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La Giornata Parlamentare. Maggioranza in pressing su sicurezza, premierato e separazione delle carriere

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La maggioranza spinge per l’approvazione definitiva del dl sicurezza e punta a ripartire su premierato e separazione delle carriere. A Palazzo Chigi si ragiona sulla possibile deposizione di Nordio sul caso Almasri. La politica prova a dialogare contro femminicidi e violenza sulle donne.

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La maggioranza spinge per l’approvazione definitiva del DL sicurezza. Polemiche

Dopo giorni di discussioni, è arrivato il via libera alla Camera al decreto sicurezza. Ora la maggioranza accelera per la sua approvazione definitiva mentre le opposizioni protestano e si preparano a scendere in piazza domani. “Avete compiuto una forzatura inaccettabile nel metodo e nel merito”, attacca in aula la segretaria del Pd Elly Schlein, che aggiunge: “Governate con la paura, la alimentate per avere consenso facile come un’arma di distrazione di massa, che si traduce in un bieco populismo penale”. Al momento del voto, in aula scoppia la bagarre e i deputati di PdM5S e Avs espongono cartelli con su scritto “Né liberi né sicuri” e “Decreto paura”. Per Avs interviene Nicola Fratoianni: “Create 14 nuovi reati per un decreto della stupidità e dell’ipocrisia che serve a rassicurare solo voi, le vostre coscienze, il malgoverno e nessuna delle esigenze di sicurezza di cui ha bisogno questo paese, sul fronte lavoro, casa, povertà”. Da Iv incalza Maria Elena Boschi: “L’unica vera emergenza è l’incapacità del governo Meloni di garantire protezione ai cittadini, mentre umilia il Parlamento”, e il segretario di +Europa Riccardo Magi evidenzia: “Nessun cittadino con questo decreto potrà sentirsi, né essere più sicuro”. 

Per Giuseppe Conte “Giorgia Meloni pensa di blindare il governo cercando di reprimere il dissenso per decreto mentre non fa nulla per il carovita, il carobollette e contro tutti i tagli che si stanno battendo sulla sanità”. Dal canto suo la maggioranza fa quadrato e martedì prossimo ha già fissato l’esame del testo in Senato, per l’approvazione finale. Il provvedimento sarà incardinato nelle commissioni Affari costituzionali e Giustizia di Palazzo Madama alle 13.30 del 3 giugno. Alle 16.00 è prevista la conclusione dell’esame del testo che arriverà in Aula alle 17.00, presumibilmente senza mandato al relatore, per avere l’ok definitivo tra martedì e mercoledì. Soddisfatto il vicepremier Matteo Salvini che replica alle polemiche: “Se l’opposizione preferisce che al posto di un pensionato o di una madre di famiglia ci siamo degli occupanti abusivi in casa e su questo fa ostruzionismo, mi spiace per loro perché fanno un danno a loro”. Il decreto sicurezza “non impedisce di manifestare”, aggiunge, “impedisce di rompere le scatole a chi va a lavorare. Perché, se blocchi il Grande raccordo anulare o la tangenziale a Milano non fai una manifestazione, commetti un reato, perché danneggi il lavoro e la vita di migliaia di persone”. 

La maggioranza punta a ripartire su premierato e separazione delle carriere

Questa volta l’accelerazione sembra esserci, almeno a parole. La maggioranza mette agli atti della conferenza dei capigruppo della Camera l’intenzione di portare in Aula a luglio due riforme costituzionali: la separazione delle carriere cara a FI (ora all’esame del Senato) e il premierato, baluardo di FdI e di Giorgia Meloni. Le opposizioni protestano, e parlano apertamente di spartizione tra i partiti del centrodestra. Per la capogruppo Pd Chiara Braga “Noi crediamo sia una forzatura e non siamo disponibili ad accettare un’altra compressione dei tempi. È evidente, dopo il decreto sicurezza, la spartizione tra le forze di maggioranza e la rimessa in moto del premierato, un altro tassello di quell’attacco all’equilibrio e alla separazione dei poteri. Un disegno che mette in discussione l’equilibrio delle istituzioni democratiche”. Ma il rischio è che lo sprint per la ribattezzata “madre di tutte le riforme” sia più nelle intenzioni che nella sostanza. 

“Ora che la commissione si è liberata c’è tempo di concludere le audizioni e si potrebbe teoricamente ipotizzare un approdo in aula in estate”, ha spiegato in capigruppo il ministro per i Rapporti con il Parlamento, Luca Ciriani. La richiesta di inserire il premierato nel calendario di luglio è arrivata direttamente dalla presidente del Consiglio che vuole dimostrare che il partito non ha intenzione di ammainare quella bandiera. Ma è proprio in quel teoricamente utilizzato dal rappresentante dell’esecutivo che si cela un ragionamento sui tempi dell’approvazione con cui da tempo in FdI stanno facendo i conti. D’altra parte, il premierato è stato approvato in prima lettura dal Senato ormai quasi un anno fa (era il 18 giugno) e non è un mistero che nel passaggio a Montecitorio andranno fatte delle modifiche. “La commissione è stata ingolfata”, è la spiegazione ufficiale. Ma il calcolo che viene fatto dai meloniani è un altro: puntare al referendum confermativo, in caso di approvazione definitiva, solo dopo le prossime Politiche. 

Ed è qui che entra in ballo un’altra trattativa, anche questa per ora fatta più di parole che di sostanza: quella sulla legge elettorale. L’idea di Fdi è quella di creare una legge elettorale, sul modello di quella delle Regioni, che abbia anche l’indicazione del premier sulla scheda, solo preferenze e niente collegi uninominali. Insomma, un sistema con effetto ipermaggioritario anche nel caso in cui la riforma non dovesse mai entrare in vigore. Nella maggioranza, tuttavia, non sono tutti d’accordo. La Lega, com’è noto, è contraria all’abolizione dei collegi uninominali. La discussione è solo agli inizi e difficilmente potrà entrare nel vivo prima delle prossime Regionali d’autunno. 

A Chigi si ragiona sulla possibile deposizione di Nordio sul caso Almasri

Il prosieguo delle indagini del Tribunale dei ministri sulla vicenda Almasri innesca una riflessione nel governo, che si accinge ad una decisione sull’opportunità del ministro Carlo Nordio di andare a deporre, dopo la richiesta dei giudici. Sul caso del generale libico accusato di crimini di guerra, prima arrestato e poi rilasciato e rimpatriato dalle autorità italiane lo scorso gennaio, il Tribunale indaga dopo un esposto presentato alla procura di Roma dell’avvocato Luigi Li Gotti, che aveva ipotizzato i reati di favoreggiamento e peculato a carico di Nordio, della premier Giorgia Meloni, del ministro dell’Interno Matteo Piantedosi e del sottosegretario Alfredo Mantovano. Ma sul numero uno di via Arenula pende in più anche l’omissione di atti d’ufficio. Un’accusa che fu mossa all’epoca già dall’opposizione, secondo cui Almasri era stato liberato a causa del silenzio del ministro, il quale non ne aveva chiesto la custodia cautelare nonostante la richiesta di consegna avanzata dalla Corte penale internazionale

Nordio ha già pubblicamente affermato che il mandato d’arresto della Cpi conteneva errori ed incongruenze, così come ha sollevato dubbi sulle modalità di trasmissione degli atti da parte della Corte dell’Aja. Il Tribunale dei ministri ha però deciso di ascoltare il ministro, anche dopo l’interrogatorio reso dal numero uno del Dipartimento per gli Affari di Giustizia (Dag) di allora, Giovanni Birritteri. Della presidenza del Consiglio ci sarebbero aperture sull’opportunità del Guardasigilli di essere interrogato dai magistrati, ma si tratta di ipotesi non ancora confermate. Lo stesso ministro Nordio, fino a prima di partire per il suo viaggio in Moldavia, si sarebbe detto deciso a non presentarsi davanti ai magistrati. Un peso nella decisione finale lo avrà anche il parere della legale dei quattro, la senatrice Giulia Bongiorno

La politica prova a dialogare contro femminicidi e violenza sulle donne

L’eco della tragedia di Afragola per un attimo ha fatto abbassare le polemiche alla Camera sull’approvazione del decreto sicurezza, per lasciare spazio a dichiarazioni bipartisan di disponibilità al dialogo. “Un delitto spietato che colpisce nel profondo ogni genitore, ogni cittadino, ogni essere umano”, ha detto in un video social la presidente del consiglio Giorgia Meloni. “Dobbiamo fare di più, tutti insieme. Per Martina. Per tutte”. Poche ore prima, sempre sui social, la segretaria del Pd Elly Schlein aveva ribadito il suo appello: “Mi rivolgo una volta ancora alla presidente del Consiglio almeno per il contrasto alla violenza di genere mettiamo da parte lo scontro politico. Dobbiamo fare una legge che introduca l’educazione al rispetto e alle differenze, obbligatoria in tutte le scuole d’Italia, in tutti i cicli scolastici. Mettiamoci a un tavolo subito e discutiamo”. 

Nel Pd, quella della Meloni è stata accolta come un’apertura. Anche se la premier non ha mai citato Schlein. Per la premier “Sono molti i provvedimenti che abbiamo approvato finora per tentare di fermare questo male ma dobbiamo essere consapevoli che le norme non saranno mai sufficienti se non daremo vita ad una profonda svolta culturale e sociale. In questi anni dei passi in avanti sono stati fatti, ma evidentemente non basta”. Però non siamo all’anno zero. Sia in termini di norme sia in termini di impegno trasversale. Lo ha ricordato la segretaria di Noi Moderati, Mara Carfagna: “L’appello di Schlein tende ad avvalorare una contrapposizione sul tema della lotta alla violenza sulle donne che non esiste. La destra di governo ha sempre ricercato condivisione su questo tema”. 

Batti e ribatti a parte, sulla scia della commozione per l’ennesimo fatto di cronaca, almeno a parole la strada sembra imboccata. In attesa di un’iniziativa che porti a provvedimenti concreti, su proposta della capogruppo di Italia viva a Palazzo Madama Raffaella Paita, maggioranza e opposizione hanno chiesto al presidente del Senato Ignazio La Russa “la convocazione di una giornata d’Aula dedicata al tema dei femminicidi e dell’educazione affettiva anche tra adolescenti, che veda la partecipazione congiunta del ministero della Giustizia, del ministero dell’Interno e del ministero per la Famiglia e le pari opportunità”. 

Salvini: c’è sintonia tra Viminale e Quirinale sui controlli sul ponte sullo Stretto

“Noi vogliamo essere ancora più cattivi, severi e trasparenti rispetto a quello che la normativa oggi prevede” rispetto alla costruzione del ponte sullo Stretto di Messina e alle possibili ingerenze della criminalità organizzata negli appalti “e quindi ci sta lavorando il collega ministro dell’Interno in sintonia col Quirinale”. Lo ha detto il vicepremier e ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti Matteo Salvini al termine dell’incontro avuto nella Prefettura di Reggio Calabria con enti e istituzioni coinvolte nell’opera e con la magistratura. “Vogliamo che siano coinvolte le massime professionalità per non lasciar da solo il prefetto di Reggio Calabria, il prefetto di Messina a combattere. Loro sono eccezionali. Però, ripeto, è una terra dove bisogna verificare che neanche un euro finisca nelle casse delle mafie. Stiamo lavorando perché lo spirito che sostiene le prefetture, l’antimafia, i Carabinieri, la finanza, la polizia e le questure possa avere ulteriori forze, ulteriori uomini, ulteriori professionalità. Il nostro obiettivo è di prevenire qualsiasi malintenzionato”. 

“Alla Dda sono molto attenti. La Procura, la Prefettura ad esempio sul tema degli espropri, stanno facendo ricognizioni su nomi, cognomi, indirizzi, proprietà. Poi, quando coinvolgi 100.000 lavoratori, migliaia di imprese in tutta Italia è chiaro che devi essere assolutamente attento 24 ore su 24. Però io mi fido. Mi fido della Calabria e mi fido della Sicilia. E non mi fido di quelli che dicono no, non farlo, perché in Calabria e in Sicilia non puoi fare i lavori pubblici. No, non è così. È chiaro che non è una questione calabrese. Quelli che dicono non fare il ponte perché sei in Calabria e in Sicilia e quindi ci sono mafia e ndrangheta insultano l’onestà della stragrande maggioranza dei calabresi e siciliani. Oggi però col procuratore, con l’Università, coi sindacati, con Confindustria, coi carabinieri, con tutti, abbiamo messo a terra il massimo dell’attenzione possibile”. “Quindi qualunque suggerimento sull’antimafia può arrivare anche dal Pd, da M5S per me è prezioso. Noi vogliamo essere ancora più cattivi, ancora più severi rispetto alla normativa antimafia di oggi”. 

Il centrosinistra si spacca su Gaza. Non ci sarà una manifestazione unitaria

Due piattaforme, due manifestazioni del centrosinistra su Gaza. Più una terza via, quella professata da Riccardo Magi di Più Europa, che preannuncia la partecipazione ad entrambe le iniziative e anticipa di qualche ora la scelta di diversi esponenti dem dell’ala riformista: da Simona Malpezzi a Lorenzo Guerini, da Lia Quartapelle a Graziano Delrio, fino a Walter VeriniPina Picierno e Giorgio Gori. Mentre Paolo Gentiloni avverte: il 7 giugno “è molto importante che non ci siano ambiguità nella condanna di Hamas e nella richiesta di liberazione degli ostaggi”. Il corteo nella Capitale partirà alle 14.00 da piazza Vittorio e si concluderà in piazza San Giovanni. A dividere Pd-M5s-Avs, da un lato, e Azione-Iv, dall’altro, sono stati gli obiettivi delle rispettive piazze. Quella del 7 giugno a Roma promossa da democratici, pentastellati e rossoverdi si inscrive nella mozione presentata in Parlamento che chiede, tra le altre cose, il riconoscimento dello Stato di Palestina e la condanna dei crimini di guerra di Israele. 

Calendiani e renziani, che manifesteranno il giorno prima a Milano, affiancano alla netta condanna per il governo Netanyahu la sensibilizzazione sul pericolo dell’antisemitismo e “contro chi professa la distruzione dello stato di Israele”. La spaccatura, che si manifesterà plasticamente la prossima settimana, si era già sostanziata in Parlamento, dove progressisti e centristi avevano promosso e votato documenti differenti sul Medio Oriente. Eppure, per il leader di Più Europa Riccardo Magi dividere anche le piazze è un errore: sbagliato “convocare in quel modo la manifestazione del 7” e sbagliata “la risposta di posizionamento politico dell’evento del 6. Come +Europa, con la nostra storia, non abbiamo problemi a partecipare a entrambe. Avevamo appena finito di dire che uniti si vince, come a Genova o Ravenna, e invece si è ripartiti subito disuniti”. A stretto giro preannunciano la stessa soluzione, “con uno spirito unitario di impegno comune” anche diversi riformisti del Pd.

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