L'approfondimento

La miopia politica dentro le innovazioni del secolo digitale

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Una domanda che non viene posta con sufficiente consapevolezza è se si possa fare politica nel nuovo “secolo digitale” senza comprendere il significato e l’effetto delle nuove tecnologie sulla società.

Il ciclone tecnologico sta travolgendo il vecchio mondo e ha già spazzato via vecchi modi di vivere e di lavorare. Mentre il mondo industriale ha compreso l’importanza delle tecnologie digitali, talvolta anche a sue spese, gli apparati pubblici stentano a imboccare le nuove strade dell’innovazione.

Ciò avviene anche perché le pubbliche amministrazioni sono sotto l’influenza (sub-)culturale della politica, dei partiti e dei loro esponenti che ancora oggi in Italia non hanno ben compreso che loro (e l’intera nazione) non possono permettersi il lusso di sottovalutare o addirittura di demonizzare le grandi trasformazioni che tecnologie digitali determinano quasi quotidianamente.

La sfida del secolo digitale

Una domanda che non viene posta con sufficiente consapevolezza è se si possa fare politica nel nuovo “secolo digitale” senza comprendere il significato e l’effetto delle nuove tecnologie sulla società.

Soltanto a titolo di esempio, ci si dovrebbe chiedere se si può pensare di trasformare il più grande partito della sinistra italiana, com’è stato annunciato nei giorni scorsi, senza considerare la rivoluzione digitale in corso. O, ancora, se la strategia digitale di un intero schieramento politico si possa limitare alla produzione di “tempeste social” del suo leader in pectore.

Le risposte a queste domande dovrebbero essere scontate. In primo luogo perché il modo di veicolare il messaggio politico è stato totalmente scompaginato dai meccanismi e dagli strumenti offerti dalla Rete e dalla nebulizzazione istantanea delle comunicazioni tra cittadini e soggetti politici.

Inoltre, anche perché non si può seriamente immaginare una reale trasformazione della società senza comprendere quale dovrà essere nel mondo di domani che si intende prefigurare, il ruolo delle innovazioni tecnologiche che ormai pervadono profondamente il nostro quotidiano.

La trasformazione

La tecno-scienza sta producendo enormi salti quantici nell’industria privata mondiale e in tante grandi nazioni. Basti pensare agli USA e alla Cina, dove paradossalmente la crisi dovuta alla diffusione del coronavirus sta accelerando, e non frenando, lo sviluppo e l’uso dei sistemi digitali.

Tuttavia, la politica italiana, soprattutto quella che dovrebbe stare dalla parte dei più deboli, non sembra impegnata seriamente a conoscere le soluzioni che la scienza fornisce e a comprendere come usare le nuove tecnologie per migliorare la vita dei cittadini in difficoltà e per combattere le disuguaglianze.

Scuola, sanità, giustizia, trasporti, amministrazione pubblica, sono tutti settori fondamentali che possono migliorare di molto i loro servizi e la loro efficienza se sanno impiegare bene le tecnologie digitali. Ma chi governa e chi legifera non sembra impegnato a pianificare una loro adeguata diffusione e un largo uso.

Quando va bene, politici e amministratori si fanno guidare dagli interessi delle società private, se proprio devono introdurre nuovi sistemi o cambiare vecchie procedure. Altrimenti, preferiscono rimanere su terreni tradizionali, aumentando così i ritardi e danneggiando la collettività che li ha eletti.

La politica italiana

Non è difficile accorgersi come la politica italiana abbia uno sguardo strabico verso la scienza e l’innovazione. Quando queste servono per curare malattie gravi, per realizzare missioni spaziali o per scoprire la natura dei nuovi virus, i dirigenti politici sono pronti ad applaudire e a ringraziare ricercatori e scienziati, mentre quando si tratta di incrementare fondi e investimenti non si fanno scrupolo nel tagliare, ridimensionare, rimandare. Spesso giovani ricercatori precari e sottopagati, impegnati nei laboratori dei centri di ricerca e delle università italiane, contribuiscono a raggiungere risultati scientifici di enorme valore e impatto.

La classe politica dichiara di essere fiera di loro, ma non li aiuta ad avere un lavoro stabile, uno stipendio dignitoso e una certezza di futuro nella loro nazione. Scienza, tecnologie, innovazione non sono argomenti di primo piano nel dibattito pubblico.

Si tende a credere che parlarne sia questione da specialisti, che si tratti di tecnicismi e non si comprende come l’innovazione tecnologica sia ormai diventata un elemento “politico”, utile più di tanti altri a determinare il progresso di una nazione.

Le nuove tecnologie e i loro tantissimi usi stanno cambiando profondamente le democrazie e il funzionamento degli stati. Stanno trasformando, come mai prima di adesso, l’economia e il lavoro. La democrazia e i suoi processi sono spesso scossi dai marosi di un’informazione rapida, difficilmente controllabile, polverizzata e ad alto contenuto tecnologico.

Il futuro

Una comunicazione digitale che definisce il campo della politica e detta i temi dell’agenda di parlamenti e governi. Anche chi ne fa un uso intenso e continuo per cercare di occupare lo spazio politico, usando le comunicazioni social e sfruttando le tecnologie di analisi dei dati della Rete (i famosi Big Data), non riesce ad andare oltre, tentando di immaginare come la sua proposta politica possa concretamente basarsi sulle nuove tecnologie per migliorare il Paese e svecchiarlo, rendendolo competitivo e pienamente sviluppato.

Siamo di fronte a processi inediti nei quali la scienza e la tecnologia realizzano “congegni intelligenti” che sostituiscono le decisioni dell’uomo, trasformano e rimpiazzano il suo lavoro, condizionano i suoi desideri e influenzano il governo delle società democratiche.

In altri termini, le macchine intelligenti assumono sempre più un ruolo politico a danno degli spazi decisionali della politica tradizionale che sembra distratta. Per poter orientare la società in un futuro sempre più complesso, la classe politica è chiamata a una maggiore attenzione e comprensione dei risultati della scienza e della tecnologia e a farli diventare benefici per tutta la società.

Perché questo avvenga, è necessario che le innovazioni prodotte dalla ricerca scientifica siano considerate un reale patrimonio da chi ha la responsabilità di guidare una società, e non siano invece ritenute questioni di uso esclusivo degli specialisti. Un patrimonio che sarà sempre più elemento chiave di ogni efficace politica di trasformazione sociale.