i numeri

La sfida della musica in streaming: Spotify contro YouTube

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opo un annus horribilis – 456 milioni di euro di passivo – Spotify ha chiuso la prima parte dell’anno con un utile netto di cinque milioni di euro, mentre il numero degli utenti attivi arriva a 381 milioni, il +19% rispetto all’anno scorso; stessa percentuale per l’aumento degli abbonati paganti, ora 172 milioni.

Rubrica settimanale SosTech, frutto della collaborazione tra Key4biz e SosTariffe. Per consultare gli articoli precedenti, clicca qui.

Dopo un annus horribilis – 456 milioni di euro di passivo – Spotify ha chiuso la prima parte dell’anno con un utile netto di cinque milioni di euro, mentre il numero degli utenti attivi arriva a 381 milioni, il +19% rispetto all’anno scorso; stessa percentuale per l’aumento degli abbonati paganti, ora 172 milioni. Da un certo punto di vista, anche grazie al nuovo aumento degli annunci (+75% dopo la pandemia) Spotify sembra dunque aver trovato la strada giusta per la redditività, dopo aver rappresentato per anni – come spesso succede nell’epoca digitale – un perfetto esempio di business con fatturati miliardari ma utili piuttosto risicati. Eppure si tratta di un ecosistema ancora molto difficile da interpretare, che a vent’anni dall’introduzione del primo iPod ha potuto prosperare grazie al calo dei prezzi di Internet mobile (su SOSTariffe.it si trovano le migliori occasioni da confrontare) ma che non può esaurirsi nella sola proposta di un catalogo finito di canzoni: anche perché la concorrenza non dorme mai.

YouTube Music, il rivale che non ti aspetti

La success story forse più imprevedibile dello streaming audio è quella di YouTube Music, che può contare su già 50 milioni di iscritti: meno di un terzo di quelli di Spotify, ma con un numero totale quasi raddoppiato rispetto all’anno scorso (Morgan Stanley aveva stimato questo obiettivo raggiungibile solo nel 2022) e una politica di prezzo voluta da Google molto aggressiva, 9,99 euro al mese con moltissime offerte per avere sconti d’ogni genere. E c’è da ricordare il forte elemento di continuità presente tra gli utenti del servizio di tv streaming, con cui sono cresciuti (gli youtuber sono quasi sempre giovanissimi, anche se ormai Twitch sta diffondendosi sempre più in queste fasce d’età), e quelli che decidono di provare la sua versione solo audio.

Intanto non si fermano le nuove funzionalità: l’ascolto in background, che finora era riservato soltanto agli abbonati a pagamento a YouTube Music, verrà ora esteso anche agli utenti freemium. I numeri di YouTube Music sono del resto un riflesso di quelli della stessa YouTube, che è recentemente diventata la terza applicazione per spesa complessiva dei consumatori nell’ambito di quelle non legate ai videogame, e tutto solo con i ricavi via iOS, dietro a Tinder e a Netflix.

Il successo dei podcast

Rispetto allo streaming tv, quello audio ha presupposti diversi: sono impossibili, ad esempio, le “produzioni originali” come quelle di Netflix, che non si limita a essere distributore di contenuti ma è anche produttore in prima persona (e anzi molto spesso sono proprio le produzioni originali – si pensi a Disney – a essere il motivo per cui si sottoscrive un servizio al posto di un altro). Come fare per espandere un business che quindi in apparenza deve limitarsi ad aspettare che gli artisti più importanti facciano uscire nuovi dischi? Cercando alternative alla sola musica, ad esempio.

In prima fila ci sono, anche per Spotify, i podcast: tra settembre 2020 e settembre 2021 l’aumento dei podcast caricati sulla piattaforma è stato dell’85%, ed è proprio lì che Spotify ha potuto giocare d’anticipo coinvolgendo nuovi podcaster soprattutto nel segmento-giovani (i The Jackal, Morgan, Camihawke). Ciò testimonia la podcast-mania che non accenna a diminuire, e anzi sta cominciando a sostituire la radio nelle abitudini di molti italiani, che non iniziano la giornata senza ascoltare rassegne stampa e mini-notiziari dei propri giornalisti preferiti (da Francesco Costa a Mia Ceran), se ne vanno a correre con una lezione di storia del professor Alessandro Barbero nelle cuffie e alla sera ascoltano le analisi sulla partita della loro squadra del cuore in alternative audio ai sempre più impolverati salotti delle trasmissioni sportive; e non a caso tutta su un podcast è giocata ad esempio la deliziosa serie con Steve Martin, Martin Short e Selena Gomez su Disney+, Only murders in the building. Al momento Spotify può contare su più di 3 milioni di podcast presenti, e ha dato il via anche a iniziative, come quelle legate al suo programma “di formazione” Sound Up, per ridurre il gender gap e far sì che più donne possano condurre podcast (solo il 22% di quelle in classifica ha attualmente una conduzione al femminile).

Spotify e gli interrogativi sull’audio lossless

Gli audiofili di più stretta osservanza hanno sempre guardato a Spotify con una certa perplessità, perché tra le grandi piattaforme di streaming il colosso svedese è di fatto l’unico a non offrire l’audio lossless, già previsto invece da rivali come Tidal (che anzi è nato proprio per offrire un’alternativa di qualità superiore e vanta anche un piano di audio hi-res fino a 9216 kbps), Amazon Music o Apple Music. A febbraio è stato annunciato l’arrivo del pianto Spotify Hi-Fi, ponendo fine a una lunga serie di rumors e voci, ma anche di misteriose versioni “beta” inviate soltanto a un ristretto manipolo di abbonati della prima ora. L’esordio è previsto entro la fine dell’anno, ma non se ne sa ancora nulla, per quanto in molti siano convinti che tra novembre e dicembre anche Spotify offrirà audio con qualità CD (ma non superiore).

Rimane il problema del prezzo, perché i modelli adottati dai concorrenti sono piuttosto vari: chi offre l’abbonamento di alta qualità a una cifra più alta, come Tidal o Qobuz che rappresentano il top soprattutto per gli utenti con un equipaggiamento al top, e chi invece non lo fa, migliorando il suono ma senza aumenti ulteriori, di solito perché un po’ indietro con il catalogo e/o l’interfaccia (Apple Music e Amazon Music). Ma è chiaro che man mano che si assottiglia lo scarto tra i 70 milioni di brani presenti su Spotify e la concorrenza, diminuisce anche il margine di manovra per l’azienda, che nella delicata battaglia per la supremazia di streaming audio può contare su un’interfaccia più evoluta, un’ottima app per smartphone e tablet e in genere una fama maggiore (che contribuisce a considerare Spotify ancora “lo standard” per lo streaming), ma è un vantaggio che non può durare per sempre. La risposta più logica sembrerebbe offrire l’audio con qualità CD, che come si è visto è cosa di versa dal hi-res per le orecchie più raffinate, senza ulteriori sovrapprezzi, ma si vedrà.