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La giornata parlamentare: l’Italia dice addio alla Via della Seta

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L'Italia è uscita ufficialmente dalla Via della Seta, con una nota della Farnesina consegnata a Pechino nei giorni scorsi è stato messo nero su bianco il mancato rinnovo del memorandum firmato dal primo governo Conte nel 2019.

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L’Italia dice addio alla Via della Seta

L’Italia è uscita ufficialmente dalla Via della Seta, con una nota della Farnesina consegnata a Pechino nei giorni scorsi è stato messo nero su bianco il mancato rinnovo del memorandum firmato dal primo governo Conte nel 2019. La decisione è stata presa sulla base di due ordini di motivi: il primo, economico, perché l’intesa non ha prodotto i benefici attesi; il secondo, politico, per superare l’anomalia di un legame così strutturato con il Dragone, unico caso nel G7, che aveva provocato non poche preoccupazioni da parte di Washington e Bruxelles. Nelle intenzioni di Roma, comunque, i rapporti con Pechino non si indeboliranno, ma torneranno a svilupparsi in un modo più pragmatico. L’uscita dell’Italia dalla Via della Seta è stata preceduta da una missione in Cina del segretario generale della Farnesina Riccardo Guariglia in estate e a seguire dalla visita del ministro degli Esteri Antonio Tajani: incontri in cui è stata confermata l’intenzione di coltivare il partenariato strategico tra i due Paesi e in cui sono stati avviati i passi preparatori per la visita del presidente Sergio Mattarella l’anno prossimo in Cina. Nella lettera, del resto, è stata ribadita la volontà di “sviluppare e rafforzare la collaborazione bilaterale”. La cosiddetta Belt ad Road Initiative, lanciata da Xi Jinping nel 2013, è uno dei cardini del piano cinese per rafforzare la propria economia attraverso una rete di infrastrutture fra tre continenti che favorisca gli scambi. 

Quattro anni fa l’esecutivo M5S-Lega guidato da Giuseppe Conte aveva scelto di aderirvi. Con l’arrivo di Mario Draghi l’accordo con Pechino ha iniziato a vacillare e sulla stessa linea si è mossa Giorgia Meloni. Diventata poi premier, ha avviato un percorso di riflessione e di confronto a livello diplomatico e politico con Pechino che ha portato a non rinnovare l’intesa, che scadrà il prossimo 22 marzo. La stessa Meloni ne ha parlato con il premier Li Qiang a margine del G20 in India, lo scorso settembre, e l’interlocutore ha preso atto della decisione italiana, pur senza essere d’accordo. Oltre alle questioni economiche, sulla rinuncia alla Via della Seta hanno pesato anche ragioni di opportunità politica. In una fase in cui Pechino si contrappone all’occidente sui grandi temi internazionali, a partire dalle guerre in Ucraina e a Gaza, l’Italia vuole marcare in modo più evidente il suo ancoraggio euro-atlantico. In questa linea, va ricordato, l’Italia ha aderito ad un progetto promosso dagli Usa per un nuovo corridoio economico India-Medio Oriente-Europa, proprio in alternativa alla rete cinese. 

La Meloni vede Salvini sperando di abbassare la tensione

Non è il momento di alzare troppo la tensione. La campagna elettorale è lunga e bisogna evitare di dare l’immagine di un governo diviso. Soprattutto in momenti delicati come questo fine d’anno, con la trattativa “serrata” sul Patto di Stabilità. È con questo spirito che Giorgia Meloni ha visto Matteo Salvini, che in questi giorni si è scagliato contro una certa idea di Europa e anche contro la presidente del Parlamento Ue Roberta Metsola. Quest’ultima incontrata subito dopo a Palazzo Chigi e con cui la premier ha affrontato, tra l’altro, proprio i dossier in vista del Consiglio europeo di metà dicembre. “I contatti sono continui, l’incontro è andato bene”, si limita a dire la maltese lasciando Palazzo Chigi. Ma aveva già chiarito, in tv, di non aver considerato le parole del leader leghista come “una critica personale”, rilanciando il messaggio “europeista” e l’appello ad andare alle urne a giugno. Per la Mestola il progetto europeo “è fragile”, servono “candidati di cui fidarsi” e solo “il centro europeista può dare soluzioni al futuro dell’Ue”. Non proprio l’identikit delle forze politiche che fanno parte di Identità e democrazia, il gruppo cui appartiene la Lega all’Eurocamera. 

Punto su cui insiste Salvini, vanno coinvolti per costruire una “Europa diversa”, in una chiara alleanza di centrodestra. “Includere, non porre veti” per tagliare le alleanze con i socialisti, scrive anche in una lettera al Corriere della Sera. Proprio da quella lettera, e dalle parole della premier in radio di prima mattina, scatta “l’occasione per fare il punto sulla situazione politica”. “Oggi abbiamo una grande occasione, lo scenario che si potrebbe realizzare è quello in cui in Parlamento europeo si riesce a costruire una maggioranza più compatibile a livello di visione” dice Meloni, senza specificare però il perimetro di questa ipotetica nuova alleanza, perché al momento le posizioni a Bruxelles sono sostanzialmente cristallizzate, con il no da parte del Ppe a ragionare con le forze antisistema di ID, come i tedeschi di Afd e i francesi di Marine Le Pen, tenuti da Popolari e Conservatori a distanza. Diverso potrebbe essere il discorso per la Lega, che in Italia è partito di governo. Ma prima dovrebbe sfilarsi da Id. Anche se è prematuro, dicono in tutti i partiti, immaginare adesso le geometrie che si potranno creare dopo il voto. Si vedrà dal 10 giugno. Il colloquio, è durato poco più di un’ora, con tanto di misteriosa foto di un caffè. 

Slitta l’approdo in aula della manovra. Possibile approvazione dopo Natale

Slitta di una settimana l’approdo in Aula Senato della legge di Bilancio e si affaccia sempre più concreto il rischio che l’approvazione definitiva arrivi solo tra Natale e Capodanno. Una eventualità che la premier Giorgia Meloni avrebbe voluto scongiurare per dare un segnale di compattezza, con una manovra senza emendamenti della maggioranza e approvata in tempi record. Parlando in radio, ha sottolineato che quello del governo “è stato un lavoro difficile perché a fare le manovre quando ci sono i soldi sono buoni tutti, è a farle quando i soldi mancano che è un po’ più difficile. Noi partivamo da una situazione obiettivamente molto complessa”. “Per mettere due numeri in fila noi per il 2024 abbiamo 13 miliardi di euro in più da pagare di maggiori interessi sul debito, l’aumento dei tassi da parte della Bce, e 20 miliardi da pagare di crediti del superbonus”, ciononostante, “abbiamo fatto una manovra di 28 miliardi, in parte chiedendo uno scostamento di bilancio, in parte tagliando la spesa pubblica, e alla fine abbiamo però poche risorse concentrate su poche grandi priorità”.

Oggi il Senato dovrebbe approvare il decreto anticipi e poi si potrà concentrare sulla legge di bilancio. Le opposizioni incalzano sia sulla necessità di un nuovo scostamento di bilancio che sulla dilatazione dei tempi. “La maggioranza, che doveva essere coesa, per la terza volta consecutiva ha spostato la legge di bilancio in aula”, attacca il capogruppo del Pd Francesco Boccia. Il presidente del Senato Ignazio La Russa, che già qualche settimana fa aveva sollecitato una “collaborazione istituzionale” dopo i ritardi sul decreto proroghe, torna a sottolineare: la conclusione dei lavori “dipende dalla responsabilità di tutti, a partire dagli uffici governativi e dai nostri”. Secondo La Russa, si può ancora arrivare all’ok prima del 25 dicembre, ma poi ironizza: “Tutti gli altri giorni lavorativi non sono vietati”, rammentando che altri anni si è lavorato anche il 26 dicembre. 

La Camera approva la delega sulle retribuzioni. Pd e M5S attaccano

Scoppia la bagarre nell’aula della Camera al momento del voto finale sull’ex salario minimo. Il provvedimento viene approvato con 153 voti favorevoli, 3 astenuti e 118 contrari e passa ora all’esame del Senato. La maggioranza applaude, le opposizioni annunciano nuove battaglie. “Oggi è un giorno triste per la Repubblica, oggi che accartocciate, con una mano, la proposta delle opposizioni sul salario minimo e, con l’altra, date un manrovescio a 3,5 milioni di lavoratrici e lavoratori, che sono poveri anche se lavorano” -esordisce intervenendo in Aula Elly Schlein che attacca “Potevate scegliere tra l’insulto a questo Parlamento e la miseria di milioni di italiani; avete scelto l’insulto al Parlamento e avrete la rabbia di milioni di italiani”. La segretaria Pd coinvolge tutto il fronte: “Noi andiamo avanti, decideremo insieme alle altre opposizioni come andare avanti”. Giuseppe Conte concorda. Il leader del M5S non intende arrendersi: “Vi prometto che vinceremo questa battaglia sul salario minimo legale”. 

L’ex premier si scaglia contro Giorgia Meloni che difendendo il provvedimento e la volontà di “concentrarsi per alzare il salario di chi effettivamente ha dei salari inadeguati senza rischiare di abbassare quello di chi è messo un tantino meglio”, aveva attaccato le opposizioni: “Capisco la bagarre, ma un po’ sorrido perché obiettivamente oggi M5S e Pd dicono che il salario minimo è l’unica vera cosa che va fatta in Italia, e in 10 anni che sono stati al governo non gli è mai venuto in mente di farla”. “A noi non ci fa sorridere affatto” replica Conte. In aula, la replica di FdI è affidata a Walter Rizzetto, presidente della commissione Lavoro e primo firmatario del maxiemendamento che ha introdotto la delega: “Noi faremo, in sei mesi, quello che voi non siete riusciti a fare in dodici anni. Questa è la verità ed è per questo che siete nervosi, perché vi abbiamo sottratto un argomento che doveva essere soltanto di vostra esclusiva”. 

La Meloni rilancia sul premierato: decideranno i cittadini

Le critiche al premierato arrivano da “chi è stato abituato a fare, come si dice a Roma, il bello e il cattivo tempo facendo e disfacendo i governi all’interno del palazzo sulla pelle degli italiani”. Ma il governo e la maggioranza non intendono indietreggiare e, se non ci sarà un accordo in Parlamento, “saranno gli italiani a dover decidere” con il referendumGiorgia Meloni torna a parlare di riforme e premierato: la presidente del Consiglio tira dritto, nonostante gli attacchi dell’opposizione e le perplessità espresse dei costituzionalisti ascoltati in Senato, dove il disegno di legge è all’esame della commissione Affari costituzionali. E nonostante le considerazioni dell’ex sottosegretario Gianni Letta o dei presidenti emeriti della Corte costituzionale, Marta Cartabia e Giuliano Amato, in particolare incentrati su un rischio di ridimensionamento del ruolo del capo dello Stato. Secondo la premier le critiche “dimostrano che non si sa che cosa dire su questa riforma perché noi non abbiamo toccato i poteri del presidente della Repubblica. Abbiamo volutamente lasciato inalterato il valore e il ruolo del PdR, in questo caso di Sergio Mattarella, che è figura che sicuramente per gli italiani rappresenta un assoluto punto di riferimento. Tutto quello che noi facciamo con la riforma è dire che chi guida il governo lo devono scegliere gli italiani”. 

Quindi “questo è il problema di chi contesta la riforma”, di chi in passato creava i governi nei palazzi “per realizzare programmi che nessuno aveva votato, per mettere gente che nessuno aveva votato: chiaramente ha un problema se si dice guardate che questo gioco è finito e adesso chi governa la nazione lo decidono gli italiani alle urne, e ragionevolmente chi viene scelto dagli italiani alle urne ha 5 anni per realizzare il suo programma”. La premier nutre poche speranze di convergenza con l’opposizione sulla riforma costituzionale: “Io penso che” quella sul premierato “sia la riforma dalla quale dipendono tutte le altre, e so che faranno di tutto per impedire di approvare questa riforma. Penso che alla fine si arriverà al referendum” con cui “chiederemo agli italiani che vogliono fare”, prevede Meloni, secondo la quale “saranno gli italiani a dover decidere se domani vogliono essere padroni del loro destino, decidendo chi governa questa nazione, o se vogliono continuare a farlo fare magari a chi obiettivamente ha pensato di essere il padrone delle istituzioni, e non lo era”. 

Alla Camera

Dopo che ieri è stata approvo il ddl di delega al Governo in materia di retribuzione dei lavoratori, l’Assemblea della Camera tornerà a riunirsi alle 9.30 per esaminare il ddl per la valorizzazione, la promozione e la tutela del made in Italy, la pdl sulla professione di guida turistica, la Legge di delegazione europea 2022-2023 e la proposta di legge sugli illeciti agro-alimentari. Per quanto riguarda le Commissioni, nella giornata di oggi non terrano seduta. 

Al Senato

L’Assemblea del Senato tornerà a riunirsi alle 9.30 per l’approvazione del decreto in materia economica e fiscale, in favore degli enti territoriali, a tutela del lavoro e per esigenze indifferibili il cosiddetto decreto anticipi o fiscale.

Per quanto riguarda le Commissioni, la Affari Costituzionali svolgerà delle audizioni ed esaminerà il ddl costituzionale per l’elezione diretta del presidente del Consiglio dei ministri. A seguire proseguirà l’esame della modifica costituzionale in materia di tutela delle vittime di reati e del ddl costituzionale sulla conversione in legge dei decreti-legge. La Giustizia, con la Esteri e Difesa, dibatterà sullo schema di decreto legislativo sul funzionamento del Consiglio della Magistratura militare e sull’ordinamento giudiziario militare. La Politiche dell’Ue ascolterà l’Ambasciatore della Repubblica di Armenia Tsovinar Hambardzumyan, sulle prospettive dei rapporti tra l’Ue e la Repubblica di Armenia. La Bilancio riprenderà il confronto sul la legge di bilancio 2024 e il bilancio pluriennale per il triennio 2024-2026. La Cultura esaminerà il ddl per l’istituzione della filiera formativa tecnologico-professionale e dibatterà sugli schemi di decreto ministeriale relativi alla disciplina delle classi di laurea.