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La Giornata Parlamentare. Manovra, chiuse le audizioni. Emendamenti fino al 14 novembre

Giorgetti chiude le audizioni sulla manovra

Dopo quelle di sindacati e imprese, di Comuni e Regioni, le audizioni di istituzioni finanziarie e authority, IstatBankitaliaCorte dei Conti e Upb passano sotto la lente la manovra, mettendone in luce da un lato il contributo al consolidamento dei conti pubblici che garantisce stabilità, dall’altra avanzando rilievi. Tanto che il ministro Giancarlo Giorgetti, nel primo pomeriggio, difende l’impianto e le misura bandiera, con una premessa di metodo, rivolta tanto alle opposizioni quanto alla maggioranza per quella che si annuncia una battaglia per le modifiche in Commissioni: la manovra è la “proposta condivisa dal Cdm”, ci sarà una “attenta valutazione” degli emendamenti ma alla luce del rispetto non solo dei saldi di finanza pubblica. La misura simbolo della manovra, il taglio dell’Irpef, assorbe la fetta più grossa dalle previsioni di spesa, circa 3 miliardi. Il Governo l’ha disegnato in modo da distribuire un beneficio medio di 218 euro annui, con un massimo di 440 euro. 

Ma per la Banca d’Italia non comporta “variazioni significative della disuguaglianza nella distribuzione del reddito”. E secondo l’Istat addirittura l’85% delle risorse sono assorbite dalle famiglie dei quinti più ricchi della distribuzione del reddito: effetto della progressività della tassazione, e quindi anche del beneficio, con il taglio lineare dell’aliquota di due punti ma anche del modo in cui è congegnato il meccanismo di sterilizzazione. Come spiega l’Upb, circa il 50% del risparmio di imposta va ai contribuenti con reddito superiore ai 48mila euro, che rappresentano l’8% del totale; l’Upb calcola che nell’ambito dei lavoratori dipendenti, il beneficio medio è pari a 408 euro per i dirigenti, 123 per gli impiegati e 23 euro per gli operai; per i lavoratori autonomi è di 124 euro e per i pensionati di 55 euro. La sterilizzazione della riduzione delle aliquote, ha spiegato la presidente dell’Upb Lilia Cavallari, per i redditi più elevati produrrà effetti parziali dato che solo 58.000 contribuenti, il 32% di quelli con reddito superiore ai 200.000 euro, ha detrazioni aggredibili che non siano state già tagliate da precedenti interventi normativi. 

È un “intervento volto a tutelare i contribuenti con redditi medi”, rivendica invece Giorgetti, che sottolinea come la misura vada letta insieme a quella approvato lo scorso anno. “Il fiscal drag è ampiamente coperto fino a 35mila euro. Quelli dei redditi superiori qualche problema l’hanno avuto ed è il motivo per cui siamo intervenuti sul ceto medio con le aliquote. Perché negli anni scorsi abbiamo preferito dare priorità ai ceti più bassi”. Non esente da critiche anche l’altra misura bandiera della manovra, la rottamazione voluta dalla Lega. Qui è Bankitalia a sottolineare come si tratti di “uno strumento che in passato non ha accresciuto l’efficacia nel recupero di gettito”, mentre per la Corte dei Conti c’è “la possibilità che la misura possa ridurre la compliance fiscale, il rischio che l’Erario possa diventare un finanziatore dei contribuenti morosi, incentivando l’omesso versamento come forma di liquidità, l’incertezza sugli effetti sui saldi di finanza pubblica”. E anche qui Giorgetti replica cercando di rassicurare. Finito il giro di audizioni si entra nel vivo della partita parlamentare. La prima vera scadenza parlamentare scatterà venerdì 14 novembre alle 10.00 quando scadrà il termine per la presentazione degli emendamenti.

Le opposizioni attaccano sul caso Almasri e il Governo stempera

Il caso Almasri continua ad agitare la politica, con l’opposizione che chiede al Governo di riferire e l’esecutivo fiducioso che alla fine Tripoli consegnerà il generale ai giudici dell’Aja chiedendo così con un’assoluzione il procedimento aperto contro Roma. Intanto, in mattinata il Ministro della Giustizia Carlo Nordio è stato a Palazzo Chigi dal sottosegretario Alfredo Mantovano: ufficialmente un incontro sulle ricadute della manovra sul sistema giustizia e sul piano carceri, ma è ipotizzabile che si sia parlato anche della vicenda libica. Il nuovo fronte di polemica è la richiesta di estradizione per Almasri firmata dal Procuratore nazionale di Tripoli che il Governo ha definito una delle “fondamentali ragioni” che hanno giustificato la mancata consegna alla Cpi dell’uomo accusato di crimini di guerra e contro l’umanità. 

Leggendo tuttavia le carte del Tribunale dei ministri che ha indagato su Mantovano, Nordio e Piantedosi emergono alcune incongruenze. L’atto libico è infatti pervenuto al ministero della Giustizia il 22 gennaio alle 10.39, ma Almasri era stato rimpatriato a Tripoli il giorno precedente. Ed inoltre, fanno notare ancora i giudici, il mandato di arresto emesso dalla Corte penale internazionale prevale comunque sulla concorrente richiesta di estradizione giunta dalla Libia. Dunque, “laddove il Ministro (Nordio) ha cercato di giustificare la propria mancata tempestiva risposta alla Cpi e alla Procura generale con la necessità di valutare tale concorrente richiesta di estradizione, si è attribuito un potere che non gli competeva”. Sul punto le opposizioni attaccano duramente, segno che la questione non si è ancora chiusa con l’archiviazione per i tre membri del Governo. 

Botta e risposta tra Meloni e opposizioni sulla sicurezza

Scoppia la polemica sulla sicurezza. “Leggo che alcuni esponenti della sinistra sostengono che questo Governo ‘non avrebbe investito nulla sulla sicurezza’. Una tesi comoda, ma smentita dai numeri”, sottolinea sui social la presidente del Consiglio Giorgia Meloni, che snocciola una serie di dati dalle assunzioni (“negli ultimi tre anni circa 37.400 agenti nelle Forze di Polizia e prevediamo, da qui al 2027, altre 31.500”) alla lotta alla mafia (“108 latitanti catturati, 278 maxi-operazioni, migliaia di arresti, 6,5 miliardi di euro il valore dei beni sottratti alla criminalità e oltre 18 mila i beni confiscati restituiti alla collettività”), oltre a ricordare i provvedimenti adottati negli anni di governo, come il “decreto Sicurezza” e l’introduzione di “pene più severe per chi minaccia e aggredisce i nostri uomini e donne in divisa”. La premier poi sbotta: “Non ignoriamo la realtà e sappiamo bene che esistono criticità e fatti gravi che preoccupano i cittadini. Stiamo ponendo rimedio a decenni di lassismo e sottovalutazione. Ed è proprio per questo che non intendiamo arretrare di un millimetro e puntiamo a fare sempre di più. Continueremo a rafforzare, migliorare e intervenire. Perché la sicurezza degli italiani è una responsabilità quotidiana e un impegno che intendiamo onorare fino in fondo”. 

Ma le opposizioni attaccano: “Ho visto che Giorgia Meloni si è offesa, ma non si deve offendere perché quando parliamo” di sicurezza “lo facciamo su dati ufficiali, che sono pubblicati sul sito del Viminale”, osserva il presidente del M5S Giuseppe Conte. “Il sito del ministero dell’Interno dice che dall’anno scorso c’è una carenza organica di 11mila forze di polizia. Non è colpa nostra se i dati ci dicono che aumentano scippi, rapine e borseggi nelle strade italiane, non è colpa nostra se i sindacati di polizia si sono lamentati per la manovra. Sono dati ufficiali, non può dolersene con noi”. E il dem Matteo Mauri, responsabile Sicurezza del partito guidato da Elly Schlein, commenta: “Siamo stupiti dall’uscita della presidente Meloni sulle Forze dell’Ordine. Accusa l’opposizione di lesa maestà per aver detto la verità: questo Governo usa il tema della sicurezza ma non fa nulla per chi la garantisce davvero. Meloni si vanta di 37.000 assunzioni, ma si tratta solo di sostituzioni ordinarie, non di nuovi organici. La Polizia di Stato continua a perdere effettivi: nel 2024 gli agenti sono 97.931, ben 11.340 in meno rispetto alla dotazione organica prevista dalla legge. Diminuiti ulteriormente dal 2023. Dati ufficiali, non del Pd: sono scritti nero su bianco nel Documento di pianificazione strategica del Personale della Polizia di Stato. Se li faccia mandare dal Viminale invece che sparare numeri a caso”.

L’opposizione attacca Fazzolari sul caso Report

Dopo lo scontro in Commissione di vigilanza Rai, continuano le polemiche per le mosse che il sottosegretario Giovan Battista Fazzolari avrebbe messo in atto dopo la puntata di Report sui rapporti tra il padre della premier Giorgia Meloni e il clan Senese. Secondo il conduttore Sigfrido Ranucci il braccio destro della presidente del Consiglio avrebbe “ispirato l’attivazione dei servizi segreti” per cercare di capire quali erano le fonti nell’apparato dello Stato che avevano fornito informazioni al programma di Rai3. Fazzolari, in un’intervista al Corriere della Sera, ha risposto parlando di “accuse troppo gravi per farle cadere nel vuoto”, riferendosi anche alle “insinuazioni assurde” sull’esistenza di una mano politica dietro l’attentato subito da Ranucci. “Prima la Schlein, leader del principale partito di opposizione, dice che con il centrodestra al Governo la democrazia è a rischio e i giornalisti subiscono attentati. Poi Scarpinato, esponente di spicco del M5S, va addirittura in Antimafia a chiedere al conduttore di Report se c’è un nesso tra quell’attentato e un esponente del governo, il sottoscritto. Direi che il limite della decenza è stato ampiamente superato”. 

Secondo i componenti del Pd in Vigilanza, si tratta della “solita strategia per alzare il polverone pur di non rispondere alla domanda principale: il Governo ha spiato Report e Ranucci?”. Si tratta di un’intervista con “allusioni e intimidazioni” da cui emerge “il fastidio nei confronti del giornalismo d’inchiesta”. Anche il M5S vede un’intimidazione nei confronti del giornalista e invita il sottosegretario a metterci la faccia, rispondendo alle interrogazioni in Parlamento. Ranucci in Vigilanza, pur ringraziando per la solidarietà e dicendosi felice perché la sua audizione ha consentito una ripresa dell’attività della Commissione, ha spronato il Parlamento ad approvare una legge contro le querele temerarie

Il Pd punta su comitati e unità per il referendum sulla separazione della carriere

Le firme delle opposizioni in Senato sono state già depositate in Cassazione, quelle della Camera arriveranno oggi. Davanti al Palazzaccio si presentano i capigruppo di Palazzo Madama Francesco Boccia del Pd, Stefano Patuanelli del M5S e Peppe De Cristofaro di Avs; non ci sono i leader: Giuseppe Conte è impegnato per un nuovo tour elettorale in Campania a dare man forte a Roberto Fico, mentre Elly Schlein è al Nazareno per incontrare i rappresentanti del Terzo Settore. Non c’è, dunque, la foto di gruppo vista in altre occasioni simili, come sul referendum per la cittadinanza. Non si tratta però di gelo o di divisioni in seno all’opposizione, anzi. La linea sarebbe quella di non prestare il fianco a Giorgia Meloni e al suo Governo nel politicizzare la campagna referendaria, una determinazione che si coglie anche nelle parole dei protagonisti. Elly Schlein, ospite di un dibattito sul “Domani delle donne”, avverte Meloni: “Noi saremo impegnati in questo referendum come Pd. Pur contrastando la riforma, abbiamo fatto emendamenti, anche di buonsenso. Faremo questa battaglia con un fronte ampio politico e sociale per contrastare questa riforma. Ma non lasceremo a Meloni cinque mesi per parlare solo di Garlasco. Noi continueremo con la nostra agenda, con la massima unità delle forze politiche”. 

Un concetto che la segretaria aveva espresso anche durante l’intervento all’assemblea congiunta dei gruppi parlamentari, poco prima del via libera definitivo alla legge di riforma costituzionale. Il Pd non è chiamato a fare l’avvocato dell’Anm: i dem devono fare una campagna separata e parallela rispetto a quella della magistratura, senza cadere nel “tentativo subdolo” della destra di politicizzare la campagna attorno alla figura della premier e puntando sui fatti di cronaca, come quello di Garlasco, appunto. Sì ai comitati, quindi. La leader dem ha intenzione di fare una campagna d’informazione molto capillare per far capire cosa cambierà con la riforma: “Nulla”, sottolinea, “perché’ i processi non saranno più brevi”. L’obiettivo dell’esecutivo, per Schlein, è uno solo: “Il Governo l’ha detto molto chiaramente: con la riforma della giustizia e la riforma della Corte dei conti vi facciamo vedere chi comanda. Ma non è questa la democrazia”. Il quesito è presto fatto: “Se si pensa che i giudici debbano essere assoggettati ai politici si andrà a votare sì, se invece si pensa che anche chi governa debba rispettare le leggi si andrà a votare contro”. 

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