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La giornata parlamentare del 14 aprile: il Def, Terna, Meloni e l’Etiopia, Rialzo delle bollette, Renzi e Calenda

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La Giornata Parlamentare è curata da Nomos, il Centro studi parlamentari, e traccia i temi principali del giorno. Ogni mattina per i lettori di Key4biz. Per leggere tutti gli articoli della rubrica clicca qui.

Con il Def arrivano nuovi tagli ai ministeri e aumenta l’assegno unico

Arriva una nuova stretta per la spesa dei ministeri, ma il Governo assicura anche risorse per i rinnovi contrattuali, promette un cambio di strategia sui bonus edilizi e, in linea con la spinta alla natalità voluta dalla premier, si prepara ad aumentare l’assegno unico e a sostenere le famiglie numerose. Il Def entra nel dettaglio delle misure che il Governo ha in cantiere per i prossimi anni, sul piatto però le risorse a disposizione sono poco meno di 8 miliardi in deficit in due anni, peraltro già destinati a ridurre il cuneo fiscale e abbassare le tasse. E mentre il Pd lancia l’allarme sul taglio dei fondi alla sanità, l’orizzonte resta “incerto e non privo di rischi”: un nuovo caro energia o i possibili ritardi sul Pnrr potrebbero rallentare la crescita. Per questo le previsioni inserite nel Def sono “di natura estremamente prudenziale”, ripete il Ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti, che però considera “del tutto realistico” puntare per i prossimi anni a un aumento del Pil e dell’occupazione “ben oltre le previsioni del documento”. E professa ottimismo anche sul Pnrr, per il quale, una volta rivisti alcuni progetti, assicura, “vi sono tutte le condizioni per accelerare” riforme e investimenti che innalzeranno il potenziale di crescita. La piena attuazione del Pnrr, infatti, stima il Def, darebbe una spinta al Pil del +3,4% in più a fine piano. 

E anche l’Upb osserva: i dati sono plausibili se il Piano sarà pienamente realizzato. Ma ci sono variabili che rischiano invece di pesare negativamente sulla crescita: il Def prende in considerazione alcuni scenari di rischio, come un nuovo aumento delle materie prime energetiche, che potrebbe tradursi in una riduzione di 0,3 punti sul Pil 2023 e 0,4 il prossimo anno. In questo scenario una certezza è data dal tesoretto ricavato dalle nuove stime sul deficit, 3,4 miliardi per quest’anno e 4,5 per il prossimo, risorse che hanno già una precisa destinazione: per quest’anno serviranno a “sostenere il reddito disponibile e il potere d’acquisto dei lavoratori dipendenti”, con un nuovo taglio del cuneo fiscale che coprirà il periodo maggio-dicembre; per il prossimo anno andranno a “interventi di riduzione della pressione fiscale”. Qualche risparmio in vista della prossima legge di bilancio potrebbe arrivare dal nuovo ciclo di spending review che, sommata a quella già prevista dall’ultima legge di bilancio, porta la riduzione complessiva a 1,5 miliardi nel 2024, 2 miliardi nel 2025 e 2,2 miliardi a partire dal 2026. L’attenzione alla famiglia troverà invece spazio nella delega fiscale con misure “per aumentare gli importi base dell’assegno unico, aiutare le famiglie con figli neonati e le famiglie numerose” e incrementare i congedi parentali anche dei papà. Il Def promette anche risorse per i rinnovi contrattuali, mentre i sindacati evidenziano l’assenza di misure sulle pensioni. 

Il Governo trova la quadra su Terna e inizia a lavorare sulle non quotate

Si chiude anche la partita di Terna con l’arrivo di Giuseppina Di Foggia mentre si apre il capitolo delle aziende pubbliche non quotate. Le proporzioni 2-2-1 usate da FdILega e FI per scegliere i vertici delle cinque grandi società partecipate verranno superate; alla maggioranza servirà un’opera di bilancino, e il lavoro è già cominciato; per assegnare le dieci poltrone più ambite (fra presidenti e ad), si racconta nel centrodestra, è stato prima necessario trovare un’intesa di massima fra Giorgia Meloni e gli alleati per chi guiderà le tre società principali fra le non quotate di prima fascia in scadenza fra aprile e maggio: Consip, centrale acquisti della pubblica amministrazione italiana, Consap, che gestisce servizi su concessione del Mimit, del Viminale e del Mef, e Sogin, responsabile dello smantellamento degli impianti nucleari italiani. Secondo varie ricostruzioni, il ruolo di amministratore delegato di Sogin sarebbe stato rifiutato da Stefano Donnarumma, grande escluso per spinta di Lega e FI dalla prima tornata di nomine, per il quale ora si parla soprattutto di Cdp Venture Capital o di Ferrovie, per cui però dovrebbe attendere un anno. Suo malgrado, Donnarumma è stato protagonista dell’ultimo braccio di ferro fra FdI e Lega: nelle intenzioni della premier sembrava destinato alla conferma come ad di Terna o allo stesso ruolo in Enel, ma è stato sostituito con Giuseppina Di Foggia, la donna al vertice promessa dalla Meloni, prima Ad di una grande partecipata. 

Poi Donnarumma è stato scavalcato da Flavio Cattaneo alla guida del colosso energetico, affiancato dal presidente Paolo Scaroni, che non lascerà la presidenza del Milan. Alla prima prova, quella in Borsa, questa scelta ha avuto una fredda accoglienza: gli analisti collegano il calo del 3,9% di Enel alla considerazione dell’amministratore delegato in uscita, Francesco Starace e ai dubbi sulla strategia del suo successore. Chiusura in rialzo, invece, per Eni (1,4%), Poste italiane (1,1%) e Leonardo, al 3,2% dove è stata varata una rivoluzione, con il diplomatico Stefano Pontecorvo presidente e l’ex ministro Roberto Cingolani Ad, al posto di Alessandro Profumo, che all’indomani delle scelte è stato ricevuto da Sergio Mattarella. A Palazzo Chigi non preoccupa il parere richiesto all’Antitrust da Angelo Bonelli (Avs), sulla compatibilità di Cingolani: “La sua nomina viola le norme in materia di risoluzione dei conflitti di interessi, secondo cui un ex ministro non può ricoprire incarichi in enti di diritto pubblico, società a scopo di lucro, nei 12 mesi successivi dal termine della carica”. Ogni verifica è stata fatta prima, spiegano fonti di Governo. In ogni caso la maggioranza guidata da Giorgia Meloni è soddisfatta e si appresta alla seconda fase delle nomine.

Arera avverte la maggioranza sul rischio di un rialzo dei prezzi delle bollette

prezzi di gas ed elettricità aumenteranno nei prossimi mesi. I mercati sono volatili e le quotazioni in rialzo: per il gas fino al 15% nel quarto trimestre rispetto a ora, per la corrente fino al 25%: è l’allarme che ha lanciato ieri il presidente di Arera Stefano Besseghini in audizione alla Commissione Finanze della Camera. Per le associazioni dei consumatori, se le previsioni sono giuste le famiglie italiane andranno a pagare 300 euro in più all’anno sulle bollette energetiche. Per Besseghini “Le quotazioni dei mercati all’ingrosso del gas naturale per i prossimi mesi hanno recentemente nuovamente mostrato volatilità crescente, e quotazioni per il terzo e quarto trimestre in rialzo (rispettivamente di più del 5% e del 15% rispetto alle quotazioni per il secondo trimestre)”. E non basta: le quotazioni dei mercati all’ingrosso dell’energia elettrica per i prossimi mesi “hanno recentemente di nuovo mostrato volatilità crescente” e le quotazioni per il terzo e quarto trimestre sono in “rialzo, con aumenti di circa il 10% nel terzo trimestre e del 25% nel quarto trimestre rispetto alle quotazioni del secondo trimestre”. 

Per Davide Tabarelli, presidente di Nomisma Energia, “ai primi di maggio dovrebbe esserci un lieve aumento del prezzo del gas in bolletta. Ma per sapere come andranno i prezzi dell’energia nei prossimi mesi, bisogna aspettare. L’unica cosa certa al momento è l’instabilità del mercato”. In ogni caso, aggiunge, “questa breve stagione di ribassi dei prezzi è finita”. Sul mercato dell’energia pesano molte incognite: “la ripresa dell’economia cinese, un taglio delle forniture russe, la riduzione del nucleare francese e dell’idroelettrico a causa della siccità”. Il Governo, come anche ribadito dal Ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti durante la presentazione del Def, sembra esserne consapevole anche se per il momento non è intervenuto in attesa delle previsioni dei prossimi mesi.

Meloni è pronta per la missione in Etiopia: faro su aiuti umanitari e migranti

Sostegno al processo di pace e aiuti umanitari, cooperazione per lo sviluppo dell’industria e delle infrastrutture e gestione dei migranti: Giorgia Meloni rilancia la presenza dell’Italia nel Corno D’Africa e sarà per due giorni in missione ad Addis Abeba, prima leader di un paese occidentale, sottolineano dal Governo, a sbarcare in Etiopia dopo la fine delle ostilità in Tigray. La visita era in preparazione da febbraio, quando la stessa premier aveva annunciato al primo ministro etiope Abiy Ahmed l’intenzione di organizzare una missione, e s’inquadra in quel Piano Mattei di sostegno allo sviluppo “non predatorio” ai Paesi africani al centro della politica estera del governo, in chiave energetica ma, soprattutto, in chiave migratoria. A quella della premier seguirà anche una missione imprenditoriale proprio per sostenere l’Etiopia nel programma di riforme e di trasformazione economica, mettendo a disposizione, spiegano dall’esecutivo, la competenza delle imprese italiane e favorendo il re-impegno nei fori competenti. Rafforzamento delle relazioni bilaterali e un segno concreto dei legami storici e solidi tra i due Paesi, sottolineano fonti italiane, sono tra i principali obiettivi della missione cui seguirà, tra gli impegni dell’Italia per il Corno d’Africa, la co-presidenza insieme alle Nazioni Unite della conferenza dei donatori a New York il 24 maggio. 

Oltre alla cooperazione bilaterale per lo sviluppo e la stabilità dell’area, al centro dei colloqui con il primo Ministro etiope, che la Meloni incontra per la terza volta dopo Roma e la Cop27 di novembre, ci sarà per l’appunto la gestione dei migranti in un Paese che è già destinatario del decreto flussi di fine 2022 e che rappresenta uno snodo per i flussi che attraversano le frontiere orientali verso il Sudan fino alla Libia, e di lì verso l’Italia. Una questione prioritaria per l’interesse nazionale è quindi la “stabilità e integrità” dell’Etiopia, che ospita 823mila rifugiati e 4,2 milioni di sfollati. Anche l’emergenza umanitaria e la sicurezza della Somalia saranno oggetto della missione, prima in un colloquio con il presidente somalo Hassan Sheikh Mohamud che sabato si allargherà ad un trilaterale Italia-Etiopia-Somalia. Meloni al suo arrivo ad Addis Abeba vedrà anche il presidente dell’Unione Africana Moussa Faki, per poi andare al Palazzo Nazionale per l’incontro con Abiy. Prima di rientrare la premier visiterà l’istituto onnicomprensivo Galileo Galilei di Addis Abeba, la più grande scuola italiana all’estero con circa 900 iscritti.  

Calenda e Renzi fanno saltare il partito unico. Addio al Terzo polo?

Dopo un fitto scambio via Twitter, la rappresentazione plastica della fine del Terzo polo si materializza a metà mattina nell’aula di palazzo Madama. A votare i circa 250 emendamenti presentati al decreto Pnrr, seduti allo stesso banco, a tre sedie di distanza, ci sono sia Carlo Calenda che Matteo Renzi. I due non si parlano, il leader di Iv chiacchiera con tutti i senatori del gruppo, si spinge anche a scherzare con Maria Stella Gelmini che siede accanto al segretario di Azione e le strappa un sorriso. Calenda, invece, è serissimo, si limita a votare, dando quasi le spalle all’alleato. Finita la raffica di voti, l’ex titolare del Mise si alza, scende in cortile e accende una sigaretta. Il suo giudizio sul futuro è di quelli definitivi: “Il progetto del partito unico è definitivamente morto. Andremo avanti con due partiti e, se ricomporremo il clima, ci alleeremo dove sarà possibile”, taglia corto. Il leader annulla anche la riunione del Comitato politico prevista nel pomeriggio. “No non si fa, non c’è il clima giusto”. A stretto giro arriva una nota ufficiale di Iv a replicare: “Interrompere il percorso verso il partito unico è una scelta unilaterale di Carlo Calenda. Pensiamo che sia un clamoroso autogol ma rispettiamo le decisioni di Azione”. 

I renziani continuano a parlare di “alibi”. Italia Viva, è la sottolineatura, “è pronta a sciogliersi come Azione il 30 ottobre, dopo un congresso libero e democratico. Sulle risorse Italia Viva ha trasferito fino ad oggi quasi un milione e mezzo di euro al team pubblicitario di Carlo Calenda ed è pronta a concorrere per la metà delle spese necessarie alla fase congressuale e a trasferire le risorse dal momento della nascita del partito unico” Quanto a “LeopoldaRiformista, retroscena, veline, presunti conflitti d’interesse sono solo tentativi di alimentare una polemica cui non daremo seguito”. Calenda non ci sta: “Il progetto del partito unico con Iv è naufragato per la semplice ragione che Renzi ha ripreso direttamente in mano IV due mesi fa e non vuole rinunciarvi”; “Da domani riprenderemo con Azione il lavoro per la costruzione di un partito liberale, popolare e riformista. Avanti!”, aggiunge, escludendo “ogni possibilità di ripensamenti”. Separazione ma non divorzio. I gruppi comuni alla Camera e al Senato resteranno.