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La Giornata Parlamentare. Tensioni Spagna-Italia, Meloni a Tunisi, rottura PD e M5S a Bari

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Enrico Letta ha anticipato il suo rapporto prima di discuterne oggi con i leader Ue al Consiglio europeo straordinario. Draghi in Ue accende il dibattito. Aborto, Meloni replica alla ministra spagnola Redondo. Tunisi, 100 milioni per frenare i migranti. Alta tensione PD-M5S a Bari.

La Giornata Parlamentare è curata da Nomos, il Centro studi parlamentari, e traccia i temi principali del giorno. Ogni mattina per i lettori di Key4biz. Per leggere tutti gli articoli della rubrica clicca qui.

Letta ai leader Ue: agire ora sul mercato unico, ultima chance

Questa volta i leader europei agiranno e non lasceranno cadere nel vuoto l’appello per un mercato unico più forte. È ottimista Enrico Letta, che ieri ha anticipato il suo rapporto prima di discuterne oggi con i leader Ue al Consiglio europeo straordinario. Bisogna agire ora, l’Europa è regolata da norme decise 20-30 anni fa e molti settori sono affidati solo ai marcati nazionali. Il divario con gli Usa ma anche con la Cina è tale che “siamo di fronte all’ultima opportunità per agire, l’ultima finestra si apre e occorre sfruttarla”, ha detto il presidente dell’Istituto Delors al termine di un lungo incontro con il presidente del Consiglio europeo Charles Michel. Nel rapporto vengono indicati due grandi problemi: il primo è la frammentazione che fa sì che Cina e Usa su grandi temi come telecomunicazioni ed energia ne approfittino e il secondo è la mancanza di innovazione, ricerca e sviluppo rispetto a Cina e Usa. Il mercato unico che Jacques Delors aveva creato era chiamato “mercato delle quattro libertà” ovvero movimento di beni, servizi, capitali e persone: “Io ne proporrò una quinta, la libertà della conoscenza, della ricerca e dell’innovazione per trascinare l’Ue dentro il ventunesimo secolo”.

C’è poi la questione della difesa: “E’ una vergogna che il 78% delle forniture militari che abbiamo acquistato come europei, con i soldi dei contribuenti europei, non sia europea, a causa del livello di frammentazione della nostra industria della difesa”. La sfida è integrare tre settori finora esclusi dal mercato unico: energia, telecomunicazioni, mercato finanziario. Il che avrebbe “effetti sull’immediato dell’agenda europea”. “L’impatto più importante di tutti è legato al fatto che l’integrazione del mercato unico nel mercato finanziario può essere un punto di svolta”. Questo è il punto con uno dei nodi che sarà sul tavolo dei leader e su cui ha insistito molto anche Mario Draghi: l’Unione del mercato dei capitali. Ovvero l’eliminazione delle barriere nazionali e l’armonizzazione delle regole sulla libera circolazione dei capitali, di cui si parla dal 2005, quando fu elaborata anche come risposta alla crisi del 2008, e su cui ancora non si riesce a fare progressi significativi tra i 27. Il Rapporto è stato accolto finora con grande entusiasmo sia dal presidente Michel che dalle associazioni delle imprese. Per Letta, le sfide sono troppo grandi e l’Europa non può rimanere indietro. Per una situazione straordinaria, che richiede scelte coraggiose o “cambiamenti radicali”, come ha detto Draghi, potrebbero servire leader d’eccezione ai vertici Ue.

Draghi in Ue accende il dibattito. Perplessità Salvini

Matteo Salvini dice la sua su Mario Draghi. Con certo tempismo escono i primi stralci del suo nuovo libro: la presentazione è prevista il 25 aprile, a Milano, a due passi dalle manifestazioni per la Liberazione. I primi brani del volume raccontano di uno stile dell’ex premier che non ha convinto molto il leader leghista. Un affondo, indiretto, che arriva mentre continua a fare discutere, a Roma come a Bruxelles, l’intervento di Mario Draghi sulla competitività e le sfide che aspettano l’Europa. Ne parlano i partiti italiani, alle prese con le liste per le elezioni europee, e ne parlano i leader riuniti per l’ultimo Consiglio Ue straordinario, prima del voto del 9 giugno. Sul quale punta tutto Giorgia Meloni per provare a imporre quel “cambio di passo” all’Europa. Certo, il nome in campo c’è, a maggior ragione dopo il discorso di La Hulpe ma poi bisogna raccogliere il consenso dei partner e non bisogna dimenticare che spesso “chi entra papa esce cardinale”, come sottolinea, sibillino, il capogruppo di Fdi alla Camera Tommaso Foti. E il pensiero di tutti va alla corsa al Colle di inizio 2022 (evocata anche nel libro di Salvini). L’ex premier non è certo in cerca di incarichi, ma sta preparando con impegno il dossier che presenterà tra giugno e luglio, sicuramente dopo le elezioni quando e se deciderà di scendere in campo.

Un concetto che esprime anche Emmanuel Macron, nei rumors tra i principali sostenitori di un ruolo di primo piano per l’ex presidente della Bce: Draghi, dice il presidente francese, “è un amico formidabile” ed è stato “un grande presidente del consiglio” ma si tiene cauto sulle previsioni. Draghi piace perfino a Viktor Orban che per la seconda volta esprime il suo gradimento ma precisa di non voler “interferire”. Perché è chiaro che il nome dell’ex premier riempirebbe nella Commissione la casella che spetta all’Italia e che non potrebbe che essere, nel caso, un nome portato da Roma. I polacchi premono per l’europarlamentare Jacek Saryusz-Wolski, come annuncia l’ex premier Mateusz Morawiecki. Che ha visto Giorgia Meloni e con lei ha parlato, tra l’altro, proprio di configurazioni politiche dopo le elezioni del Parlamento europeo. Anche il leader del Pis è cauto sul nome di Draghi perché “resta da vedere se ci sia abbastanza potere politico per presentarlo come un candidato valido”. Nel frattempo, a Roma a spingere per un ruolo in Ue dell’ex premier ci sono i partiti più piccoli che nel frattempo stanno preparando le liste. Da Matteo Renzi, che presenterà Stati Uniti d’Europa sabato, a Carlo Calenda, che si presenta con Siamo europei.

Tensione tra Italia e Spagna sull’aborto, Meloni replica alla ministra Redondo

Scintille tra Spagna e Italia sulla norma che prevede l’inserimento di attivisti contro l’aborto nei consultori. La disposizione è stata inserita con un emendamento al decreto Pnrr presentato da Lorenzo Malagola di FdI. La notizia è arrivata fino a Madrid e la decisione è stata duramente contestata dalla Ministra dell’Uguaglianza Ana Redondo. “Permettere la pressione organizzata contro le donne che desiderano interrompere la gravidanza è minare un diritto riconosciuto dalla legge. È la strategia dell’ultradestra: intimidire per revocare dei diritti, per frenare l’uguaglianza fra donne e uomini”, ha scritto su X l’esponente del governo guidato da Pedro Sanchez; le sue parole hanno provocato prima la risposta secca della premier Giorgia Meloni, a Bruxelles per il Consiglio Ue straordinario, poi la presa di posizione della Ministra Eugenia Roccella.

“Varie volte ho ascoltato Ministri stranieri che parlano di questioni interne italiane senza conoscerne i fatti. Normalmente quando si è ignoranti su un tema si deve avere almeno la buona creanza di non dare lezioni”, ha detto la presidente del Consiglio. Il concetto è stato ribadito poi da Roccella che suggerisce “ai rappresentanti di altri Paesi di basare le proprie opinioni sulla lettura dei testi e non sulla propaganda della sinistra italiana, che si dichiara paladina della legge 194 ma non ne conosce il contenuto o fa finta di non conoscerlo, dal momento che contesta un emendamento che non fa altro che riprodurre alla lettera un articolo della legge sull’aborto in vigore da quarantasei anni”. In Italia, intanto, la polemica non si placa con il Pd, in particolare, che annuncia battaglia sulla misura.

Meloni vola nuovamente a Tunisi, 100 milioni per frenare i migranti

Tre accordi dal valore di poco più di cento milioni di euro: è quanto ha portato in dote alla Tunisia Giorgia Meloni nella sua quarta visita in dieci mesi a Kais Saied, partner “prioritario” nel Piano Mattei, cui promette sostegno per l’applicazione del Memorandum con la Ue e chiede di stringere sui migranti irregolari, un flusso che rischia di aumentare con l’estate, nel rush finale della campagna per le Europee. La premier, accompagnata dal Ministro dell’Interno Matteo Piantedosi e da quella dell’Università Anna Maria Bernini, ha ringraziato il presidente tunisino per il lavoro “contro i trafficanti di esseri umani” e ha prospettato che l’Italia “possa fare molto di più sul fronte della migrazione legale”. Di fronte si è trovata un interlocutore deciso a ribadire che il suo Paese “rifiuta di essere un punto di insediamento o di transito per i migranti irregolari”. “Noi sappiamo che la Tunisia non può diventare il paese di arrivo dei migranti” ha ribadito Meloni, su questo va rafforzata la cooperazione, vogliamo coinvolgere le organizzazioni internazionali, lavorare sui rimpatri ma soprattutto sui flussi regolari”. La linea è quella dei decreti flussi sempre più ampi, come l’ultimo che, ha ricordato, “consente a circa 12mila tunisini formati di poter venire legalmente in Italia”. In quest’ottica va l’accordo su alta formazione e ricerca che la Ministra Bernini ha firmato con il suo omologo tunisino.

Il viceministro degli Esteri Edmondo Cirielli ha siglato quello che garantisce 50 milioni di euro di sostegno al (precario) bilancio generale dello Stato tunisino, focalizzato sulla promozione dell’efficienza energetica e delle energie rinnovabili, in coerenza con il progetto Elmed di interconnessione elettrica via cavo tra i due Paesi. Saied per ora ha evitato il default: senza i 900 milioni del Memorandum con l’Ue, vincolati a un accordo con il Fmi in stallo da un anno, Saied ha fatto ricorso a un prestito diretto della Banca centrale della Tunisia e a quelli di Arabia Saudita e Algeria. A 55 milioni di euro ammonta invece la linea di credito a favore delle piccole e medie imprese tunisine aperta da Roma con Cdp. A questo si aggiungono i 9 milioni stanziati a gennaio dal Viminale per il carburante delle motovedette tunisine impegnate nel contrasto alle migrazioni illegali e nell’attività di ricerca e soccorso, e i 4,8 milioni per la cessione alla Garde Nationale di sei motovedette già in uso alla Guardia di Finanzia.

Niente campo largo a Bari, Pd e M5S vanno divisi al primo turno

Alla fine, niente accordo a Bari tra Pd e M5S e il campo largo si spacca. Michele Laforgia, sostenuto da pentastellati e Convenzione, e Vito Leccese, appoggiato da Pd, Verdi e Azione, andranno alle urne separati per sfidarsi con il candidato unitario del centrodestra, il leghista Fabio Romito. Separati al primo turno, hanno detto, con la promessa però di allearsi in caso di ballottaggio e di collaborare in caso di vittoria finale. “Non vi è altro modo, a questo punto” hanno detto in una nota congiunta “per mobilitare nella sfida elettorale l’intero fronte democratico e progressista impegnato, da mesi, a sostegno dell’uno e dell’altro”. Laforgia e Leccese hanno poi precisato “che il dialogo fra noi non si è mai interrotto. In queste settimane abbiamo cercato una soluzione che potesse fare sintesi ma non è stato possibile e occorre prenderne atto, senza alimentare inutili recriminazioni e ponendo fine a tutte le polemiche che finiscono per aumentare le incertezze e il disorientamento nel nostro elettorato”.

Divisi ma non nemici, almeno nelle intenzioni: “Nelle prossime ore proporremo alle forze politiche che ci sostengono un patto che preveda l’impegno comune a garantire la trasparenza di tutte le liste, il sostegno reciproco in caso di ballottaggio e, qualora uno fra noi venga eletto sindaco, la disponibilità a costruire una squadra di governo che valorizzi le esperienze e le competenze di entrambi gli schieramenti”. La decisione era nell’aria da diversi giorni, nonostante il tentativo in extremis di Nichi Vendola di unire la coalizione con la candidatura dell’ex magistrato Nicola Colaianni e che ha ottenuto subito la benedizione di Giuseppe Conte: “Noi abbiamo sempre lavorato per mantenere un’unità ovviamente su presupposti di legalità, rinnovamento e obiettivi condivisi. Questa proposta dei candidati la conoscevamo e quindi noi la appoggiamo”, ha commentato il leader del M5S.

Alla Camera

L’Assemblea della Camera tornerà a riunirsi alle 9.30 per l’approvazione, in prima lettura, del decreto per l’attuazione del Piano nazionale di ripresa e resilienza (PNRR). Il voto finale è previsto per le 17.00 dopodiché il provvedimento sarà inviato al Senato per la sua approvazione definitiva.

Per quanto riguarda le Commissioni, la Esteri, con la Difesa, ascolterà il professor Ira Helfand sulle tematiche legate al disarmo nucleare. Tutte le atre Commissioni, invece, non terranno seduta e torneranno a riunirsi la settimana prossima.

Al Senato

Dopo che ieri è stata discussa e approvata la risoluzione sulla situazione politica in Venezuela in vista delle elezioni presidenziali del 2024 e il ddl per la revisione della disciplina sulla valutazione del comportamento delle studentesse e degli studenti, nella giornata di oggi l’Assemblea del Senato tornerà a riunirsi alle 15.00 per lo svolgimento delle interrogazioni a risposta immediata.

Per quanto riguarda le Commissioni, la Giustizia esaminerà il ddl sulle intercettazioni tra l’indagato e il proprio difensore, il ddl sullo sciacallaggio, il ddl sul processo telematico e il ddl sulla diffamazione a mezzo stampa e lite temeraria. Infine, svolgerà delle audizioni sul ddl per il contrasto alla surrogazione di maternità, alcune sul ddl in materia di prescrizione e alcune sui ddl relativi all’attribuzione del cognome ai figli. La Finanze proseguirà il confronto sul ddl sulle agevolazioni fiscali in edilizia.