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La protezione dei dati personali nei rinvii pregiudiziali alla Corte di Giustizia

Con provvedimento n. 2019/C 380/01 la Corte di Giustizia dell’Unione Europea ha diramato alcune “raccomandazioni” nei riguardi dei giudici nazionali relative alla presentazione di domande di pronuncia pregiudiziale.

Degno di interesse è l’invito rivolto dalla Corte in merito alla “protezione dei dati personali e l’anonimizzazione della domanda di pronuncia pregiudiziale”.

Le raccomandazioni

Invero, ai punti 21 e 22 del provvedimento viene appunto raccomandato quanto segue:

“21. Per garantire la protezione ottimale dei dati personali nell’ambito della trattazione della causa da parte della Corte, della notifica della domanda di pronuncia pregiudiziale agli interessati di cui all’articolo 23 dello Statuto e della ulteriore diffusione, in tutte le lingue ufficiali dell’Unione, della decisione che conclude il giudizio, il giudice del rinvio, che è il solo a disporre di una conoscenza integrale del fascicolo trasmesso alla Corte, è invitato a effettuare l’anonimizzazione della causa sostituendo, ad esempio attraverso iniziali o una combinazione di lettere, il nome delle persone fisiche menzionate nella domanda e omettendo gli elementi che potrebbero consentire di identificare tali persone.

A causa dell’uso crescente delle nuove tecnologie dell’informazione e, segnatamente, del ricorso ai motori di ricerca, un’anonimizzazi­one effettuata dopo la notifica della domanda di pronuncia pregiudiziale agli interessati di cui all’articolo 23 dello Statuto e la pubblica­zione nella Gazzetta ufficiale dell’Unione europea della comunicazione relativa alla causa considerata può infatti rivelarsi meno efficace.

22. Quando il giudice del rinvio dispone di una versione nominativa della domanda di pronuncia pregiudiziale che contiene i nomi e i recapiti completi delle parti del procedimento principale, e di una versione anonimizzata di tale domanda, esso è pregato di trasmet­tere alla Corte entrambe le versioni al fine di agevolare la trattazione della causa da parte di quest’ultima.”.

La differenza con l’Italia

Si tratta, a ben vedere, di un diverso approccio scelto dal legislatore italiano che all’art. 52 del D.Lgs. 196/2003 ha lasciato intatto il meccanismo per cui ciascuno è in grado di rinvenire fatti e dati personali dalle banche dati pubbliche delle sentenze depositate (art. 52 ultimo comma cit.) e solo nei casi indicati nella norma in commento si procede all’anonimizzazione.

Invero, lo strumento di “oscuramento” dei dati non è di default (e l’oscuramento d’ufficio è di difficile applicazione) ma è lasciato solo all’intervento dell’interessato di dover attivarsi per depositare “nella cancelleria o segreteria dell’ufficio che procede prima che sia definito il relativo grado di giudizio, che sia apposta a cura della medesima cancelleria o segreteria, sull’originale della sentenza o del provvedimento, un’annotazione volta a precludere, in caso di riproduzione della sentenza o provvedimento in qualsiasi forma, l’indicazione delle generalità e di altri dati identificativi del medesimo interessato riportati sulla sentenza o provvedimento.”.

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