contro un articolo contenuto nella bozza dell’intesa raggiunta da Regno Unito e Commissione europea, secondo cui entrambe le parti esprimono la propria volonta’ di negoziare la futura relazione. Tale cavillo, secondo l’Avvocatura di Stato, potrebbe estendersi anche al caso Gibilterra, un rischio che la Spagna non e’ disposta a correre. L’esecutivo di Pedro Sanchez, non informato di questo passaggio, e’ andato su tutte le furie e ha minacciato di porre il veto al progetto se questo non terra’ fuori la Rocca dai negoziati commerciali fra Bruxelles e Londra che inizieranno dopo l’uscita del Regno Unito. “Vogliamo un’interpretazione chiara dell’accordo raggiunto e vogliamo che i negoziati non si applichino a Gibilterra”, ha detto Borrell lunedi’ uscendo dalla riunione dei ministri degli Esteri europei. “Non resta molto tempo, bisogna risolvere la questione”, ha poi riferito il capo della diplomazia spagnola al mediatore Ue, Michel Barnier. Secondo fonti comunitarie, citate dal quotidiano “El Pais”, dopo l’intervento di Borrell a Bruxelles, diversi ministri europei si sarebbero detti favorevoli a soddisfare la richiesta spagnola. Il gruppo di negoziatori si sarebbe invece mostrato riluttante a riaprire le trattative sul testo per timore che, sulla scia spagnola, anche altri Stati membri possano chiedere di introdurre cambiamenti a un documento la cui negoziazione e’ stata un esercizio di equilibrio notevole.

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Argentina-Usa, l’ingresso nell’Ocse e’ il “regalo” che Trump vuole fare a Macri al G20

20 nov 11:04 – (Agenzia Nova) – Annunciare l’ingresso dell’Argentina nell’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (Ocse). E’, secondo il quotidiano argentino “Clarin”, il “regalo” che il presidente degli Stati Uniti Donald Trump intende fare a Mauricio Macri in occasione del vertice dei capi di stato e di governo del G20, in programma il 30 novembre a Buenos Aires. Un piano che, spiegano fonti “accreditate” alla testata, che potrebbe essere frustrato dai paesi dell’Unione Europea. A fronte del via libera per Buenos Aires, sli atri quattro paesi in lista d’attesa – Brasile e Peru’ per l’America latina e Croazia e Bulgaria per l’Ue – vogliono avere informazioni chiare su quali tempi e modi sarebbero previsti per il loro ingresso. Ma Washington si rifiuta di dare dettagli e Bruxelles ritiene “inaccettabile” questa incertezza, riporta “Clarin” ricordando anche l’attuale, non felice, qualita’ dei rapporti transatlantici. Se non c’e’ “visibilita’” sul percorso che attende gli altri paesi, “il pacchetto non si perfeziona. E per ora gli Stati Uniti dicono di non essere disposto a garantire questa visibilita’”, spiega una delle fonti al quotidiano argentino. Secondo “Clarin” la volonta’ della Casa Bianca c’e’, ma senza il via libera dall’Ue il “regalo” Usa all’Argentina non arrivera’. La testata ricorda che il governo Macri ha gia’ “cantato vittoria due volte” e che per questo ora alla Casa Rosada vige la consegna della prudenza e “nessuno vuole sbilanciarsi in pronostici. L’Argentina e’ il prosciutto di un toast” che non si puo’ mordere “sino a quando gli Stati Uniti e l’Unione Europea non lo decidano. Il percorso di adesione peraltro e’ complesso e i giorni che mancano al vertice sono molto pochi. In settimana il ministro delle Finanze Nicolas Dujovne e il ministro degli Esteri Jorge Faurie si recheranno a Parigi per presentare al Consiglio dell’Ocse le carte in mano a Buenos Aires. Si parlera’ del processo di trasformazione delle strategie economiche compiute negli ultimi tre anni, dell’accordo con il Fondo monetario internazionale (Fmi) e del ripristino di molte delle relazioni internazionali finite in ombra durante i governi Kirchner. Una speranza, conclude l’articolo, e’ legata al fatto che l’Ocse ha intenzione di farsi carico di paesi disastrati, come l’Argentina, per portarli sulla retta via finanziaria, “e usarli come esempio”.

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Stati Uniti, per il “Washington Post” Trump sopravvaluta l’importanza strategica dell’alleanza con Riad

20 nov 11:04 – (Agenzia Nova) – Il presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, non comprende che l’Arabia Saudita ha bisogno dell’alleanza con gli Usa piu’ di quanto questi ultimi necessitino di Riad. A sostenerlo e’ un editoriale della “Washington Post” attribuibile alla direzione del quotidiano, secondo cui l’inquilino della Casa Bianca ha paura di abbandonare un asse strategico che risale all’amministrazione del presidente Franklin D. Roosevelt. E’ per questa ragione, afferma l’editoriale, che Trump ha risposto con ambiguita’ all’omicidio del giornalista Jamal Kashoggi da parte dell’Arabia Saudita: il presidente ha dichiarato di voler individuare i responsabili dell’omicidio, ma al contempo ha accantonato il parere delal Central Intelligence Agency (Cia), secondo cui ad ordinare l’uccisione del giornalista e’ stato proprio il principe della Corona saudita, Mohammed bin Salman. Trump, scrive la direzione della “Washington Post”, ha ragione quando afferma l’importanza di preservare le storiche relazioni tra i due paesi; ma sembra sopravvalutare, secondo il quotidiano, l’importanza strategica di Riad per gli interessi Usa nel Medio Oriente, e soprattutto sbaglia nell’identificare Riad con l’intemperante principe della Corona 33enne che e’ suo interlocutore privilegiato. Trump “sembra sopravvalutare di molto l’importanza dell’Arabia Saudita come acquirente di armi, produttore di petrolio e ‘alleato’ contro l’Iran”. Secondo il quotidiano, “il regime saudita si e’ rivelato manchevole su ciascuno di questi fronti”. Riad “ha completato solo una piccola frazione dell’acquisto di armi per 110 miliardi di dollari vantato da Trump. Starebbe valutando un taglio alla produzione di petrolio, nonostante Trump solleciti ad accelerare le operazioni estrattive”. Inoltre, come partner nel contrasto alle politiche regionali di potenza iraniane, l’Arabia Saudita e’ stata “peggio che inutile”: Riad, scrive la “Washington Post”, “non vanta alcuna presenza significativa in Siria, dove si concentra la pressione militare di Tehran”. E la campagna militare lanciata da Mohammed bin Salman nello Yemen “ha prodotto una catastrofe umanitaria che ha contemporaneamente rafforzato la posizione iraniana”. Tehran, infine “ha sorriso quando il principe saudita ha avventatamente sancito l’embargo al vicino Qatar, sito della principale base aerea Usa nel Medio Oriente”, e quando “(Riad) ha rapito il primo ministro pro-Usa del Libano”. Mohammed bin Salman, conclude l’editoriale, e’ stato abile ad ammaliare l’Occidente con i suoi annunci di riforma religiosa e modernizzazione economica, ma “nei fatti, ha causato enormi danni” proprio sul piano della laicizzazione e modernizzazione dello Stato, “arrestando una moltitudine di liberali sauditi favorevoli alle riforme, incluse le donne che si battevano per il diritto a guidare” le automobili, e silenziando giornalisti influenti per tentare di tamponare le ricadute d’immagine dell’omicidio Kashoggi.

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Stati Uniti, 16 “ribelli” democratici non voteranno la nomina di Pelosi a presidente della Camera

20 nov 11:04 – (Agenzia Nova) – Un gruppo di 16 deputati del Partito democratico statunitense, esponenti dell’ala socialista del partito, hanno formalmente annunciato ieri che non sosterranno l’elezione di Nancy Pelosi, veterana del loro partito, a presidente della Camera dei rappresentanti. L’annuncio aggrava la frattura interna al Partito democratico, che ha riconquistato la maggioranza alla Camera grazie alle elezioni di medio termine del 6 novembre scorso, ma fatica a gestire la frattura ideologica e generazionale provocata dalla sua corrente ultra-progressista, di cui sono esponenti le nuove leve e i rappresentanti piu’ giovani del partito. In una lettera ai loro colleghi, 11 legislatori e altri cinque neoeletti affermano sia “giunto il tempo per una nuova leadership”. L’elezione interna per la scelta dei leader del partito nelle due Camere del Congresso federale avverra’ a scrutinio segreto la prossima settimana. La lettera inviata ieri formalizza una fronda che sino ad oggi il partito aveva tentato di celare; se i 16 deputati negassero davvero il loro sostegno alla 78enne Pelosi, quest’ultima non disporrebbe dei voti necessari ad assumere la presidenza della Camera.

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Regno Unito, non decolla la sfiducia alla premier May mentre i ribelli Brexiters si azzuffano tra loro

20 nov 11:04 – (Agenzia Nova) – Non decolla il tentativo di sfiduciare il primo ministro Theresa May annunciato dagli esponenti piu’ anti-Ue del Partito conservatore, i cosiddetti “Brexiters”: lo ammette oggi martedi’ 20 novembre il quotidiano conservatore euroscettico “The Telegraph”, constatando sconsolatamente che non si e’ affatto materializzata l’annunciata marea di ribelli. Le dichiarazioni formali a sostegno della mozione di sfiducia, infatti, non sono arrivate neppure alla meta’ del numero necessario per lanciare la sfida alla premier May: non soltanto quindi l’assalto alla sua leadership non avverra’ oggi, come avevano preannunciato avventatamente alcuni tra i ribelli piu’ bellicosi; ma la mozione di sfiducia, semmai ci sara’, non sara’ presentata prima del voto del Parlamento, il mese prossimo, sulla legge per la Brexit che recepisce l’aborrito accordo negoziato dalla May con la Commissione europea di Bruxelles e che quindi sara’ in se’ stessa una sorta di referendum sull’operato della premier. Ad aggiunere sconforto tra le fila dei Brexiters poi, il “Telegraph” registra con sorpresa che i loro leader si stanno aspramente azzuffando tra loro. Eppure per la May le difficolta’ non mancano: ieri lunedi’ 19 novembre la premier potrebbe ormai aver definitivamente perso l’appoggio in Parlamento del Partito unionista democratico (DUP), la piccola formazione politica che rappresenta i protestanti lealisti dell’Ulster (l’Irlanda del Nord britannica) e che con i suoi dieci voti a Westminster fornisce la stampella su cui si regge la sopravvivenza del governo. Il DUP infatti ieri ha espresso una serie di voti negativi per l’esecutivo: i suoi deputati hanno rifiutato, astenendosi, di allinearsi con i Conservatori su tre emendamenti alla Legge finanziaria ed hanno addirittura votato a favore di un emendamento presentato dal Partito laborista di opposizione. La posizione assunta dagli Unionisti nordirlandesi e’ il chiaro segno della loro insoddisfazione, per non dire della loro contrarieta’, all’accordo sulla Brexit: la loro defezione significa che il governo non potra’ piu’ contare sui loro decisivi dieci voti ai Comuni per l’approvazione delle leggi piu’ controverse, a cominciare proprio dalla Legge sulla Brexit; i voti del DUP potrebbero venire a mancare persino in caso di voto di fiducia al governo May, anche se su questa eventuale prospettiva i portavoce del governo non si sono voluti sbilanciare, preferendo mostrare prudenza e evitando qualsiasi commento. Sempre ieri infine una minaccia potenzialmente micidiale per l’accordo sulla Brexit e’ arrivato dalla Spagna: mentre infatti il capo-negoziatore europeo Michel Barnier si sta affannando a vincere le ultime resistenze e smontare le critiche avanzate anche da parte di alcuni governi Ue, il ministro degli Esteri spagnolo Josep Borrell ha gettato una vera e propria bomba: la Spagna minaccia di silurare l’accordo se non otterra’ il diritto di veto su qualsiasi trattativa si dovesse tenere sul futuro status di Gibilterra, l’ultima colonia britannica rimasta sul continente. Anzi, dicono gli spagnoli, la questione di Gibilterra deve essere espunta e disgiunta dai negoziati sui rapporti commerciali tra Gran Bretagna ed Ue che inizieranno dopo la Brexit, all’indomani del 29 marzo 2019: secondo Borrell, Gibilterra puo’ solo essere argomento di negoziati bilaterali con la Spagna.

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Arrestato in Giappone Carlos Ghosn il top manager dell’alleanza Nissan-Renault-Mitsubishi

20 nov 11:04 – (Agenzia Nova) – Il presidente dell’alleanza Renault-Nissan-Mitsubishi Motors, Carlos Ghosn, e’ stato arrestato ieri in Giappone con l’accusa di aver dissimulato nei bilanci e per aver violato regolamenti finanziari relativi al suo compenso. Ne parla la stampa francese, spiegando che l’episodio ha portato scompiglio negli ambienti industriali francesi e giapponesi, con il titolo della Renault che ha perso l’8,3 per cento in borsa nella giornata di ieri. Secondo il procuratore di Tokyo, il top manager avrebbe sottostimato il suo compenso annuale da 5 miliardi di yen (38 milioni di euro) nella dichiarazione fiscale presentata in Giappone. Durante la conferenza stampa, Hiroto Saikawa, direttore generale della Nissan, ha espresso tutta la sua “indignazione” e ha annunciato che il consiglio di amministrazione del gruppo si riunira’ giovedi’ per decidere in merito al possibile licenziamento di Ghosn. Il cda di Mitsubishi dovrebbe fare lo stesso. Nissan ha avviato delle inchieste interne nel piu’ totale segreto per far luce su alcune notizie provenienti dalla direzione. Insieme a uno dei suoi fedelissimi, Greg Kely, Ghosn avrebbe effettuato una serie di malversazioni. “C’e’ stato un problema perche’ troppa autorita’ e’ stata accordata a una sola persona”, ha detto Saikawa. “Libe’ration” sottolinea che in Francia Ghosn era visto come un top manager “fuori dalla norma” a causa del suo stipendio e dei suoi successi manageriali.

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Francia, continua la protesta dei gilet gialli

20 nov 11:04 – (Agenzia Nova) – Continua in Francia la protesta dei gilet gialli, il movimento nato contro il caro-carburante. Ieri il Ministero dell’Interno ha annunciato la partecipazione di 27mila persone su 350 siti sparsi in tutto il territorio. I manifestanti hanno bloccato strade e depositi petroliferi. Il ministro dell’Interno, Christophe Castaner, ha evocato 528 feriti, di cui 17 gravi, dall’inizio della mobilitazione cominciata sabato. Il bilancio e’ pesante anche per le forze dell’ordine, che hanno avuto 92 feriti di cui 2 gravi. E’ in pericolo di vita il motociclista che ieri nel dipartimento della Drome ha imboccato una strada contro-senso ed e’ stato investito da un camion. Dal canto suo, il governo mostra fermezza contro gli episodi di violenza che si sono verificati. Il procuratore di Vesoul ha annunciato che i prossimi blocchi che verranno effettuati nel dipartimento della Haute-Saone, a est, “saranno sanzionati”, mentre un “gilet giallo” e’ stato condannato a quattro mesi di detenzione per aver messo in pericolo la vita altrui chiudendo una strada. Preoccupato, invece il settore imprenditoriale per le conseguenze che queste iniziative avranno sull’attivita’ economica.

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Germania-Arabia Saudita, Berlino dispone blocco totale esportazioni di armi a Riad

20 nov 11:04 – (Agenzia Nova) – A seguito dell’uccisione del giornalista Jamal Khashoggi, il governo tedesco ha disposto il blocco totale delle esportazioni di armi prodotte in Germania verso l’Arabia Saudita. Lo ha annunciato un portavoce del ministero dell’Economia tedesco, precisando che l’embargo si applica anche alle vendite di armi all’Arabia Saudita gia’ autorizzate prima dell’omicidio di Khashoggi nel consolato saudita di Istanbul, avvenuto il 2 ottobre scorso. In precedenza, il governto tedesco aveva deciso di bloccare la concessione di nuove licenze all’esportazione di armi verso l’Arabia Saudita e di valutare l’embargo su quelle gia’ autorizzate. Come conseguenza dell’omicidio di Khashoggi, il governo tedesco ha inoltre disposto il diviet di ingresso in Germania per 18 cittadini sauditi presumibilmente implicati nell’assassinio. Lo ha reso noto il ministro degli Esteri tedesco, Heiko Maas, a margine del Consiglio Affari esteri dell’Ue in corso a Bruxelles.

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Gli investitori esteri hanno scaricato altri 1,5 miliardi di titoli di Stato italiani

20 nov 11:04 – (Agenzia Nova) – Gli investitori esteri nel mese di settembre scorso si sono disfatti di titoli di Stato dell’Italia per un valore netto totale di 1,5 miliardi di euro: lo scrive il quotidiano economico britannico “Financial Times”, riportando gli ultimi dati diffusi ieri lunedi’ 19 novembre dalla Banca d’Italia; secondo il giornale della City di Londra, si tratta di un ulteriore segno che le fibrillazioni sui mercati degli ultimi sei mesi hanno eroso l’appetito degli operatori finanziari per le obbligazioni italiane. Le vendite di settembre, annota il giornale, sono state inferiori a quelle registrate lo scorso mese di agosto: quando gli investitori stranieri, spaventati dal conflittuale avvio dei negoziati con Bruxelles sulla controversa Legge di bilancio italiana, avevano venduto titoli per 17,4 miliardi; ma e’ il quarto calo mensile dello stock di titoli in mani estere e porta a 68 miliardi il totale della riduzione del debito pubblico dell’Italia detenuto da stranieri da quando a Roma ha preso il potere la coalizione di governo populista. I dati della Banca d’Italia, ricorda l’articolo della giornalista Kate Allen specialista in debiti sovrani, sono stati pubblicati dalla banca centrale italiana proprio il giorno in cui il governo di Roma ha deciso di puntare sui risparmi delle famiglie della Penisola per finanziare il suo deficit: ieri il Tesoro ha aperto l’asta dei cosiddetti BTP Italia, obbligazioni legate all’inflazione e riservate ai piccoli investitori; l’andaamento dell’asta, che proseguira’ fino a giovedi’ prossimo 22 novembre, secondo il “Financial Times” viene seguita con grande attenzione dagli analisti finanziari, per vedere se poi davvero i risparmiatori italiani hanno grande voglia di sottoscrivere i titoli del debito nazionale. Con gli operatori esteri che stanno riducendo la loro esposizione in titoli dell’Italia ed i bilanci delle banche della Penisola gia’ oberati da una massa consistente di obbligazioni di Stato del loro paese, il governo di Roma guarda ai piccoli risparmiatori come ad una possibile soluzione ideale per smaltire lo stock di 260 miliardi di titoli che dovra’ piazzare l’anno prossimo, inclusi i 200 miliardi necessari per sostituire obbigazioni in scadenza. Intanto il braccio di ferro tra Roma e la Commissione europea va avanti e si fa sempre piu’ aspro: questa settimana Bruxelles dovrebbe annunciare i prossimi passi per tentare di costringere l’Italia a rispettare le regole di bilancio Ue; e potrebbe quindi dare ufficialmente avvio alla cosiddetta “procedura per deficit eccessivo”. Sarebbe, conclude il “Financial Times”, un passo decisivo che aggraverebbe lo scontro tra Italia ed Ue; e che arriverebbe al suo apice proprio in primavera, quando prendera’ avvio la campagna per le elezioni del Parlamento europeo del maggio 2019.

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Italia, dubbi sulle privatizzazioni annunciate dal governo

20 nov 11:04 – (Agenzia Nova) – I partiti populisti al governo in Italia intendono aumentare il risparmio pubblico e ridurre il debito vendendo immobili demaniali, ma “gli osservatori dubitano che questo piano sia realistico”. E’ quanto si legge sul quotidiano tedesco “Sueddeutsche Zeitung”, che commenta l’annuncio dato dal ministro dell’Economia e delle Finanze, Giovanni Tria, secondo cui il governo ha deciso di “accelerare la riduzione del debito pubblico aumentando all’1 per cento del Pil l’obiettivo dei proventi derivanti dalle privatizzazioni che verranno effettuate nel 2019”. Tria ha esposto tale obiettivo ai commissari europei per gli Affari economici e monetari e per la Stabilita’ finanziaria, i servizi finanziari e il mercato unico dei capitali, rispettivamente Pierre Moscovici e Vladis Dombrovskis. Tuttavia, nota la “Sueddeutsche Zeitung”, gli osservatori dubitano della reale efficacia della “offensiva di privatizzazioni” che il governo italiano si appresta a lanciare. Diversi esecutivi in carica a Roma hanno infatti annunciato e tentato di realizzare la vendita di beni demaniali per ridurre il debito pubblico, senza riuscirvi. Inoltre, il deciso intervento dello Stato nell’economia propagandato sia dalla Lega sia dal Movimento 5 Stelle generano scetticismo circa l’effettiva volonta’ del governo italiano di procedere con le privatizzazioni.

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