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La mafia e la tecnologia dietro la maxi truffa del poker negli USA, complici anche star dell’NBA

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Tavoli con sensori nascosti, carte invisibili a occhio nudo, fiches con chip RFID e comunicazioni wireless in tempo reale. Il caso che sta scuotendo il mondo dell'NBA.

Negli Stati Uniti sta esplodendo uno scandalo che sembra uscito da Ocean’s Eleven, ma con un tocco di intelligenza artificiale e microchip. Al centro della vicenda c’è Chauncey Billups, coach dei Portland Trail Blazers ed ex leggenda NBA, accusato insieme all’ex giocatore Damon Jones e a diversi membri delle famiglie mafiose Gambino, Bonanno, Lucchese e Genovese di aver partecipato a un colossale sistema di partite di poker truccate.

Tavoli con sensori nascosti, carte invisibili a occhio nudo, fiches con chip RFID e comunicazioni wireless in tempo reale. Tutto pensato per una sola cosa: rendere matematicamente impossibile che le vittime — milionari attratti dall’idea di giocare con una star del basket — potessero vincere.

Dal bluff al microchip

Secondo l’inchiesta federale, dietro i tavoli privati di Manhattan si nascondeva una rete criminale capace di fondere il vecchio trucco da casinò con la nuova frontiera della manipolazione digitale. I mescolatori automatici erano stati modificati con microcamere che registravano ogni carta del mazzo. Le informazioni venivano poi inviate a un “operatore” esterno, che le trasmetteva in tempo reale al “quarterback” — un complice seduto al tavolo — tramite vibrazioni su smartwatch o segnali impercettibili.

Il risultato? Un flusso di dati costante che permetteva ai truffatori di sapere esattamente chi avrebbe vinto ogni mano, trasformando il poker in una sceneggiata tecnologica.

Occhiali speciali e carte fantasma

Ma non finisce qui. Alcuni tavoli, raccontano i documenti dell’FBI, erano dotati di superfici sensorizzate in grado di leggere le carte appoggiate. Le carte stesse erano stampate con inchiostri invisibili, decifrabili solo con occhiali o lenti a contatto modificate. Chi le indossava poteva letteralmente “vedere” il gioco degli altri.

Le fiches, invece, non erano semplici gettoni: alcune contenevano microchip RFID che tracciavano puntate e movimenti, inviando tutto al sistema centrale. Una perfetta macchina da truffa, dove persino il panno verde era parte del copione.

Soldi virtuali, guadagni reali

Una volta “vinti”, i soldi venivano riciclati in criptovalute attraverso exchange decentralizzati e società offshore. Pagamenti invisibili, conti in paradisi fiscali e una rete di sportivi usati come “facce pulite” per dare credibilità ai tavoli privati.

Le autorità parlano di almeno 7 milioni di dollari sottratti alle vittime, ma la cifra potrebbe essere molto più alta. Una frode che mescola glamour, sport e cybercrime, e che racconta meglio di mille film come la tecnologia — nelle mani sbagliate — possa trasformare anche il gioco in un’arma criminale

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