Il Senato da l’ok definito alla separazione delle carriere. Esulta la maggioranza
Scambi di abbracci sui banchi del Governo e senatori del centrodestra in piedi ad applaudire l’ok definitivo del Parlamento alla riforma della Giustizia. L’Aula del Senato ha approvato in quarta e ultima lettura il ddl costituzionale sulla separazione delle carriere dei magistrati con il voto compatto della coalizione di Governo. I 112 voti favorevoli danno così il via libera a uno dei pilastri del programma del centrodestra e aprono ufficialmente la campagna per il referendum confermativo. La premier Giorgia Meloni non è in Aula, ma sui social sottolinea il “traguardo storico”; “Ora la parola passerà ai cittadini”, è l’invito della presidente del Consiglio, che, in serata, intervistata dal Tg1, torna su un passaggio politico cruciale per la legislatura, ossia l’appuntamento con le urne atteso tra marzo e aprile. Il referendum “credo che debba essere una consultazione sulla giustizia. Intanto perché non ci saranno in ogni caso conseguenze per il Governo. Noi arriveremo alla fine della legislatura”.
Assicurando di voler restare salda al timone di Palazzo Chigi a prescindere dall’esito della consultazione, Meloni detta già la linea per affrontare la campagna elettorale: “Chi pensa che nella giustizia va tutto bene voterà contro la riforma, quindi voterà no, e chi pensa che invece possa migliorare voterà a favore della riforma e quindi voterà sì”. Insomma, la riforma, per Meloni, è “un passo importante verso un sistema più efficiente e vicino ai cittadini” e così va comunicata. Dopo le dichiarazioni infuocate sulla Corte dei Conti, la premier abbassa i toni ed esprime “disaccordo” con il sindacato delle toghe, che non è “mai stato favorevole a qualsiasi riforma”. E aggiunge: “L’idea dell’Anm è che tutto va benissimo. Non è l’idea che ne abbiamo noi della giustizia e probabilmente neanche quella che ne hanno i cittadini”. Intanto, i capigruppo di centrodestra hanno già cominciato a raccogliere le firme dei parlamentari per la richiesta del referendum.
A premere sull’acceleratore è soprattutto Forza Italia, che esulta per una “giornata storica” con la festa in piazza Navona e si prepara alla battaglia lanciando già i comitati per il sì. Tuttavia, in vista di una campagna referendaria da mettere ancora a punto, non mancano accenti diversi tra gli alleati. A gioire, in primis, gli azzurri: in Aula, in dichiarazioni di voto, Pierantonio Zanettin parla dal seggio che fu di Silvio Berlusconi e la dedica di tutto il gruppo di FI è proprio per lui, che “per primo ha voluto inserire nel programma del centrodestra la separazione delle carriere”. Il segretario Antonio Tajani è in missione in Africa e da lì scrive: “Realizziamo il sogno di Berlusconi”. A intervenire è anche la figlia del Cavaliere Marina, che in una nota plaude all’approvazione: “Ci sono vittorie che arrivano tardi, forse troppo tardi, ma che restano grandi e decisive. Quella di oggi è la vittoria di mio padre”. Nel flashmob organizzato a Roma decine di militanti e parlamentari ricordano il Cavaliere tra le bandiere del partito, ma non si vedono esponenti di Lega e FdI che si limitano a una dichiarazione congiunta dei capigruppo di maggioranza.
Intanto a escludere un referendum sul Governo è anche il ministro della Giustizia Carlo Nordio, esponente di FdI, che, mentre promette un impegno in prima persona dichiarandosi pronto a un confronto tv con Cesare Parodi dell’Anm, avvisa: “Il dibattito sul referendum venga mantenuto in termini pacati e non venga politicizzato”.
Pd, M5S e Avs puntano al referendum. Dubbi di riformisti e centristi
A leggere le dichiarazioni dei leader, la corsa al referendum sulla separazione delle carriere sembra già cominciata, ma nel centrosinistra si ragiona su come sistemarsi ai blocchi di partenza. “Una giornata triste”, la definiscono i capigruppo Pd Francesco Boccia e Chiara Braga in conferenza stampa al Senato. L’appuntamento è stato preannunciato con una nota che non è stata presa benissimo dagli alleati. Stefano Patuanelli, nei corridoi del Senato, spiega che il M5S, il Pd e anche Avs erano al lavoro “dalle otto di mattina e fino alle 18.00 per mettere a punto una nota congiunta”, poi, però, è arrivata la nota de Pd che annunciava la conferenza di Elly Schlein con i capigruppo dem, “e a quel punto la nota delle opposizioni è diventata la mia e di Riccardo Ricciardi”, dice con un pizzico di amarezza il presidente dei senatori M5S.
L’incomprensione è rientrata subito, tanto che Giuseppe Conte, al fianco del suo capogruppo a Palazzo Madama, assicura che, come Pd, M5S e Avs, “faremo delle riunioni e poi decideremo” se mettere in campo comitati unitari delle opposizioni. In ogni caso, per Conte, niente fretta: “Oggi si apre un percorso, non c’è una scadenza, avremo tempo di coordinare” con le altre opposizioni “anche la campagna referendaria”. Il refrain “niente fretta” è anche quello che viene ripetuto nel Pd alla domanda se si raccoglieranno le firme per la richiesta di referendum confermativo. Quelle necessarie sono un quinto dei parlamentari che siedono nelle due camere: un traguardo alla portata delle opposizioni. Nonostante questo, fra i dem c’è un dibattito in corso fra chi è convinto che occorra intestarsi la battaglia referendaria a cominciare dalla raccolta firme e chi ritiene sia meglio evitare. Tra questi ultimi ci sono alcuni esponenti riformisti.
Questi dubbi si sommano a quelli dell’ala centrista delle opposizioni. Matteo Renzi, intervenendo in Aula, fa sapere che il suo partito si astiene e spiega: “Noi che siamo favorevoli da sempre alla separazione delle carriere che riteniamo giusta e un principio sacrosanto, oggi ci asteniamo perché pensiamo che la montagna abbia partorito il topolino, questa è una riformicchia. Parte della destra che un tempo era giustizialista dice che oggi si fa la storia; parte della sinistra che era riformista dice che oggi si fa un golpe: non è vero. Oggi non si celebra la separazione delle carriere perché c’è già”. Anche Riccardo Magi, di Più Europa, invita a moderare i toni e a non trasformare la campagna referendaria “in un’ordalia”: infatti, la riforma “non segnerà né l’avvento di una rivoluzione liberale e garantista né la fine della democrazia”. Nonostante i dubbi dei riformisti, Elly Schlein è categorica: “Raccoglieremo le firme tra i parlamentari, come faranno anche gli altri, per chiedere il referendum”.
Il Governo frena sul Ponte sullo stretto e attende le motivazioni della Corte
La riunione d’urgenza, convocata in mattinata a palazzo Chigi dopo la mancata registrazione da parte della Corte dei conti della delibera Cipess riguardante il Ponte sullo Stretto, serve quasi più a rallentare e ad abbassare i toni che a precipitare decisioni straordinarie. Giorgia Meloni aveva parlato di “ennesimo atto d’invasione della giurisdizione sulle scelte del Governo e del Parlamento”, di “una scelta politica più che un sereno giudizio tecnico” Matteo Salvini. Tanto da spingere la Corte dei Conti a diramare una nota per ribadire di essersi espressa “su profili strettamente giuridici” e “senza alcun tipo di valutazione sull’opportunità e sul merito dell’opera” e chiedere “rispetto” per l’operato dei magistrati. Il summit a Palazzo Chigi raffredda il clima. Il Ministro dei Trasporti, dopo una riunione fatta al Mit di buon mattino raggiunge la premier nella sede del Governo; ci sono anche i sottosegretari Alfredo Mantovano e Giovanbattista Fazzolari, l’Amministratore delegato della società Stretto di Messina Pietro Ciucci e, in videocall dal Niger dove è in missione, Antonio Tajani.
Il vertice va avanti per un’ora e mezza. “Si è convenuto di attendere la pubblicazione delle motivazioni della delibera adottata dalla Corte dei conti (attesa entro 30 giorni). Solo dopo averne esaminato nel dettaglio i contenuti, il Governo provvederà a replicare puntualmente a ciascun rilievo, utilizzando tutti gli strumenti previsti dall’ordinamento”. Per il Governo, in ogni caso, “rimane fermo l’obiettivo, pienamente condiviso, di procedere con la realizzazione dell’opera”. Meloni, in serata, si dice “un po’ incuriosita” di fronte ad alcuni rilievi, ma assicura che il Governo risponderà e ribadisce il messaggio: “L’obiettivo è fare il ponte sullo stretto di Messina che è un’opera strategica”, “Non mi rassegno all’idea che non si possa più fare” un ponte “oggi perché siamo soffocati dalla burocrazia e dai cavilli”.
È Matteo Salvini a dare la linea dopo il faccia a faccia: “Sono assolutamente tranquillo, determinato. Abbiamo calendarizzato i prossimi passi; nel primo Cdm, a giorni, informerò i colleghi su come intendiamo andare avanti e mettere in sicurezza i fondi necessari all’opera che siamo determinati a portare avanti. Attendiamo con estrema tranquillità i rilievi della Corte dei conti cui siamo convinti di poter rispondere punto su punto perché abbiamo rispettato tutte le normative”, esordisce. Per il ministro dei Trasporti, insomma, si andrà avanti “senza forzature”, “senza nessuno scontro tra i poteri”. Il leader della Lega sembra escludere soluzioni lampo, come una nuova approvazione da parte del Cdm della delibera Cipess: “Mi sarebbe piaciuto partire coi cantieri già a novembre, se dovremo tornare in Cdm ai primi di dicembre, rimandando in Corte dei Conti tutte le nostre motivazioni per proseguire con l’opera, lo faremo. A quel punto vuol dire che arriverà un passaggio definitivo delle Sezioni riunite della Corte dei conti a inizio gennaio, il che vuol dire che invece di partire con i lavori a novembre partiremo a febbraio”, dice stilando il nuovo calendario.
Via libera da Bankitalia sulle banche. Meloni esclude modifiche sul punto
Nessuna modifica sulle banche, possibilità invece di ritocchi per gli affitti brevi sui quali “deciderà il Parlamento”. Giorgia Meloni sintetizza così l’approccio del Governo dopo le polemiche su alcune delle misure simbolo della manovra che inizia in questi giorni il suo iter al Senato. Sugli affitti un’apertura c’è, come del resto emerso anche dalle parole degli ultimi giorni di Giancarlo Giorgetti. La Meloni lascia spazio alle Camere anche se ribadisce la ratio del provvedimento che “non è fare cassa sul tema degli affitti, ma è favorire gli affitti alle famiglie”. Sul contributo delle banche invece “non credo” ci saranno modifiche, ha puntualizzato la Meloni, e “continuo a dire che secondo me è un bel segnale che si mettono risorse sui lavoratori, sulle imprese che assumono, sulle famiglie e la natalità e che si chieda un contributo a banche e assicurazioni”.
Sulle norme, così come scritte dall’esecutivo, è del resto arrivato anche il nullaosta del governatore della Banca d’Italia Fabio Panetta: il contributo previsto in manovra non provoca “rischi di instabilità finanziaria”, spiega, ricordando come le banche italiane siano ben capitalizzate e redditizie e la tassa incide in “maniera limitata sugli utili”. Bankitalia non si dice nemmeno stupita dall’andamento dell’economia italiana, rimasta ferma nel terzo trimestre, con il Pil che, in assenza di variazioni negli ultimi tre mesi dell’anno, si avvia a chiudere il 2025 a +0,5%. Le stime del Governo, ridimensionate ad aprile e ulteriormente limate nel Dpfp, verrebbero comunque centrate. Ma la congiuntura resta debole e da più parti arrivano sollecitazioni al Governo affinché sfrutti la manovra per intervenire con misure di stimolo ai consumi. Nel resto d’Europa, infatti, c’è anche chi reagisce meglio, come la Francia, il cui Pil è cresciuto dello 0,5% trainato dalle esportazioni, battendo le stime degli analisti. Va meno bene la Germania, con un Pil che nel terzo trimestre non cresce. Nell’Eurozona il Pil è cresciuto dello 0,2%, nell’Ue dello 0,3%, dopo rispettivamente il +0,1% e +0,2% del secondo trimestre.
Per quanto riguarda l’Italia, qualche segnale positivo arriva ancora dal mercato del lavoro. A settembre gli occupatisono aumentati (+67mila unità in un mese e +176mila in un anno) e il tasso di occupazione è salito al 62,7%, con un aumento dei dipendenti stabili. Sale anche il tasso di disoccupazione (al 6,1%), con quello giovanile che si attesta al 20,6%. Per la Ministra del lavoro Marina Calderone il dato conferma l’andamento positivo dell’occupazione. La legge di bilancio ha intanto formalmente iniziato il proprio cammino in Parlamento. In Senato si è aperta, con le comunicazioni in Aula del presidente Ignazio La Russa, la sessione di bilancio. Il primo step saranno le audizioni, tra lunedì 3 novembre e giovedì 6. Ma la vera attesa è per la fase emendativa, con i partiti che promettono modifiche su numerosi temi, dal contributo delle banche agli affitti brevi, dai dividendi alle pensioni delle forze dell’ordine.

 
            
 
                       
	 
     
     