Meloni attacca su Flotilla e sciopero generale. Salvini minaccia
Prima di concludere i lavori dei vertici europei a Copenaghen, Giorgia Meloni trova il tempo per diversi affondi, alla Flotilla, alle opposizioni, ma soprattutto ai sindacati: “Mi sarei aspettata che almeno su una questione che reputavano così importante” come Gaza “non avessero indetto uno sciopero generale di venerdì. Il weekend lungo e la rivoluzione non stanno insieme”, la sua stilettata, densa di sarcasmo, cui Elly Schlein replica invitandola a “mollare la clava e provare a fare la presidente del Consiglio”. Quella della premier è “un’offesa” per Maurizio Landini, che chiede “rispetto” per la sua Cgil e conferma la mobilitazione nonostante il Garante la definisca illegittima e Matteo Salviniavverta che chi parteciperà “ne pagherà personalmente le conseguenze”.
È la sintesi dell’ennesima giornata politica ad alta tensione, iniziata nella notte con l’abbordaggio di Flotilla e conclusa in Cdm dove Matteo Salvini propone “una revisione della normativa vigente sugli scioperi e in particolare delle sanzioni previste per chi incrocia le braccia senza rispettare le regole”. Per il Garante questo sciopero generale senza preavviso è ingiustificato perché non rientra nei casi di “difesa dell’ordine costituzionale, o di protesta per gravi eventi lesivi dell’incolumità e della sicurezza dei lavoratori”. Ma per Landini si riscontra la prima fattispecie: “Non si stanno rispettando le nostre norme costituzionali” e non sono tutelati “nostri connazionali arrestati in acque libere”, spiega confermando l’agitazione e annunciando l’impugnazione della delibera della Commissione di garanzia e di eventuali sanzioni. Salvini evita la precettazione: “Nessuna prova di forza”, spiegano dal Mit. Intanto a più riprese la premier garantisce che il Governo farà “tutto il possibile” per far rientrare in Italia “il prima possibile” i connazionali a bordo delle imbarcazioni fermate da Israele.
Meloni rimarca che queste azioni non portano “alcun beneficio al popolo della Palestina. In compenso mi pare di capire che porterà molti disagi al popolo italiano”, lo stesso “che ancora ieri veniva ringraziato dai palestinesi per il lavoro che sta facendo”, aggiunge la premier rivendicando che l’Italia ha aperto “un corridoio per ricercatori”, è “la prima tra le nazioni non islamiche che ha evacuato più persone da Gaza nei propri ospedali, e fra le prime al mondo per la consegna di aiuti”. La sua conclusione è che le nuove manifestazioni in programma sono legate a “una questione che c’entra poco con la vicenda palestinese e molto con questioni italiane”. Landini non ci sta, difende la scelta della Cgil, pronta allo sciopero come Usb, Cub e Cobas e la segretaria del Pd Elly Schlein esorta la premier a smettere “di criminalizzare ogni piazza: giù le mani dai diritti dei lavoratori”. Schlein, Fratoianni e Bonelli si danno appuntamento alla manifestazione romana sciopero generale, mente al corteo di sabato su Gaza ci sarà anche Giuseppe Conte, impegnato a tempo pieno nella campagna elettorale in Calabria.
Il Parlamento evita scontro, prove di dialogo sul piano Usa per la Palestina
Sostenere il piano di Trump per la pace a Gaza: questa essenziale è la dichiarazione d’intenti, approvata senza voti contrari alla Camera e con un solo no al Senato, che riporta un barlume di unità tra maggioranza e opposizioni in un momento di tensione altissima nelle piazze. Però, mentre continuano i feroci scambi di accuse tra destra e sinistra, anche in Aula, quando è il momento di votare, tra gli scranni dei parlamentari l’impegno ad appoggiare quella che appare come l’unica prospettiva di tregua in MO non trova avversari. Governo e maggioranza tendono la mano al centrosinistra: accanto alla risoluzione originaria per il riconoscimento “condizionato” della Palestina, indigeribile alle opposizioni, presentano un documento, brevissimo, solo sul piano di pace, più vicino alle sensibilità delle opposizioni; Azione lo sottoscrive, Pd, M5S e Avs si astengono, Iv e Più Europa danno il loro via libera, incassando il sì anche alle loro istanze. Il campo largo vota con alcune differenziazioni, dunque, che però non sembrano aver provocato tensioni tra le opposizioni, tanto che il presidente Lorenzo Fontana arriva a ringraziare tutte “le forze politiche per aver saputo, pur nelle differenze, offrire un segnale di profonda responsabilità”.
In tutto sono cinque le risoluzioni presentate a Montecitorio: due di maggioranza, una di Pd-M5S-Avs, una di Più Europa, una di Italia viva; quattro vengono approvate, una respinta, quella di dem-pentastellati e rossoverdi. Di certo, all’indomani del fermo degli attivisti della Flotilla, nella discussione i toni restano duri. “È ridicolo il vostro appello all’unità. Possiamo noi minimamente condividere” il vostro operato, una “vergogna storica?”, l’accusa che Giuseppe Conte rivolge all’esecutivo. Il suo è il partito più schierato sulla linea di opposizione ferma al Governo e fino alla fine c’è chi spinge per votare in modo contrario anche alla risoluzione di maggioranza sul piano Trump. Poi, prevale la linea dell’astensione anche per cementare un passo unitario con Pd e Avs. “Non possiamo votare a favore del piano di Trump perché non è di pace ma una tregua”, chiarisce Angelo Bonelli. “Noi speriamo che quest’accordo si faccia al più presto per fermare i crimini di Netanyahu, ma per noi il percorso di pace è indivisibile dal riconoscimento dello Stato palestinese. Come potete chiederci di votare una vostra risoluzione che ignora questo punto, con una misera strategia parlamentare?”, incalza Elly Schlein.
Le sfumature diverse denunciano come anche nello stesso campo largo convergere su alcuni punti non sia stato semplice. La mozione originaria della maggioranza (approvata senza appoggi esterni) chiede tra le altre cose il riconoscimento dello Stato di Palestina condizionato alla liberazione degli ostaggi e all’esclusione di Hamas, e di andare avanti nell’impegno per “il rapido e sicuro rientro degli attivisti a bordo della “Global Sumud Flotilla”. A quella sul piano di pace di Trump lavora attivamente anche Carlo Calenda che rivendica: “La strada difficile va percorsa insieme”. Su una linea conciliante anche Matteo Renzi che fa approvare il suo documento per il sostegno a quello che chiama “il piano Blair per Gaza” e per la soluzione a due popoli e due Stati; via libera anche a una risoluzione non dissimile di Più Europa. Nell’intreccio di voti tra maggioranza e opposizioni emergono piccole dissonanze all’interno degli stessi partiti: al Senato la senatrice del M5s Alessandra Maiorino sulla risoluzione di maggioranza sul Piano di pace è l’unica a votare contro, mentre Pierferdinando Casini dà il suo via libera. Inoltre, alla Camera, alcuni riformisti del Pd (come Lorenzo Guerini, Marianna Madia, Lia Quartapelle) invece di astenersi, come il resto del partito, votano a favore dei testi di Italia viva e Più Europa.
Il Governo approva il Dpfp. Pil 2026 a +0,7%
Deficit al 3% già quest’anno, Pil allo 0,5% nel 2025 e allo 0,7% nel 2026, sia a livello tendenziale che programmatico, quindi senza l’effetto spinta della manovra, un incremento del Pil nel prossimo triennio, per un totale di 11-12 miliardi, prenotato per le spese alla difesa, sempre che venga ufficializzata l’uscita dalla procedura per deficit eccessivo. Il Governo aggiorna così le stime macro e fissa la rotta e i margini per le prossime misure economiche, a partire dalla legge di bilancio, la quarta dell’esecutivo Meloni, che prenderà le mosse da alcune priorità: fisco, famiglie, sanità e lavoro. Il nuovo quadro programmatico della contabilità statale è fissato nel Dpfp, il Documento programmatico di finanza pubblica, che sostituisce la Nadef, aggiorna le previsioni di aprile e traccia le direttrici di quella che sarà la prossima manovra. Il testo, approvato dal Cdm, verrà ora inviato a Bruxelles e alle Camere, che hanno già calendarizzato l’esame in Aula per il 9 ottobre. Fissati i capisaldi della legge di bilancio: si partirà dalla “ricomposizione del prelievo fiscale” riducendo l’incidenza sui redditi da lavoro, sarà garantito un “ulteriore rifinanziamento del fondo sanitario nazionale” e arriveranno misure per “stimolare gli investimenti delle imprese e la competitività”. Assicurato anche il sostegno alla natalità e alla conciliazione vita-lavoro.
Le coperture sono ancora da definire, ma arriveranno da “una combinazione di misure dal lato delle entrate e d’interventi sulla spesa”. “Confermiamo la linea di ferma e prudente responsabilità”, commenta a caldo Giancarlo Giorgetti, che ricorda la “necessità della tenuta della finanza pubblica nel rispetto delle nuove regole europee e delle imprescindibili tutele a favore della crescita economica e sociale dei lavoratori e delle famiglie”. Nelle tabelle del Dpfpla crescita viene leggermente rivista al ribasso rispetto alle stime di sei mesi fa del Documento di finanza pubblica (Dfp), che fissavano l’asticella del Pil al +0,6% quest’anno e al +0,8% il prossimo. Il segnale positivo arriva invece dall’indebitamento: il deficit 2025, che ad aprile veniva stimato al 3,3%, “si attesta, al momento, al 3%”: si aggancia così una soglia cruciale per poter sperare nell’uscita dalla procedura per deficit eccessivo con un anno d’anticipo. Il Dpfp conteggia già anche un eventuale incremento del Pil da destinare alla difesa, nel caso in cui venga ufficializzata l’uscita dalla procedura: lo 0,15% nel 2026, che salirebbe allo 0,3% nel 2027 e allo 0,5 nel 2028, per un totale di circa 11-12 miliardi nel triennio 2026-28. Infine, il debito, che si attesta su valori inferiori al Psb (137,8% nel 2026), inizia a ridursi già nel 2027 e si attesta nel 2028 a un valore pari al 136,4.
Nello specifico delle misure, si parte dal taglio dell’Irpef, che interesserà quest’anno il ceto medio, con una riduzione di due punti della seconda aliquota dal 35% al 33% per i redditi da 28mila a 50mila euro. Si studiano anche nuove misure per le famiglie, a partire da un nuovo intervento sulle detrazioni con il quoziente familiare. Per la sanità l’obiettivo è raccogliere 2-3 miliardi in più oltre ai 4 già previsti dalla scorsa legge di bilancio. Vanno verso il rinnovo anche le risorse per le Zes. Le banche, infine, rimangono in attesa dell’avvio delle negoziazioni con il Governo sull’ipotetico contributo per la manovra.
Rush finale in Calabria e attesa per le candidature in Veneto, Campania e Puglia
Incassare la seconda vittoria, in Calabria, e nel frattempo finire di comporre il puzzle delle candidature anche per le tre regioni (Veneto, Campania e Puglia) che chiuderanno la tornata elettorale d’autunno. Anche se sono appuntamenti locali e come tali vanno trattati, com’è tornato a ribadire da Soverato Francesco Lollobrigida, la scelta delle candidature sta dando qualche grattacapo nazionale, ben nascosto dietro la ricerca “dei nomi migliori” per governare ogni Regione. Mentre il tempo scorre, si fanno intense le voci di vertice di maggioranza prima del fine settimana o di un incontro a due per trovare la quadra tra Giorgia Meloni e Matteo Salvini, prima che il leader leghista voli a Reggio Calabria per chiudere la campagna con i suoi vice Roberto Vannacci e Claudio Durigon.
In Calabria bene per tutti la scommessa sul bis di Roberto Occhiuto, e sarebbe la prima volta che la coalizione uscente rivince. In Regione la partita si gioca tra il tentativo di arginare l’astensionismo e la corsa interna a pesare la performance dei partiti. “Le nostre liste non sono solo pacchetti di voti ma un contributo di spessore e qualità”, non smette di marcare la differenza Wanda Ferro, coordinatrice regionale e tra i capolista di FdI. “Il voto è per la Calabria” non per la Palestina, insistono in tutto il centrodestra, proprio mentre si registra qualche defezione per il comizio di chiusura di Pasquale Tridico. Con lui sul palco ci sarà Giuseppe Conte, tornato in Calabria dopo il voto delle risoluzioni alla Camera, ma non ci saranno né Elly Schlein (che potrebbe collegarsi) né Nicola Fratoianni, che parteciperanno invece al corteo di Piazza Vittorio a Roma.