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La Rai che vorrei. N. Lusuardi: ‘Servizio pubblico che innova e sperimenta’

Nicola Lusuardi

Nicola Lusuardi

18“L’originalità è fragile. E, almeno all’inizio, è tutto fuorché bella.”
Ed Catmull, cofondatore della Pixar

Un Servizio Pubblico che abbia anche ruolo di editore e distributore di narrazione audiovisiva (cinema di finzione o di realtà, narrazioni seriali per la televisione, narrazioni originate per la distribuzione in rete e progetti narrativi transmediali), non può che avere anche la missione di portare innovazione all’interno del sistema, perché l’innovazione favorisce l’apertura di prassi, paradigmi e forme inedite che vanno a beneficio del sistema e incrementano le possibilità, estetiche, culturali e soprattutto economiche, a disposizione del collettivo. Dal momento poi che l’investimento in contenuti di narrazione audiovisiva è interamente imputato al canone, i cittadini hanno diritto a vedere realizzata questa missione nel prodotto offerto dalla Rai.

Spesso si ritiene, in modo sbrigativo che l’innovazione dipenda solo dalle intuizioni estetiche di singoli autori, produttori, editori o gruppi creativi di grande talento. Che dipenda cioè solo dal naturale manifestarsi di identità straordinarie.

Se non c’è dubbio che nessuna innovazione può venire senza l’intuizione originale e potente di almeno uno degli attori della filiera (autori, produttori ed editori), questa ovvietà non deve impedire una riflessione sul contesto e sui processi che rendono possibile al sistema riconoscere quelle intuizioni e quindi valorizzarle, ossia svilupparle e produrle con coerenza e portarle al massimo della loro potenzialità estetica.

Occorre dunque riflettere su cosa è formalizzabile e cosa no sul piano progettuale e metodologico, nella convinzione che la ricerca di innovazione è parzialmente pianificabile definendo obbiettivi e prassi in grado di incrementare la possibilità del sistema di cercare e individuare e favorire modelli estetici, linguistici e produttivi non praticati.

Perché ci sia Innovazione è necessario che il Servizio Pubblico abbia un mandato vincolante a sperimentare.

Ma in un contesto di risorse limitate, perché la “sperimentazione” sia produttiva, è necessario che siano identificate priorità, metodo e obbiettivi che limitino i rischi impliciti e inevitabili in un’industria creativa di disperdere risorse in operazioni non verificabili o autoreferenziali.

Per “sperimentare” occorre un punto di vista sul “nuovo” che si sta cercando e su quali necessità questo “nuovo” debba soddisfare.

Se parliamo di Servizio Pubblico una priorità deve essere senz’altro quella di raggiungere tutte le fasce di pubblico (cittadini) possibili. Da una parte il pubblico già soddisfatto del prodotto esistente, perché quella soddisfazione si rinnoverà solo nella continua ricerca piuttosto che nella continua ripetizione; dall’altra è assolutamente necessario raggiungere il pubblico escluso.

Chi è il pubblico escluso?

Prima di tutto è quella parte del pubblico nazionale che non trova nel prodotto locale contenuti adeguati alle sue necessità estetiche e ai suoi generi e formati di riferimento. Le analisi dicono che si tratta di un pubblico prevalentemente sotto i 40 anni, spesso di media o alta cultura e con discreta o buona posizione sociale. Ma soprattutto dicono che questo pubblico è localizzato in alcune regioni del paese: del centro e in particolare del nord (con un clamoroso apice nel nord-est). E’ un pubblico spesso attratto da prodotto straniero.

E’ con questo prodotto che il Servizio Pubblico deve confrontarsi e competere in termini linguistici ed estetici.

Ma in un contesto geopolitico come quello attuale, l’urgenza del confronto col prodotto straniero viene anche dalle ragioni del dialogo interculturale, sia nella costruzione di una nuova identità europea che nel confronto con le culture non-europee. Questo suggerisce che il Servizio Pubblico, per essere tale, deve anche tenere conto della necessità di far arrivare almeno parte delle proprie narrazioni all’attenzione, all’ascolto e alla comprensione estetica ed emotiva del pubblico internazionale.

Il pubblico di un Servizio Pubblico, dunque, non può più in alcun modo essere solo “tutto” il pubblico nazionale, ma anche quella parte del pubblico europeo o internazionale che guarda fuori dai propri confini e favorisce implicitamente attraverso il piacere del racconto quella condivisione di narrazioni che, diventando collettive, creano le premesse di una maggiore comunanza e predisposizione al dialogo (che è interesse pubblico nazionale e transnazionale).

Del resto questa contingenza geopolitica è talmente pressante da aver già generato negli ultimi due anni anche un’urgenza oggettiva nel mercato editoriale: i grandi broadcaster e distributori europei e americani sono alla ricerca di quella che sempre più spesso viene definita “european voice”.

Questo dà senso e urgenza agli obbiettivi di “internazionalizzazione” che sono stati più volte dichiarati dal legislatore.

Gli obiettivi e i modi dell’innovazione pertanto vanno misurati a partire da un criterio di attenzione verso il pubblico, tenendo conto del fatto che raggiungere quello escluso apre opportunità economiche oltre che culturali poco esplorate dal sistema.

Su questo va organizzata la sperimentazione.

Il processo può essere descritto articolandolo in fasi successive. Ciascuna di esse necessita da una parte di una ragionevole consapevolezza dell’innovazione cercata, dall’altra di una costante apertura alla possibilità di trovare l’inatteso (il non ancora cercato).

La prima fase chiede una conoscenza profonda della topografia editoriale che si intende esplorare per mappare le fasce di pubblico escluso.

E’ necessario recensire i generi, i modelli estetico-linguistici e i formati poco o nulla praticati dal nostro sistema per arrivare a identificare all’interno di ciascuno di essi le opere di riferimento (benchmark), ossia quelle che godono di maggiore reputazione e che hanno incontrato il maggiore gradimento del loro pubblico.

Lo studio (studio, non semplice visione) di queste opere è necessario per comprendere esattamente cosa sono e come sono fatte. Premessa necessaria per capire come si fanno. Questo lavoro di profonda appropriazione estetico-editoriale dei testi chiede enorme impegno, talento e professionalità.

In questa fase, l’analisi deve riguardare non solo le questioni di contenuto, estetica e linguaggio, ma anche quelle di processo.

Capire com’è fatto significa infatti non solo comprendere la natura dell’opera, ma comprendere il modello di scouting, sviluppo e produzione (!) che ha reso possibile quel risultato.

Solo nella seconda fase però si stabilisce il paradigma fondamentale dell’innovazione che si fonda sulla tensione tra pertinenza e originalità.

A partire dalla massima padronanza possibile dell’arena editoriale nella quale ci si confronta, infatti, si tratta di cercare e identificare le idee più appropriate, ossia coerenti con le caratteristiche estetiche e di genere che si stanno cercando ma soprattutto capaci di esprimere un elemento di originalità che le renda altamente competitive con le opere di riferimento. In altre parole le renda potenzialmente originali e quindi memorabili.

Se ci si rivolge al pubblico di Game of Thrones, bisogna prima di tutto sapere esattamente da quale filiera di genere proviene, poi comprendere cos’è, com’è fatto e per quali ragioni ha stabilito nuovi benchmark nella sua arena estetica ed editoriale (prima fase).

Da qui è necessario mettersi in cerca di un’idea che sul piano estetico ed editoriale offra una soddisfazione diversa e inattesa, quindi originale, dello stesso bisogno (seconda fase).

E siccome l’originalità è tecnicamente una forma di estrema (e sorprendente) precisione, un buon processo di scouting è quello che riesce a identificare e formalizzare con precisione le ragioni di innovazione di un progetto – quindi le ragioni per cui è stato scelto – e il suo obbiettivo estetico.

Si tratta poi di sviluppare quelle idee e di produrle con criterio e metodo pertinenti agli obbiettivi estetici perseguiti.

Tutti i possibili livelli di innovazione specifica nascono dunque dalla necessità prioritaria di cercare un’offerta identificabilmente pertinente e originale per il pubblico a cui ci si rivolge. Sia che l’arena editoriale sia misurabile solo all’interno della cultura nazionale, sia che si definisca invece su prodotti per lo più non nazionali.

Da questo primo motore decisionale si determinano tutte le conseguenze operative nel processo che porta dalle intenzioni alla realizzazione. Un cammino sul quale ci si smarrisce facilmente.

In un processo lungo, complesso e affollato di verifiche come quello della produzione audiovisiva, è necessario che tutto sia consapevolmente orientato a cercare la massima precisione possibile.

Ma siccome la precisione viene dalla pertinenza di ogni elemento (narrativo, registico e visivo) diventa evidente che il risultato sarà soddisfacente solo nella misura in cui le varie fasi – sviluppo, preparazione, produzione, postproduzione – saranno gestite in cerca di quella pertinenza.

Essere precisi – in ogni forma di comunicazione umana – chiede una continua revisione del modo in cui usiamo gli strumenti a nostra disposizione. Quindi per innovare e migliorare la nitidezza degli esiti è necessario immaginare come possiamo innovare i processi che a quegli esiti devono condurre.

Non tutti i risultati possono venire dagli stessi procedimenti e metodi.

Per questo, un Servizio Pubblico che si proponga di innovare e quindi di identificare oggetti estetici competitivi (quindi innovativi) rispetto ai loro benchmark, dovrà da una parte acquistare la flessibilità necessaria a implementare modelli di scouting (sia di idee che di talenti), sviluppo e produttivi in linea con quelli che hanno generato i modelli di riferimento. Ma ancora di più dovrà esercitarsi in un’attitudine spesso trascurata ma essenziale: la creatività di processo, ossia la capacità di vedere fuori dagli schemi in “quale modo” si può arrivare meglio al risultato che ci si propone.

La creatività di processo è la base necessaria di qualunque creatività di linguaggio o contenuto.

Sarà impossibile ottenere qualunque risultato innovativo se gli strumenti e il metodo che impiego sono stati formalizzati per un risultato diverso.

La missione di Servizio Pubblico, assumendo la necessità dell’innovazione, deve formalizzare in modo stringente non solo gli obbiettivi editoriali ma anche la necessità di immaginare e proporre modelli operativi in sintonia con quegli obiettivi.

Modelli in grado di ipotizzare l’articolazione più pertinente del processo, dallo scouting, allo sviluppo, alla produzione, alla comunicazione sul prodotto, individuando – con chiarezza argomentata a seconda del modello – le titolarità decisionali.

Un testo complesso come il testo audiovisivo infatti nasce dalla polifonia di voci che in ogni fase del suo percorso collaborano alla realizzazione. Ma in assenza di una direzione (d’orchestra) la polifonia diventa caos e il caos produce nella migliore delle ipotesi genericità (il contrario di originalità e innovazione), nella peggiore… bruttezza.

Nella storia dell’audiovisivo di tutti i tempi, a seconda del tipo di prodotto e delle epoche storiche, si sono affermati modelli nei quali la direzione era affidata alla guida degli autori, in altri casi dei produttori, in altri ancora dei broadcaster.

Tutti e tre i modelli hanno dimostrato di essere efficienti, ciascuno secondo gli obbiettivi che gli sono pertinenti.

Per innovare il Servizio Pubblico deve dunque identificare le arene su cui intende sperimentare, capire quali siano i prodotti di riferimento, studiarli e sfidarsi a stabilire nuovi benchmark, nella massima flessibilità e apertura possibile al cambiamento dei modelli di sviluppo e produzione. Con l’obbiettivo di tenere salda la pertinenza complessiva del processo e quindi la sua efficacia.

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