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La riforma del “Tusma” e la simpatica soluzione “all’italiana” per la querelle del Teatro di Roma

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Ancora una volta, il Paese si conferma maestro nella commedia dell’arte, Pulcinella ed Arlecchino tra riforma del “Tusma” e gestione delle istituzioni culturali pubbliche.

Quest’oggi, lunedì 29 gennaio 2024, l’Istituto italiano per l’Industria Culturale, nella sua diuturna attività di analisi critica e monitoraggio continuativo sui media e la cultura, propone – nell’economia della rubrica “ilprincipenudo” che IsICult cura per il quotidiano “Key4biz” – un paio di considerazioni sintetiche, andando ad evidenziare curiose rimozioni e strane contraddizioni del giornalismo e della politica italici…

Rimozione / distrazione n° 1: “Tusma”, la Lega vuole ridurre le quote obbligatorie di investimento di broadcaster e piattaforme dal 20 al 15 %?! Nel silenzio, prevale la lobby di Netflix & Co.?!

Nessuno, veramente nessuno, a parte il quotidiano “il Fatto” (in un articolo firmato da Giacomo Salvini), nell’edizione di giovedì scorso 25 gennaio 2024, ha acceso i riflettori su una dinamica in atto in Parlamento, ovvero la possibile riduzione delle quote obbligatorie di investimento nel settore audiovisivo, da parte di emittenti televisivi e piattaforme… Il senso dell’articolo è ben sintetizzato dal titolo: “Scontro tra Sangiuliano e Lega sulla quota di produzioni italiane imposte a Neftlix, Prime e Disney: dal Carroccio sponda alle piattaforme”.

Il Ministro della Cultura Gennaro Sangiuliano e Fratelli d’Italia (e quindi il Responsabile Cultura del partito, Federico Mollicone, che è anche Presidente della Commissione Cultura della Camera) spingono per mantenere la quota al 20 % per tutelare “la cultura nazionale” nel 2024 (quota che dovrebbe salire al 25 % nel 2025), ovvero l’obbligo di investimento a favore di produzioni indipendenti italiane… La Lega sarebbe invece dell’idea di ridurre al 15 % questa quota, sostiene il deputato Stefano Candiani, vicino al leader Matteo Salvini, ma forse non così vicino come la senatrice leghista Lucia Borgonzoni, che è Sottosegretaria delegata al cinema e all’audiovisivo.

Alcuni osservatori notano come silente ma imponente si sviluppi l’attività di lobbying di Netflx & Co.

La ex Sottosegretaria alla Cultura (settembre 2019-febbraio 2021, Governo Conte I) ed esponente di punta del Movimento 5 Stelle in Commissione Cultura Anna Laura Orrico, ha dichiarato: “il sistema delle quote è importante, ma va semplificato perché non è chiaro”. La deputata ha ragione, non soltanto non è chiaro, ma anche il dataset è carente, il sistema di controlli deficitario e la stessa definizione di “produttore indipendente” assai evanescente. Aggiunge Orrico: “un report di Agcom ci dice che chi è destinatario di queste quote spesso è in mano a holding straniere, quindi non si riesce a tutelare la produzione indipendente italiana. Per noi è giusto che una parte dei guadagni delle piattaforme vengano reinvestiti in opere italiane”. Chi redige queste noterelle è stato tra i pochi ad aver acceso i riflettori su questo parere espresso l’estate scorsa dall’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni, rispetto alla annunciata riforma del “tax credit” cui stanno lavorando il Ministro Sangiuliano, la Sottosegretaria Borgonzoni ed il Direttore Generale del Cinema e Audiovisivo Nicola Borrelli. Su questi temi, si rimanda anche al nostro intervento di venerdì scorso, vedi “Key4biz“ del 26 gennaio 2024, “Nebbia sul Fondo per il Cinema e l’Audiovisivo e sul Contratto di Servizio Rai”.

Domani martedì 30 gennaio alle 15:30 la Commissione Cultura del Senato, relatore il Presidente Roberto Marti (Lega), è chiamata a esprimere il proprio parere sullo schema di decreto legislativo che apporta modificazioni al Testo Unico dei Servizi di Media Audiovisivi – il cosiddetto “Tusma” – in considerazione della “evoluzione delle realtà del mercato”, in attuazione della Direttiva Ue 2018/1808.

Ed in mattinata alle 10.30, le Commissioni Cultura e Trasporti della Camera, nell’ambito dell’esame dello schema di decreto legislativo per le integrazioni e correzioni al Tusma, prevedono le seguenti audizioni: di Stefano Selli, Direttore delle Relazioni istituzionali Italia di Mediaset; dell’avvocato Ernesto Apa; dell’Apa – Associazione Produttori audiovisivi; della società di consulenza ItMedia Consulting; della società di produzione Cattleya; dell’associazione Cartoon Italia; di Stan McCoy, Presidente della Mpa – Motion Picture Association Europe; di Giacomo Lasorella, Presidente Agcom

Perché un tema così delicato non viene considerato interessante, e strategico, dai giornalisti che si interessano di cultura, per un sano sviluppo dell’audiovisivo nazionale?!

Perché non ne parla e non scrive (quasi) nessuno???

Chi ha interesse a mantenere il dibattito veramente “low profile”, nelle stanze di Montecitorio e Palazzo Madama?!

Basti osservare come nessuno abbia rilanciato una notizia segnalata dalla sempre vigile agenzia stampa specializzata AgCult (diretta da Ottorino De Sossi) nell’edizione di martedì scorso 23 gennaio 2024…  Donatella Pace, Vice Direttrice delle Relazioni Istituzionali della Rai, in occasione dell’audizione in Commissione Comunicazioni del Senato, sempre rispetto al “Tusma”, ha dichiarato: “la Rai aveva segnalato l’esigenza di una semplificazione del sistema degli obblighi di programmazione e investimento in opere europee, mediante la razionalizzazione di alcune norme la cui previsione non era strettamente necessaria per il recepimento della direttiva europea. Adesso rileviamo con soddisfazione che è stato abrogato l’articolo 57 comma 3 lettera b, perché in questo modo viene eliminato il rischio di introdurre eccessive rigidità alla libera negoziazione tra le parti in un contesto di mercato che è in continua evoluzione e si rimette, invece, all’autonomia delle parti stesse la definizione degli assetti contrattuali inerenti alle opere da produrre”.

E Sky Italia ha dichiarato, a chiare lettere, sempre in audizione: “vogliamo portare la vostra attenzione sulla revisione del sistema di promozione delle opere europee, gli articoli dal 52 al 57 del Tusma: abbiamo oltre 10 prescrizioni che riguardano gli obblighi a carico dei fornitori dei servizi media, con un sistema di quote e sottoquote farraginoso e complicato. Rischiamo di trovarci imbrigliati nella ricerca della quantità a scapito della ricerca della qualità. Chiediamo una riduzione al 10 per cento della quota di investimento in opere europee di produttori indipendenti per i fornitori di servizi media-audiovisivi”. Anche Univideo ha dichiarato di auspicare “una riduzione significativa delle quote di produzione del nostro paese, che ci sembrano molto alte e irrigidiscono il mercato, rendendo difficile una produzione attrattiva e che tenga conto delle aspettative del pubblico”.

Come dire?! Suvvia, che si eliminino “lacci e lacciuli” (l’“imbrigliamento” richiamato da Sky, appunto) e che lo Stato si inchini ancor di più di fronte al mercato autocratico…

In nome della sacrosanta “semplificazione”, si prospetta un pericoloso indebolimento ulteriore di un “sistema” di “quote” già lasco, la cui efficienza ed efficacia non sono peraltro mai stati sottoposti a vera valutazione di efficacia.

Si rinnova nasometria, e prevalenza del felpato “governo delle lobby”…

Saggiamente contraria l’Unione Produttori dell’Anica: “vorremmo che fossero mantenuti questi principi nella norma primaria. Con l’eliminazione del comma, i broadcaster e le piattaforme potranno assolvere gli obblighi di investimenti anche con contratti di appalto, riducendo il ruolo del produttore indipendente a ruolo esecutivo. I modelli contrattuali non sono indifferenti rispetto all’efficacia del sistema delle quote. Rispetto poi alle sotto quote, richiamiamo l’attenzione sul settore specifico dell’animazione che per modalità produttive e artistiche e come settore strategico richiederebbe una sotto quota specifica a tutela della sua competitività da prevedere nel testo del Tusma”.

Si associa anche un’altra associazione dell’Anica, l’Unefa (unione degli esportatori), che dichiara: “l’abrogazione del comma 3 dell’art. 57 rischia di svilire la figura del produttore indipendente che diventerebbe sostanzialmente un esecutore. La norma si prefiggeva di evitare proprio questo rischio. Se i produttori indipendenti non possono mantenere alcuni dei diritti che ci vengono affidati si azzera conseguentemente il senso del nostro lavoro e di un intero comparto della filiera che è quello delle vendite internazionali”…

Si ricordi che il comma 3 dell’art. 57 del “Tusma” definisce, regolamenta e tutela la figura del produttore indipendente e soprattutto il suo rapporto coi cofinanziatori delle opere che produce, e che permette al produttore di mantenere su di sé almeno una parte di quei diritti che sono commercializzabili…

La partita – in termini di politica culturale – è bella grossa, ma non ci sembra che stia suscitando l’attenzione che merita. Anche perché, tanto per cambiare, “no data”, e quindi prevale confusione ed approssimazione. Il solito governo nasometrico del sistema culturale.

A Parigi, quando guardano all’Italia, oscillano tra l’incredulità ed il compatimento…

Rimozione / distrazione n° 2: la ridicola vicenda del Teatro di Roma: trovata una soluzione di compromesso tra “destra” e “sinistra”, modificando lo Statuto e creando una figura manageriale (di “sinistra”) da affiancare al direttore artistico (di “destra”)

Dopo la gran polemica dei giorni scorsi (alla quale abbiamo forse dedicato finanche troppa attenzione su queste colonne: vedi da ultimo “Key4biz” di lunedì della scorsa settimana 22 gennaio 2024, “Teatro di Roma: quando il bue da del cornuto all’asino”), “la destra” culturale italica e “la sinistra” culturale italica sono addivenuti ad un compromesso… all’italiana! Si risolve “lo scandalo” del Direttore Artistico… destrorso, Luca De Fusco, affiancandogli un manager… sinistrorso.

Semplice, in fondo, nevvero?!

Come noi stessi avevamo suggerito al Sindaco Roberto Gualtieri (che lamentava – tardivamente – come Roma Capitale avesse poco potere nella gestione dell’ente, a fronte di 6 milioni di euro di sovvenzioni annue, ben di più rispetto a quel 1 + 1 milioni di euro apportati sia dalla Regione Lazio sia dal Ministero della Cultura) ovvero la chance di ragionare su una modifica statutaria per “ri-equilibrare” i pesi tra i soci, le (contrapposte)  “parti” hanno deciso di modificare lo Statuto del Teatro: viene creata la figura di un manager, che si affianca a direttore artistico.

L’Unione Nazionale Interpreti Teatro e Audiovisivo (presieduta da Vittoria Puccini), meglio nota come “Unita”, manifesta la sua protesta, sostenendo che si è passati dalla sana (?!) auspicata “concertazione democratica” alla insana praticata “spartizione di poltrone”: francamente il distinguo ci sembra veramente sofistico, e tipico di alcune prassi (non alte) della stessa sinistra… Riportiamo la presa di posizione di Unita, che ha dichiarato: “in merito a quello che sembra essere l’accordo raggiunto tra maggioranza e opposizione sulla nomina dei nuovi direttori del Teatro di Roma, Unita vuole esprimere, indipendentemente dai nomi che assumeranno l’incarico, sconcerto e delusione per quella che appare più come l’ennesima spartizione di poltrone piuttosto che la concertazione democratica auspicata a gran voce nel dibattito politico e civile sui giornali, in strada e perfino all’interno del Consiglio Comunale capitolino. L’epilogo che, pare, stia prendendo forma è il risultato di compromessi che nulla hanno a che vedere con la reale volontà di rilancio del Teatro di Roma, ma piuttosto è il frutto di un braccio di ferro fittizio e simulato, una strumentalizzazione bella e buona, una non-soluzione, che può solo compromettere la credibilità, l’indipendenza e la libertà di quella specifica istituzione culturale e delle sue future proposte al pubblico”. E concludono: “si sdoppiano le poltrone (come peraltro giustamente preventivato e come accade nella maggior parte dei teatri di quelle dimensioni), ma lo si fa dopo una serie di avvenimenti gravissimi e con una modalità sconcertante a giudizio di chi, avendo fatto un investimento esistenziale e totalizzante nello Spettacolo, nell’Arte e nella Cultura, assiste all’ennesimo ingresso dei mercanti nel Tempio, mercanti di destra e di sinistra… Riuscire, in un colpo solo, a privare un teatro – qualsiasi esso sia – di credibilità, trasparenza e indipendenza culturale è veramente un’impresa al contrario. Un capolavoro di insipienza, volgarità e pessima politica. Ci sono riusciti”.

Riportiamo anche la dichiarazione della ex Sindaca di Roma Virginia Raggi e di due suoi colleghi del Movimento 5 Stelle in Campidoglio (la capogruppo M5S Linda Meleo ed il capogruppo della Lista Civica Raggi Antonio De Santis): “nulla di nuovo tra le poltrone del Teatro di Roma. L’accordo per nominare due direttori non ci sorprende: hanno solo deciso di gettare le maschere e ricominciare con le spartizioni. Il Movimento 5 Stelle ha sempre detto che destra e sinistra si muovono lungo le stesse direttrici, ed ecco l’ennesima conferma. Noi siamo al di fuori di queste logiche. Per noi è stato solo tempo sprecato, tempo che poteva essere usato per risolvere i problemi della città. Invece i romani si sono sorbiti giorni di polemiche sterili, utili solo a giustificare l’ennesimo spoils system della vecchia politica. Solo tanta delusione per l’ennesima recita che non cambia mai”. La critica è condivisibile, ma, ancora una volta, ricordiamo che la stessa Virginia Raggi è stata artefice, anni fa, della cooptazione (autocratica) di una giornalista e poi dirigente Rai alla guida della Fondazione Musica per Roma: si tratta di Claudia Mazzola, che ancora oggi è Presidente di Mpr ovvero dell’Auditorium ed al contempo sempre dirigente Rai nonché Presidente, da qualche mese, della controllata di Viale Mazzini RaiCom… Anche quella nomina fu il risultato del terribile mix tra logiche di “spoil system” ed “intuitu personae”. Insomma, anche il Movimento 5 Stelle ha le sue belle responsabilità in un modo di governare la cultura di cui s’è dimostrato spesso correo. Come sostiene qualche maligno osservatore, lo stesso M5s è passato dall’annunciato ruolo di “apritore” di “scatolette” di tonno, al ruolo di ri-produttore di scatolette (il riferimento è all’annuncio del febbraio del 2013 di Beppe Grillo: “apriremo il Parlamento come una scatoletta di tonno. Scopriremo tutti gli inciuci, gli inciucetti e gli inciucioni…”).

Nulla di nuovo”, appunto, e si conferma la solita “recita”… di buoi che danno del cornuto agli asini.

Prevale ipocrisia, ancora una volta.

[ Nota: questo articolo è stato redatto senza avvalersi di strumenti di “intelligenza artificiale. ](*) Angelo Zaccone Teodosi è Presidente dell’Istituto italiano per l’Industria Culturale – IsICult (www.isicult.it) e curatore della rubrica IsICult “ilprincipenudo” per “Key4biz”.