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La Giornata Parlamentare. Meloni in Tunisia e Turchia. La Palestina agita l’Europa

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Meloni vola in Tunisia e Turchia per parlare di migranti con Saied ed Erdogan. Il riconoscimento dello Stato palestinese agita gli stati europei.

La Giornata Parlamentare è curata da Nomos, il Centro studi parlamentari, e traccia i temi principali del giorno. Ogni mattina per i lettori di Key4biz. Per leggere tutti gli articoli della rubrica clicca qui.

Meloni vola in Tunisia e Turchia per parlare di migranti con Saied ed Erdogan

Migranti e guerre, sono queste in particolare le ragioni che spingono Giorgia Meloni a organizzare due viaggi in sequenza: ieri Tunisia e oggi Turchia. Un’iniziativa non preannunciata, per confrontarsi prima con il presidente tunisino Kais Saied e poi con l’omologo turco Recep Tayyip Erdoğan. Con Saied la premier discute del piano Mattei e di energia, ma sono i flussi migranti il fulcro dell’incontro e, con ogni probabilità, lo saranno anche nei colloqui di Istanbul. Su questo fronte la collaborazione con Tunisi viene definita “eccellente”, come dimostrano i dati dei relativi sbarchi in progressiva diminuzione, e pertanto va blindata, ribadendo “l’impegno comune a contrastare le reti criminali di trafficanti” e a “promuovere vie legali di migrazione”. Un problema, semmai, sono gli arrivi in aumento dalla Libia, che trainano quel +9,15% di sbarchi complessivi al 31 luglio rispetto allo stesso periodo del 2024. Così, la stabilizzazione libica potrebbe finire tra gli argomenti al centro del faccia a faccia con Erdogan, leader considerato influente anche in Africa. 

Intanto le opposizioni attaccano Meloni proprio sul tema migratorio: “Va a stringere mani e accordi con Saied mentre una nave commerciale con a bordo 90 sopravvissuti di un naufragio in cui sono morti anche due bambini è bloccata da 50 ore in area di soccorso tunisina, con le autorità italiane e tunisine che si sono rifiutate di intervenire”, punta il dito la segretaria del Pd Elly Schlein, che invita la premier a garantire “assistenza sanitaria immediata ai naufraghi” assegnando “un porto sicuro”. È intollerabile”, insorge pure Riccardo Magi da Più Europa. Se i flussi migratori a oggi non vengono considerati un’emergenza (il Governo è forte del brusco calo di arrivi registrato lo scorso anno: -57,74% sul 2023), di certo l’allarme per le due guerre in corso in Medio Oriente e Ucraina è altissimo. E difficilmente non verrà affrontato nell’appuntamento con Erdogan, visto che il presidente turco da sempre ha molto da dire sul conflitto Putin-Zelensky (di recente ha auspicato di poter ospitare un tavolo di pace) e di recente ha condannato duramente il “genocidio” a Gaza

Il riconoscimento dello Stato palestinese agita gli stati europei

Se le parole hanno un peso, quelle pronunciate dal ministro degli Esteri tedesco Johann Wadephul potrebbero preludere a una svolta epocale nella politica della Germania in Medio Oriente: “Israele si trova sempre più in una posizione di minoranza”, ha affermato, sottolineando come per la Germania il riconoscimento della Palestina “deve avvenire alla fine di un processo negoziale che deve iniziare ora”. Berlino, quindi, non seguirà la Francia nel riconoscimento tout court dello Stato della Palestina ma, di fatto, sembra aver perso la pazienza nei confronti del governo di Benjamin Netanyahu, un esecutivo che, in Europa, senza una vera svolta umanitaria a Gaza, rischia di perdere quasi tutti i suoi alleati. “La Germania sarà costretta a reagire a passi unilaterali”, ha avvertito il Ministro tedesco. L’appuntamento da segnare resta quello dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite di fine settembre. Il punto è che, guardando alla situazione della Striscia, allo stato dell’arte dei negoziati con Hamas per il rilascio degli ostaggi e alle continue dichiarazioni incendiarie di una parte del Governo Netanyahu, quell’appuntamento appare lontanissimo. 

L’annuncio di Emmanuel Macron dello scorso 24 luglio in pochi giorni ha fatto proseliti. L’ultimo a unirsi al gruppo di Paesi che a fine settembre riconoscerà lo Stato palestinese è stato il Portogallo. Il gruppo, in Europa, potrebbe allargarsi: in Belgio è forte la pressione sul primo ministro Bart De Wever, mentre il Presidente della Repubblica finlandese Alexander Stubb ha affermato che, se il Governo di Helsinki lo proporrà, sarà pronto ad approvare il riconoscimento della Palestina, visto che è a lui che spetta l’ultima parola. La Svezia, dal canto suo, ha chiesto all’Ue di congelare la parte commerciale dell’accordo di associazione con Israele. Tra i grandi, in Ue, a resistere resta l’Italia di Giorgia Meloni. Ma non c’è solo l’Europa a muoversi verso il riconoscimento dello Stato di Palestina: il Canada, dopo il sì della Gran Bretagna, è diventato il terzo Paese del G7 a passare dalle parole ai fatti.

L’Australia ha spiegato che il passo diplomatico è in via di valutazione. Con le ultime adesioni i Paesi che riconoscono lo Stato di Palestina, dopo l’Assemblea al Palazzo di Vetro, potrebbero superare i 150 sui 193 membri dell’Onu. L’esistenza di uno Stato palestinese è stato uno dei pilastri della dichiarazione che martedì ha unito rappresentanti europei e arabi e che ha concluso la conferenza organizzata da Francia e Arabia Saudita. Ed è a quell’appuntamento che Wadephul ha fatto riferimento parlando del crescente isolamento di Israele. Al tempo stesso Netanyahu può continuare a contare su Donald Trump, che dopo aver snobbato la decisione di Macron (“le sue parole non contano”) ha definito la scelta di Keir Starmer “una ricompensa per Hamas”. Con il Canada è stato ancora più duro, legando il riconoscimento della Palestina con il dossier dazi. 

Tajani vede Marina e Pier Silvio Berlusconi per rilanciare Fi

Dopo alcune settimane, c’è stato l’atteso incontro tra il segretario di Forza Italia, vicepremier e Ministro degli Esteri Antonio Tajani e i figli di Silvio BerlusconiMarina e Pier Silvio. “È andata molto bene” commenta Tajani dopo più di due ore di confronto nella sede di Mediaset a Cologno Monzese, parlando di una riunione “molto positiva” durante la quale i figli del Cav hanno confermato il profondo legame col partito fondato dal padre e l’intenzione di continuare a impegnarsi per il suo futuro, senza però che questo significhi un loro coinvolgimento nella politica attiva. “Piena fiducia in Antonio”, hanno sottolineato nei loro discorsi. Nessuna discesa in campo, dunque, come sembrava avere ipotizzato Pier Silvio nelle scorse settimane, ma la conferma di una “stretta collaborazione” e della totale sintonia con il segretario azzurro, sia sui valori liberali e moderati, eredità del padre, che devono continuare a guidare l’azione del partito, sia sulla necessità di coniugare apertura e rinnovamento su contenuti e nuove figure. “Ci vedremo più spesso per confrontarci sui temi” sottolinea il vicepremier, “La vicinanza della famiglia è importantissima”, dice al riguardo, e “arricchisce” il partito. 

Prima dell’incontro, al quale era presente anche Gianni Letta, Tajani aveva assicurato che al tavolo non ci sarebbe stato nessun “ordine del giorno” e che avrebbe ascoltato i consigli degli “amici”, forse anche per scacciare via le voci di eventuali malumori sulla gestione di Fi. D’altronde, avevano fatto piuttosto rumore le parole di Pier Silvio pronunciate durante la presentazione dei palinsesti Mediaset: l’ad del Biscione aveva bacchettato Tajani, frenando i suoi entusiasmi sullo Ius scholae, proposta che non convince nemmeno Marina. Ma soprattutto era tornato a chiedere un rinnovamento tra le fila azzurre, “volti nuovi”, magari giovani, da spendere sul campo ma anche in televisione; nei fatti, il partito lo sta già portando avanti, visto che, dopo la morte di Berlusconi, Fi ha cercato di allargarsi il più possibile. 

La logica è quella di aggiungere senza mettere in discussione, né tantomeno voler sostituire, l’attuale classe dirigente del partito. Ad ogni modo, l’invito di Pier Silvio era già stato recepito da Tajani, che pochi giorni dopo le sue parole aveva annunciato una modifica allo statuto del partito attraverso la quale i coordinatori regionali non saranno più designati dall’alto ma votati dagli iscritti in un congresso. E forse non a caso, è arrivata anche la notizia della nuova nomina del coordinatore della comunicazione di Forza Italia, che sarà Simone Baldelli, già deputato e vicepresidente della Camera. Tajani ha anche fatto sapere che a settembre arriverà il nuovo “manifesto della libertà” che darà a Fi “un’identità forte” e contribuirà “a differenziarla da Fratelli d’Italia e Lega”.

Salvini candida mamma di Giogiò in Campania e rilancia sul Veneto

In un giorno che sembrava tranquillo per la maggioranza, la Lega annuncia la candidatura in Campania della mamma di Giogiò Cutolo, un giovane ucciso da un minorenne a Napoli, e torna a mettere l’ipoteca sul Veneto, per continuare il buon governo della Regione. Matteo Salvini è intervenuto anche sul dossier Roma Capitale, mettendo sul piatto la richiesta che anche due capitali del Nord, Milano e Venezia, abbiano le stesse attenzioni dal Governo. Piani naturalmente diversi, ma che confermano la tendenza del Carroccio a prendere la scena, quando apparentemente c’è calma piatta tra gli alleati, FdI e Fi. Ad animare la giornata, è stato Salvini, che in una conferenza stampa al Senato ha annunciato la candidatura per la Lega in Campania di Daniela Maggio, la mamma di Giogiò. “I napoletani che vogliono cambiare hanno in Daniela Di Maggio una testimonianza incredibile, perché reagire alla morte di un figlio per mano di delinquenti non chiudendosi, odiando, arrabbiandosi ma aprendosi e facendo proposte culturali e politiche, formando tanti giovani: è qualcosa di bello”. E sui problemi della sicurezza ha lanciato una nuova proposta, “equiparare l’episodio delittuoso del minore a quello del maggiorenne”. 

Sul Veneto Salvini non ha svelato nomi o partiti in vantaggio per Palazzo Balbi. “Quando ci sarà il nome, lo saprete”. Ha però rilanciato il primato del “buon governo della Lega del centrodestra in Veneto”. È chiaro, ha detto, come sia riconosciuto a livello italiano e internazionale, com’è altrettanto chiaro che lo riproporremo”. Intanto, dietro le quinte, non essendoci stati finora strappi dal partito della Meloni, i leghisti veneti cominciano a credere che il toto-candidato nel centrodestra alla fine li vedrà vincitori. Non solo: la Lega ha battuto due colpi anche su Roma Capitale; il primo con Luca Zaia, che si è appellato a Governo e Parlamento perché, nella modifica costituzionale “sia incluso il pieno riconoscimento anche di un’altra città che necessita di un’attenzione speciale: Venezia”. “Ritengo che, in un testo di tale portata sia indispensabile includere il pieno riconoscimento di Venezia, realtà unica al mondo, uno dei principali biglietti da visita del Paese”. A Zaia si è subito aggiunto il segretario della Lega Lombarda e presidente dei senatori Massimiliano Romeo, che ha chiesto lo stesso per Milano. Quel che sembra chiaro, comunque, è che la Lega abbia adottato una nuova strategia e che. a prescindere da cosa accada, punta a essere al centro del dibattito pubblico ogni giorno.

Occhiuto si dimette e si ricandida a Presidente della Calabria

Un annuncio a improvviso, clamoroso e inaspettato: il presidente della Regione Calabria Roberto Occhiuto si dimette e si ricandida. “Tra qualche settimana saranno i calabresi a decidere il futuro della Calabria, non altri” spiega in un video. La decisione è collegata all’inchiesta della Procura di Catanzaro che lo vede indagato per corruzione, ma a spingerlo alle dimissioni è il tentativo di bloccare le opere che si stanno realizzando nella regione. “Chi vorrebbe fermarle, la magistratura? No, non ce l’ho con la magistratura. Non cambio idea: ho sempre detto che in una Regione complicata come la Calabria i magistrati devono fare il loro lavoro serenamente. D’altra parte, io ho chiarito ogni cosa, non ho nulla da temere dall’inchiesta giudiziaria”. 

Il governatore, infatti, così come aveva chiesto subito dopo avere ricevuto l’avviso di proroga delle indagini, la settimana scorsa è stato interrogato dai pm, un confronto dal quale era uscito “soddisfatto e molto sollevato”. L’ira di Occhiuto, dunque, non è con i pm ma con “tutti questi politici di secondo piano, che in politica non hanno mai realizzato nulla per la Calabria in tanti anni. Ce l’ho con questi odiatori, con queste persone arrabbiate con la vita, che tifano per il fallimento della Calabria, che quasi sono contenti quando si parla male della Calabria. Ce l’ho con questi che utilizzano l’inchiesta giudiziaria come una clava per indebolire o per uccidere politicamente il presidente della Regione: non sarà così”. 

Quindi dimissioni ed elezioni, per non farsi “uccidere” politicamente rimanendo impantanato in una situazione di stallo. Tuttavia, pur convinto che “non ci si debba dimettere per un avviso di garanzia”, Occhiuto spiega di dover fare i conti con la sua Amministrazione dove adesso “nessuno si assume la responsabilità di firmare niente, tutti pensano che questa esperienza sia come quelle precedenti”. L’annuncio delle dimissioni, tra l’altro, giunge alla vigilia della tre giorni sul Sud che da oggi a domenica vedrà riunito a Reggio Calabria il gotha di Forza Italia, con il segretario nazionale e vicepremier e ministro degli Esteri Antonio Tajani, Ministri, sottosegretari e parlamentari azzurri, una convention che, inevitabilmente, adesso si arricchirà di ulteriori contenuti. 

Conte da l’ok a Ricci ma non ad alleanze strutturali con il Pd

Si chiude la pausa di riflessione del M5S sulla corsa di Matteo Ricci alla presidenza delle Marche. Dopo un consiglio nazionale e un round di confronti con il territorio, Giuseppe Conte scioglie la riserva e conferma il sostegno all’aspirante governatore dem. “Non ci sono ragioni allo stato attuale per chiedere un passo indietro a Ricci, sarebbe un brutto precedente”, spiega in conferenza stampa. Tanto basta per far tirare un respiro di sollievo agli alleati della coalizione di centrosinistra: “Bene che anche il M5S abbia confermato il supporto a Ricci, adesso andiamo a vincere insieme”, è il commento della segretaria dem Elly Schlein che ora può guardare allo sprint elettorale senza ulteriori sussulti. Così come si preparano a tirare la volata i leader di centrodestra, che lunedì saranno ad Ancona per sostenere la candidatura dell’uscente Francesco Acquaroli. Le Marche, al voto a fine settembre, restano dunque il primo test della più ampia partita delle Regionali d’autunno. Conte parla chiaro: “Continueremo a fare di tutto per vincere le elezioni per le Marche”. Via libera, quindi, eppure non esclude future valutazioni: “Se gli elementi dovessero cambiare, ne trarremo le dovute conseguenze”. 

Il leader pentastellato va oltre e frena quando è invitato a rispondere sui fronti aperti per il campo progressista, dalle Regionali alle Politiche. A Ricci chiede di “rafforzare i presidi di legalità”, a cominciare dall’adozione di un “codice etico”. Poi, su un eventuale alleanza strutturale con Pd e Avs alza un muro: “Non è possibile, siamo una forza progressista indipendente e un’alleanza organica significherebbe legarsi con mani e piedi”. Conte non mette in dubbio il dialogo avviato per costruire un’alternativa al Governo a partire dal programma, ma al tempo stesso avverte: “È necessario che i compagni di viaggio siano affidabili”. E se le politiche sono ancora un obiettivo lontano, per le Regionali il leader non garantisce “lo stesso formato di coalizione le dappertutto”. E il pensiero è rivolto soprattutto alla Toscana

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