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La sindaca Raggi, il premier Renzi e l’Italia digitale che arranca

Raffaele Barberio

E’ diffusa da sempre l’errata percezione che la politica sia una cosa e l’obiettivo della quotidianità digitale sia altro.

E così chi si preoccupa della digitalizzazione del paese nuota in genere in una vasca separata da quella in cui nuotano i decisori politici. Qualche volta un pesce salta da una vasca all’altra, ma quella improvvida separatezza è rimasta inalterata e ha consentito che poco si facesse in questa Italia tanto analogica e tanto poco votata alla modernizzazione digitale.

Il risultato elettorale di queste amministrative rischia di spazzare via in un sol colpo, assieme a tante altre cose, vecchi equilibri sulla indolenza analogica e con essi anche granitici convincimenti, per i quali la digitalizzazione darebbe poco in più, che hanno alterato la modernizzazione del Paese.

Chi vince?

Vincono innanzitutto le donne.

E’ l’aspetto più appariscente. E, si sa, le donne hanno più coraggio degli uomini, pertanto aspettiamoci anche qualcosa di eclatante e inaspettato. Su tutte, Roma che ha con Virginia Raggi il primo sindaco donna e la prima guida al femminile dai tempi del solco perimetrale di Romolo e Remo. Ma una donna, Chiara Appendino, anche per Torino, città ex capitale d’Italia e motore industriale del paese per oltre mezzo secolo.

Vince anche, vistosamente, la discontinuità con il passato.

Il che sembra voler dire che la gente non ne può più del vecchio e non si fida più degli scenari precedenti. A rafforzamento, alla vittoria del M5S su Roma e Torino si affianca quella di Luigi De Magistris, a Napoli, la terza città italiana e la prima del Mezzogiorno, anch’egli fuori dalle gerarchie dei partiti.

Il computo dei capoluoghi di Provincia e delle grandi città conferma questa innegabile tendenza.

Chi perde?

Perde sicuramente il PD, ma non è il solo. Perde anche il centrodestra. Perdono i vecchi equilibri e il consociativismo colloso di una classe politica che non ha avuto, sino ad ora, la forza di fare scelte coraggiose e in controtendenza. L’Italia è un paese fermo rispetto agli altri paesi avanzati e manchiamo di quella velocità ed efficacia, tipica delle modernizzazioni digitali, che le pubbliche amministrazioni devono avere per assicurare benessere e sviluppo dei mercati.

Perde, come tutti gli osservatori hanno notato, il premier Matteo Renzi, che della novità e della digitalizzazione aveva fatto un cavallo di battaglia, ma con un sistema di stop-and-go e soluzioni a macchia di leopardo che hanno tradito gli originari proponimenti. Del resto, per ciascuno di noi basta incappare nella sfortunata evenienza di un contatto con la PA e le sue interminabili file per rendersi conto che siamo ancora distanti, molto distanti, dall’obiettivo finale.

E ora cosa accadrà?

La digitalizzazione del paese è l’ancora di salvezza anche per l’Italia dei Comuni e rappresenta l’unica opportunità per contrastare il controllo da parte della criminalità organizzata su segmenti sempre più importanti e determinanti della pubblica amministrazione.

Una vittoria del digitale nei Comuni renderebbe plausibile il nuovo contesto (“si-può-fare!”) e obbligherebbe il governo ad un cambio di passo (se si fa localmente non si può non fare a livello centrale).

La sindaca di Roma Raggi dovrà pertanto decidere cosa fare in ambito di digitalizzazione, se vuol cambiare paradigma. E deve farlo nelle prime settimane, perché se perderà la battuta iniziale sarà nella impossibilità di lanciare alcunché di nuovo sul piano delle procedure amministrative.

Credo o quantomeno spero, che la neosindaca Raggi salti il fosso e attacchi frontalmente le resistenze alla digitalizzazione delle procedure comunali. Non c’è altro modo, se si vuole invertire la tendenza.

Ma c’è qualcos’altro che è sfuggito ai più.

Il risultato elettorale inguaia pesantemente Renzi e il suo obiettivo referendario del prossimo ottobre. Egli era stato chiamato dall’allora Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano proprio per fermare la già inarrestabile avanzata del Movimento 5 Stelle.

Se Renzi dovesse perdere il referendum, lascerà governo e impegno politico come ha dichiarato?

E se Renzi dovesse arrivare a queste conclusioni in caso di esito negativo del referendum, che ne sarà del progetto fibre di Enel fortemente voluto da Renzi medesimo?

Ed Enel se la sentirà di proseguire in un eventuale contesto in cui i referenti potrebbero radicalmente cambiare? In questo caso, che ne sarà degli attuali equilibri sul piano delle infrastrutture di rete?

E quale sarà il futuro di SPID e di tutti quei servizi innovativi e quelle misure normative che in questo momento sono in mezzo al guado?

Il quadro che emerge è poco rassicurante, ma non è detto che non abbia dentro di sé gli anticorpi.

Se a vincere in queste elezioni amministrative è la voglia di discontinuità, questa voglia non può che portare, come abbiamo detto, ad una rottura dei vecchi paradigmi. Resta da vedere se i nuovi eletti saranno in grado di interpretare fino in fondo il ruolo che gli elettorati locali hanno loro conferito. Ma conterà molto anche ciò che faranno i rappresentanti del PD e del centrodestra.

Serve, oggi più che mai, fare piuttosto che dire o promettere per un futuro più o meno allettante.

Se non saremo capaci di cogliere al volo questa opportunità, di approfittare virtuosamente di questo rimescolamento delle carte che ha sancito il “Game-Over” dei vecchi giochi, allora vuol dire che questo nostro paese non ha proprio alcuna chance di rinnovamento e di definitiva modernizzazione digitale delle sue procedure, dei rapporti tra cittadino e Pubblica Amministrazione, dei rapporti tra imprese e mercati.

Intanto il resto del mondo decide, corre, cresce.

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