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La Giornata Parlamentare. Dazi USA, la scadenza del 9 luglio prorogata o no? Difesa, Consiglio UE chiede una roadmap entro ottobre

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La Casa Bianca apre sui dazi, Meloni media al Consiglio Ue. Al Consiglio Ue i leader dei 27 hanno parlato di difesa, dazi e Medioriente. Chiusa l’ipotesi terzo mandato si apre la partita delle regionali.

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La Casa Bianca apre sui dazi, Meloni media al Consiglio Ue

Il giorno per la scadenza della sospensione dei dazi americani potrebbe non essere il 9 luglio. A sera, mentre i 27 leader si apprestavano a sedersi alla cena di lavoro sui rapporti tra Stati Uniti ed Europa, da oltreoceano è arrivata la notizia che potrebbe ammorbidire la trattativa sulle tariffe: “La scadenza potrebbe essere prorogata, ma è una decisione che spetta al presidente”, ha annunciato la Casa Bianca. Il rinvio fa parte di una precisa strategia: la presidente della Commissione Ursula von der Leyen ha infatti informato i leader dell’arrivo della controproposta americana sulle tariffe, un documento che andrebbe a delineare “un accordo provvisorio” tra le controparti. Il tema, smaltiti i festeggiamenti per l’accordo sul 5% alla Nato, a Bruxelles è tornato di prepotente attualità. 

L’ombra lunga di Donald Trump ha accompagnato i 27 Capi di Stato e di governo da L’Aja a Bruxelles, dove si sono riuniti per il Consiglio europeoGiorgia Meloni, in questo quadro, non ha fatto eccezione. La premier ha avuto modo di discutere del dossier dazi con Trump nei Paesi Bassi. Ma la sua linea, nonostante la vicinanza politica al tycoon, resta fortemente ancorata all’Europa. Anzi, a Bruxelles Meloni si è trovata in una posizione mediana tra Francia e Germania, che sui dazi rischiano di scontrarsi seriamente. Berlino, sebbene Friedrich Merz abbia assicurato di sostenere gli sforzi della Commissione, da giorni spinge per un’intesa al più presto, anche se imperfetta. Parigi è ben più attendista. Dietro la formula dell’intesa al 10% vede trappole in diversi comparti economici. 

E, soprattutto, Emmanuel Macron non vuole un’intesa “asimmetrica” che, pur di evitare la tagliola del 9 luglio, si riveli troppo svantaggiosa. Meloni pur ritenendo che serva un accordo al più presto, vuole comunque vederci chiaro. “Eventuali asimmetrie vanno debitamente compensate”, hanno sottolineato fonti italiane citando, tanto per fare un esempio, i settori dell’acciaio e dell’alluminio dove le tariffe americane vanno ben oltre il 10%. Ma è la stessa Commissione Ue a essere allergica ad un accordo sul modello di quello tra Usa e Gran Bretagna. “Una cosa è certa: abbiamo bisogno di un accordo equilibrato”, ha avvertito il vicepresidente esecutivo Stéphane Séjourné. L’obiettivo europeo per il 9 luglio era trovare almeno un accordo quadro, ma la possibilità proroga annunciata dalla Casa Bianca cambia lo scenario. Il tema è che, a prescindere dai temi, Trump rischia di diventare un eterno e ingombrante convitato di pietra. Anche per Meloni. 

Al Consiglio Ue i leader dei 27 hanno parlato di difesa, dazi e Medioriente  

All’indomani del vertice Nato, con il target del 5% in difesa e sicurezza da raggiungere entro il 2035, i leader europei si ritrovano a Bruxelles nel consueto vertice di giugno. I 27 si interrogano come raggiungere tali livelli entro il 2030 e chiedono alla Commissione Ue e all’Alta rappresentante di presentare una roadmap entro ottobre. Germania e Paesi Bassi continuano a dirsi contrari a forme di finanziamento comune. Gli strumenti finora presentanti, ovvero l’utilizzo dello stop al Patto di Stabilità per quattro anni per spese per la difesa fino all’1,5% e 150 miliardi di prestiti nello strumento SAFE, mostrano i loro limiti. Al Consiglio Ue la premier Giorgia Meloni ha sollevato il tema dell’asimmetria della sospensione nazionale delle norme di governance economica, che al momento penalizzerebbero l’Italia. La Commissione Ue ha riferito che approfondirà il tema per vedere se c’è soluzione. In pratica, se un Paese è in procedura per deficit eccessivo e sta per uscirne dalla procedura, ed è il caso dell’Italia che conta di concludere il prossimo anno, attivando la clausola rimarrebbe nella procedura di infrazione. Motivo per cui all’Italia non conviene attivare la clausola ora, come hanno già chiesto 16 Stati, ma una volta uscita dalla procedura, dopo il 2026. Per l’Italia basterebbe un’interpretazione della norma da parte della Commissione, senza necessità di cambiare il testo legislativo delle regole di bilancio

Oltre ai dazi, un altro tema che ha scaldato gli animi è il Medioriente, con il riferimento entrato nelle conclusioni del vertice alla revisione dell’Accordo di Associazione Ue-Israele. I leader europei di fatto prendono atto del rapporto elaborato dal Servizio per l’Azione esterna dell’Ue che ha rilevato diverse violazioni dei diritti umani da parte di Israele e “invita il Consiglio a proseguire le discussioni su un seguito, se del caso, nel luglio 2025, tenendo conto dell’evoluzione della situazione sul campo”. L’Alta rappresentante Kaja Kallas, ma anche diversi leader, sono in pressing su Tel Aviv per avere la posizione israeliana sul report. Poi verranno messe sul tavolo dei ministri degli Esteri le varie azioni da intraprendere. Sul tema i leader sono ancora divisi tra due fronti: quello di chi invoca uno stop ai rapporti con Israele, guidato da Spagna, Irlanda e Slovenia, e quello di chi vuole mantenere il dialogo, capeggiato da Italia e Germania. 

I leader hanno proseguito il dibattito anche sui migranti. Meloni, assieme agli omologhi di Olanda e Danimarca, ha guidato la riunione dei ‘falchi’ sulla migrazione, a quali oggi si è aggiunto anche il cancelliere tedesco Friedrich Merz, al suo esordio al Consiglio Ue. I leader chiedono di proseguire sulla stretta sui rimpatri e sull’esplorazione di soluzioni innovative. Meloni ha anche indicato alcuni nuovi filoni di lavoro, tra cui il tema delle convenzioni internazionali e loro capacità di rispondere alle sfide della migrazione irregolare. Sull’Ucraina di nuovo le conclusioni del vertice sono state approvate a 26, senza il via libera dell’Ungheria. Oggi dovrebbe essere varato anche il 18esimo pacchetto di sanzioni, che Viktor Orban potrebbe approvare, sulla scia della linea di Trump sulle misure contro Mosca. Resta da vedere se il price cap al petrolio, dato in uscita dal pacchetto, resterà. 

Chiusa l’ipotesi terzo mandato si apre la partita delle regionali

Niente terzo mandato e niente rinvio della finestra elettorale d’autunno. Nello stesso giorno in cui il Senato mette la parola fine alla misura, fallisce anche il blitz di Vincenzo De Luca, che aveva avanzato in Conferenza delle regioni la richiesta di valutare uno slittamento per permettere di portare a termine i progetti del Pnrr e di chiudere i bilanci, come dice il ministro leghista Roberto Calderoli e pure Massimiliano Fedriga; il quale, dopo avere trovato in Conferenza il muro di Eugenio Giani alla proposta De Luca, fa sapere che comunque sottoporrà la questione al Governo. Nel frattempo, il governatore campano, come il veneto Luca Zaia, sono quindi davvero a fine corsa (salvo si dovesse materializzare il breve rinvio). E in ogni caso, spazzato definitivamente il campo dal terzo mandato, per il centrodestra ma anche per il centrosinistra, si apre la partita delle candidature per la guida delle cinque regioni in scadenza (sei con la Valle D’Aosta); due sono le questioni più spinose, non a caso il Veneto per il centrodestra e la Campania per il centrosinistra. 

L’ultimo round sui mandati si è consumato, con esito di fatto scontato, di prima mattina in commissione Affari costituzionali al Senato. L’emendamento a prima firma Paolo Tosato viene respinto con 15 voti contrari, compresi quelli di FdI. Nonostante il mancato accordo di coalizione, il partito di Matteo Salvini ha insistito per la prova del voto. Da cui esce con “amarezza”, dice sempre Calderoli, distinguendo tra la “disponibilità” di FdI e il “muro eretto da FI”. Per la maggioranza il vero nodo sarà il Veneto: “Vista la classe dirigente che ha sul territorio, FdI è in grado di esprimere un’ottima candidatura”, puntualizza il coordinatore veneto dei meloniani Luca De Carlo, tra i nomi circolati per la successione al “Doge” se Giorgia Meloni rivendicasse per il suo partito la candidatura. Ma la Lega a sua volta “auspica” di poter esprimere il nuovo presidente di Regione (e il nome potrebbe essere quello del vice di Matteo Salvini Alberto Stefani). Anche i centristi chiedono a questo punto, come fa l’Udc Antonio De Poli, di smetterla con le “prove di forza individuali” e di fare presto a individuare il candidato. 

Ovunque si sceglieranno “i migliori”, non si sbilancia il responsabile organizzazione di Fdi Giovanni Donzelli, mentre Forza Italia minimizza gli effetti sulla coalizione come fa Antonio Tajani, che prima o poi si dovrà sedere con gli altri leader, come spiega anche l’azzurro Maurizio Gasparri, per trovare una sintesi. Per ora l’unica candidatura certa nel centrodestra è quella di Francesco Acquaroli, che cerca il bis nelle Marche. Per le altre ci sono diverse ipotesi ma la quadra si potrà trovare solo sciogliendo il nodo del Veneto. In Campania in realtà si starebbe anche aspettando di vedere quello che accadrà nel campo avversario. Il centrosinistra, che il Veneto lo dà per perso, punta al 4-1 e ha già di fatto chiuso nelle Marche, dove Matteo Ricci cercherà di sfilare al centrodestra la guida della Regione. In Puglia il candidato in pectore è Antonio De Caro, ma i dem starebbero aspettando che l’indicazione del nome arrivi da tutta la coalizione. In Toscana si ricandida Eugenio Giani, che oltre ad avere osteggiato la proposta di De Luca ha anche fatto sapere che le elezioni potrebbero essere il 12 o il 19 ottobre. La Campania, per cementare il campo largo o progressista, dovrebbe andare ai 5 Stelle che punterebbero su Roberto Fico (inviso al governatore uscente). 

Il Senato prosegue, non senza polemiche, sulla separazione delle carriere

L’esame della riforma per la separazione delle carriere dei magistrati entra nel vivo nell’Aula del Senato e non senza polemiche. Con momenti di tensione che si registrano soprattutto dopo la decisione della presidente di turno Licia Ronzulli di ricorrere alla tecnica del canguro per sfoltire gli oltre 1.300 emendamenti presentati al testo. E anche perché al momento del primo voto per la “riforma cardine del centrodestra” manca il numero legale. Tutto comincia quando (dopo i 56 interventi delle ultime due sedute d’Aula dedicate alla discussione generale del testo) nell’emiciclo di Palazzo Madama prendono la parola prima Raffaella Paita (IV), per dire che si tratta di una riforma “priva di coraggio” e poi Adriano Paroli (FI) per difendere il ddl e la memoria di Berlusconi (“citato senza rispetto”). Ma è con l’intervento della senatrice M5S Alessandra Maiorino che il clima si surriscalda, soprattutto quando definisce “succube” l’atteggiamento di Giorgia Meloni al vertice Nato concedendosi “una battuta” che fa andare su tutte le furie la Ronzulli: “Ho capito perché l’eminente esponente di FdI, Montaruli, abbaia in Tv: perché la Premier scodinzola all’Aja!”. 

Tornata la calma e chiusa la discussione generale, il capogruppo dem Francesco Boccia ribadisce come il vero obiettivo della riforma “imposta al Parlamento” sia quello di mettere i Pm sotto il controllo dell’Esecutivo; tocca al Guardasigilli Carlo Nordio replicare e lo fa rispondendo punto per punto agli “attacchi” del centrosinistra. Il Ministro, dopo aver sciorinato date e citazioni da Tucidide a Shakespeare passando per Popper, difende a tutto campo la riforma e spiega, prima di tutto, come a minare l’indipendenza delle toghe non sia il Governo, ma “quella matassa ingarbugliata di potere che si chiama correnti”. Il “sorteggio”, poi, già si fa per le Corti d’assise pertanto “non è una novità”. Per quanto riguarda la separazione delle carriere, inoltre, dopo aver fatto un richiamo a Perry Mason, ricorda come sia “consustanziale al processo accusatorio introdotto da Vassalli”. Ma è sul “verminaio” e sul “mercimonio” (che a suo dire si crea nel Csm ancora senza sorteggio) che si concentra parlando di “asinelli che volano” a proposito di chi non vuol credere che il caso Palamara celi realtà più vaste di quelle emerse. 

Queste parole innescano la reazione dell’Anm che, con il presidente Cesare Parodi, rinnova con vigore la “preoccupazione per una riforma che mette a rischio l’autonomia e l’indipendenza della magistratura” e “a repentaglio la nostra architettura istituzionale”. La tensione torna poi a riversarsi sui lavori d’Aula che, al primo voto, non è in numero legale, cosa che scatena l’ilarità del centrosinistra mentre i più maligni parlano di “segnale interno” dopo la bocciatura in Commissione del terzo mandato. La Ronzulli sospende la seduta. Ma dopo 20 minuti si riprende e i voti partono a raffica. Circa 22 emendamenti cadono sotto la scure di 6 canguri. L’opposizione protesta. Poi si rinvia al primo luglio quando, come si augura il presidente del Senato Ignazio La Russa, si ripartirà con “un dibattito proficuo, ma non necessariamente artatamente prolungato”. Per la terza lettura alla Camera, invece, occorrerà attendere. Sia per i tempi previsti dalle riforme costituzionali che per un ingorgo di decreti da approvare prima della chiusura estiva.

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