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La Giornata Parlamentare. Nel Pd scoppia il caso Tarquinio

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FdI attacca l’ostruzionismo delle opposizioni sul premierato

FdI cerca di accelerare sul premierato. I lavori sembravano partiti con il turbo ma vanno a rilento in Commissione Affari Costituzionali al Senato e si accende lo scontro con l’opposizione sull’ostruzionismo. Si riprende martedì, dopo una mini-pausa pasquale, quando si voterà sul cuore della riforma, l’emendamento del Governo sull’elezione diretta del premier. Ma il cammino è ancora lungo, due letture in ciascuno dei due rami del Parlamento e il referendum, che ormai maggioranza e Governo danno per scontato. “Faccio una facile previsione: si arriverà al referendum. Non vedo la possibilità di una maggioranza tanto qualificata da evitarlo”, dice il presidente del Senato Ignazio La Russa, e “credo che sarà importantissimo quello che faranno Senato e Camera ma sarà più importante quello che deciderà ogni cittadino italiano”. “Il referendum? Secondo me si dovrebbe fare comunque, perché è giusto che la gente si esprima su una riforma così importante. Sono convinto che sapremo spiegare la ragioni. E credo che Meloni sia al riparo da qualsiasi risultato”, dice il Ministro per i rapporti con il Parlamento Luca Ciriani; “Questa riforma non l’abbiamo pensata per ottenere un vantaggio per Gorgia Meloni. Serve al nostro Paese, che non conosce il termine stabilità. E un Paese che non ha credibilità non va lontano”, aggiunge il Ministro che lancia un’aperta critica alle opposizioni: “Io sono un po’ deluso del riflesso condizionato che ha guidato le risposte dei colleghi di centrosinistra”, incalza Ciriani, e “la risposta che abbiamo avuto è solo un ostruzionismo un po’ insensato”. 

Ancora più diretto il presidente della Commissione Affari Costituzionali Alberto Balboni: “Il M5S era partito bene, con 20 emendamenti, manifestando l’intenzione di un confronto di merito. Poi si è fatto trascinare dalla foga ostruzionistica di Pd e Avs e adesso partecipa con entusiasmo all’ostruzionismo, intervenendo su ogni emendamento”. Dalle opposizioni “mi aspettavo lo stesso atteggiamento dell’autonomia”, con emendamenti “tutti di merito che hanno costretto a un approfondimento”, invece “hanno presentato 2.600 emendamenti, che mi hanno lasciato a bocca aperta”. “Il ministro Ciriani ha poco da essere deluso”, replica la dem Simona Bonafè, “FdI, Lega e Forza Italia sono interessati unicamente a piantare bandierine”. “Pensavano che gli avremmo fatto fare senza nessuna fatica lo stravolgimento della Costituzione?”, attacca il capogruppo di Avs in Senato Peppe De Cristofaro

Meloni dal Libano rilancia: “Per la pace serve la deterrenza”

I militari italiani in Libano rappresentano “il fossato, la barriera di sabbia che aiuta a non far progredire l’incendio” in Medio Oriente, un incendio che da Gaza ha raggiunto il sud del Libano, dove Giorgia Meloni prende la parola davanti ai contingenti italiani nelle ore in cui fra le basi di Hezbollah e il nord di Israele si consuma l’ennesimo scambio di razzi. Per questo ai soldati della missione Unifil dell’Onu e a quelli della missione bilaterale Mibil porta il ringraziamento per i loro sacrifici: “Rinunciate a tutto per garantire quella pace di cui tanti, soprattutto in questo momento, si riempiono la bocca seduti comodamente dal divano di casa loro. Perché la pace non si costruisce con i sentimenti e le buone parole, la pace è soprattutto deterrenza e impegno, sacrificio”. Dalla base Millevoi di Shamaa arrivano le foto del pranzo nella mensa e della partita a calcio balilla

Intanto sui social diventa virale il video dello sbarco a Beirut, per la gaffe del primo ministro Najib Miqati che mercoledì sera ha accolto ai piedi della scaletta dell’aereo Patrizia Scurti, capo della segreteria particolare, scambiandola per la presidente del Consiglio. Un qui pro quo durato qualche secondo, prima del colloquio in cui Meloni ha ribadito al leader libanese la necessità di evitare una escalation delle tensioni al confine con Israele. Nelle ultime 24 ore diversi scambi fra Hezbollah e l’esercito israeliano hanno infuocato il fronte a pochi chilometri dalla base visitata da Meloni. È la sede del comando del contingente italiano Unifil (composto da un migliaio di soldati), dove la premier ha incontrato anche i vertici della Mibil, composta da un centinaio di militari e responsabile del sostegno alle forze armate libanesi. Unifil per l’Italia è “indispensabile” e Mibil svolge un lavoro “importante ieri e fondamentale”, ha sottolineato la presidente del Consiglio, attribuendo ai militari il merito di dare “autorevolezza” all’Italia nel mondo. 

Meloni lavora sul caso Salis e chiede di non strumentalizzare il caso 

Se si vuole riportare Ilaria Salis in Italia, è meglio evitare di usarla per fare campagna elettorale. Nel Governo circola questo ragionamento davanti alla mobilitazione delle opposizioni per la trentanovenne attivista che resta in carcere a Budapest dopo il respingimento della richiesta dei domiciliari. La riflessione si estende anche alla suggestione, attribuita a Elly Schlein, di candidare la docente brianzola alle Europee. È il momento del silenzio, di abbassare il livello della polemica, è la linea condivisa fra Palazzo Chigi e Farnesina, perché è a fari spenti che si lavora in casi dai risvolti diplomatici, giudiziari e politici così intricati, con la speranza che nel giro di qualche settimana possa essere valutata diversamente una nuova istanza per i domiciliari in Ungheria, passaggio indispensabile per poi chiedere lo stesso regime detentivo nel Paese di origine. Nella maggioranza c’è chi ricorda il caso di Patrick Zaki. Quando tre anni fa il centrosinistra insisteva per votare alla Camera una mozione per impegnare il Governo a sostenere l’istanza per conferirgli la cittadinanza italiana, l’allora presidente del Consiglio Mario Draghi era piuttosto perplesso, sostiene un esponente di peso di FdI, non per il merito, ma perché anche sul caso dello studente detenuto in Egitto serviva evitare di infiammare il clima. E sono poi passati altri 24 mesi per arrivare alla grazia, subito dopo la condanna a tre anni. “Un risultato” rivendicava in quei giorni l’esecutivo di centrodestra “portato a casa in primis dal lavoro silenzioso di Meloni”. Meloni non parla in pubblico del caso Salis da un paio di mesi. L’ultima volta replicò alle accuse di inerzia sollevate da Elly Schlein: “Se è più brava di noi sicuramente saprà cosa fare”. 

“Anche in Ungheria c’è l’autonomia dei giudici e i Governi non entrano nei processi”, aveva detto pochi giorni prima, dopo aver chiesto a Viktor Orban “un trattamento di dignità, rispetto e un giusto processo” per la donna. Entrambi conservatori, i due leader hanno un rapporto consolidato, anche se l’ingresso del partito del premier ungherese nella famiglia dei Conservatori europei guidata da Meloni non è all’ordine del giorno, come ha detto lei stessa di recente. Ma questa dinamica non c’entra, assicurano i meloniani. L’assunto, in ambienti di Governo, è invece che attacchi mediatici al Governo ungherese possono solo essere controproducenti. Quindi, finché le pressioni politiche e mediatiche saranno così evidenti è difficile sperare nell’accoglimento della richiesta di domiciliari. Aprire scontri diretti con l’Ungheria o politicizzare la vicenda sono vie che difficilmente aiutano la causa della Salis. Un’esortazione alle opposizioni e al Pd in particolare. 

Valditara rilancia: “In classe la maggioranza degli alunni sia italiana”

Nelle aule scolastiche “la maggioranza degli alunni deve essere italiana”: basta classi con troppi studenti stranieri. I valori della Costituzione italiana, assimilando la quale si costruisce una società ordinata, altrimenti è “melting pot”, possono essere appresi più facilmente se i ragazzi stranieri “studieranno in modo potenziato l’italiano se non lo conoscono bene, se nelle scuole si insegnerà approfonditamente la storia, la letteratura, l’arte, la musica italiana, se i genitori saranno coinvolti pure loro nell’apprendimento della lingua e della cultura italiana e se non vivranno in comunità separate”. Ragiona in questi termini il Ministro dell’Istruzione Giuseppe Valditara, dopo che 24 ore prima il vicepremier Matteo Salvini aveva detto di considerare “un arretramento” la chiusura di una scuola per il Ramadan e aveva proposto la quota massima di “un 20% di bambini stranieri in una classe”. Il riferimento del ministro dei Trasporti è alla chiusura, il prossimo 10 aprile giornata di fine Ramadan, dell’istituto Iqbal Masiq di Pioltello, nel Milanese, al centro di una bufera mediatica. Parole, quelle di Salvini e Valditara, che arrivano dopo che il presidente della Repubblica Sergio Mattarella ha espresso apprezzamento per il lavoro che il corpo docente e gli organi di istituto della scuola di Pioltello svolgono “nell’adempimento di un compito prezioso e particolarmente impegnativo”. 

E se la maggioranza appoggia le affermazioni del Ministro dell’Istruzione forti critiche arrivano dal Pd. “Quelli di Valditara” dice la capogruppo democratica nella Commissione Cultura della Camera e responsabile scuola del Pd Irene Manzi “sono sproloqui. Il Ministro dell’istruzione si comporta ormai da megafono di Salvini. Questa crociata contro i ragazzi con background migratorio è veramente stucchevole. Invece di fare propaganda, il governo indichi quali sono le proposte per l’inclusività scolastica”. Qualcuno ricorda che in realtà, in Italia esiste già da tempo un numero limite di studenti stranieri per classe. In base a una circolare del gennaio 2010 del ministero dell’Istruzione all’epoca guidato da Mariastella Gelmini, il numero di alunni stranieri con una ridotta conoscenza della lingua italiana non deve superare il 30% degli iscritti in ogni classe e in ogni scuola, anche se poi possono esserci delle deroghe. Nell’anno scolastico 2021/2022, il 7,2% di tutte le scuole d’Italia aveva più del 30% di studenti stranieri, mentre le scuole con zero stranieri erano il 18%, con grandi differenze tra regioni: quella con la percentuale più alta di scuole senza studenti stranieri è la Sardegna, mentre al nord la percentuale di classi che sfora il 30% è alta soprattutto in Lombardia, Emilia-Romagna e Veneto. 

Dopo le polemiche, il Mef conferma il superbonus per i comuni terremotati

Nel decreto superbonus resteranno la cessione di credito e lo sconto in fattura per i Comuni del cratere del sisma 2009 e 2016. Dopo 48 ore di polemiche e la rivolta di sindaci e governatori l’esecutivo salva la misura per le aree terremotate. “Il Governo nella sua azione di tutela e sostegno delle comunità colpite” dice il Mef per bocca della sottosegretaria Lucia Albano che assicura che non sarà previsto alcun blocco per i crediti “superbonus sisma”. Allarme rientrato, dunque, con i Comuni del cosiddetto cratere (Abruzzo, Lazio, Umbria e Marche) che prima dell’uscita del Mef non avevano nascosto la rabbia, parlando di un “colpo mortale” alla ricostruzione e di un freno alla ripartenza dei territori devastati dai terremoti del 2009 e del 2016. Si tratta di 140 amministrazioni che insistono sull’area del ‘cratere’ e dove ci si apprestava a dare il via a nuovi cantieri godendo proprio del bonus statale. Un appello al confronto era arrivato anche dalle principali istituzioni, capitanate dalle Anci delle regioni terremotate. 

A stemperare le polemiche aveva provato il governatore delle Marche Francesco Acquaroli, esponente dello stesso partito della premier Giorgia Meloni: “Dobbiamo stare sereni e aspettare il testo definitivo, senza ingenerare terrore, perché la volontà di tutti non è di definanziare la ricostruzione ma di sostenerla. Credo che nelle prossime ore potremo avere maggiore chiarezza”. E il presidente, anche lui di centrodestra, del Lazio Francesco Rocca aveva rivolto un “appello a Meloni per rivalutare le misure”. Stessa cosa da parte del presidente dell’Abruzzo Marco Marsilio, Fdi. Lo stesso Commissario per la ricostruzione Guido Castelli si era messo già al lavoro su una serie di emendamenti perché senza le modifiche, aveva spiegato il primo cittadino di Amatrice Giorgio Cortellesi, “saremo costretti a mettere in campo azioni clamorose”. Ad aprire uno spiraglio era stato il vicepremier Antonio Tajani, che si era detto “convinto” che si sarebbe trovato “un accordo positivo con tutti i partiti della maggioranza” per correggere il testo del provvedimento. Poi in serata è arrivata la precisazione del Mef che di fatto ripristinerà la misura per i comuni terremotati.

La Schlein incontra Bonaccini. Nel Pd scoppia il caso Tarquinio

La segretaria Pd Elly Schlein sta provando a stemperare la tensione dopo gli strappi delle liste per le europee. Ieri ha incontrato il governatore dell’Emilia-Romagna e presidente del partito Stefano Bonaccini, che non avrebbe gradito l’ipotesi di non essere il capolista nel Nord Est. Il faccia a faccia fra Bonaccini e Schlein, al Nazareno, è durato più di tre ore. Al termine è stata diffusa una nota congiunta: “Incontro positivo, al lavoro insieme su elezioni europee, regionali e amministrative”. Ma l’incontro non è stato risolutivo, la quadra deve essere ancora trovata. E secondo alcuni esponenti Pd, non è detto che sia sulla posizione in lista, perché Bonaccini non sarebbe così determinato ad andare a Bruxelles. A seguire ha visto i segretari regionali, che dovranno condividere le scelte, visto il loro ruolo sui territori in un voto dove le preferenze sono decisive. Alla fine, si sarebbe deciso di programmare nuovi incontri per fare il punto sui nomi anche sulla base delle indicazioni dei territori. Schlein avrebbe garantito un mix tra candidature civili e politiche. E sarebbe stata confermata la volontà di dare una stretta alle deroghe allo stop dopo tre mandati consecutivi.

Però, mentre Schlein cercava di tessere consensi, accordi e mediazioni, nel partito è scoppiato un altro caso, per la possibile corsa col Pd dell’ex direttore di Avvenire Marco Tarquinio. Contro l’ipotesi si è schierata la deputata Pd Lia Quartapelle: “I giornali sottolineano sia la sua linea contraria all’autodifesa dell’Ucraina, sia le affermazioni a sostegno della famiglia tradizionale e contro il diritto di abortire in modo sicuro. Se si vuole imporre un cambiamento di rotta politica, lo si faccia apertamente”. Il partito è diviso: “Credo ci siano nomi su cui si sta lavorando che diano un segno anche di una attenzione a movimenti, a battaglie come quella per la pace” ha detto il deputato ed ex ministro Andrea Orlando, “Penso, ad esempio, al nome di Tarquinio che credo sia di grandissimo livello”. Spende parole anche l’ex segretario dem Nicola Zingaretti: “Il Pd sta facendo bene a pensare a liste aperte, competitive, ricche e plurali. E ovviamente mi auguro vivamente che anche Marco Tarquinio, che si sta molto impegnando sui temi della pace, possa farne parte”. C’è poi il caso Ilaria Salis: per una suggestione che sarebbe circolata fra Schlein e alcuni fedelissimi nel giorno dell’udienza a Budapest, il nome ha trovato qualche spazio anche nel dibattito interno al Pd sui candidati a Bruxelles.

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