Il quadro

La campagna italiana di Vivendi si complica. Soluzione politica per uscire dall’impasse?

di |

La campagna italiana di Vivendi si complica dopo la pronuncia della Consob, che ha stabilito il controllo di fatto del gruppo francese su Tim, contestata dall’operatore che annuncia ricorso. Accordo politico per superare l'impasse?

La campagna italiana di Vivendi si complica dopo la pronuncia della Consob, che ha stabilito il controllo di fatto del gruppo francese su Tim, contestata dall’operatore che annuncia ricorso: “la decisione si discosta in maniera rilevante dalla consolidata interpretazione in materia di controllo societario, cui TIM (e ragionevolmente il mercato intero) si è sempre costantemente e rigorosamente attenuta”. Una pronuncia che, se confermata, potrebbe costringere Vivendi a consolidare a bilancio almeno una parte del debito di circa 25 miliardi che pesa sulle casse dell’azienda italiana. La palla passa ora alla Consob francese, titolare della decisione che che dovrà dire la sua.

La pronuncia della Consob sembra comunque una freccia in più all’arco del Governo italiano, che sta valutando l’esercizio del golden power su Tim, in particolare su Sparkle, la società considerata strategica per gli interessi nazionali che gestisce i cavi sottomarini del gruppo Tlc italiano.

Blind trust Mediaset

Intanto, sul fronte Agcom, ieri l’Autorità ha dato il via libera al piano Vivendi per la creazione di un blind trust dove il gruppo francese, che detiene il 28,8% di Mediaset, si impegna a conferire ad una società fiduciaria indipendente il 19,9% delle azioni e il 19,95% dei diritti di voto nel Biscione. La fiduciaria avrà il compito di gestire in maniera autonoma e indipendente la partecipazione. Vivendi si impegna altresì a non esercitare alcuna influenza notevole su Mediaset, e a non cedere quote detenute in Mediaset a Tim.

Il piano approvato ieri integra quello presentato il 19 giugno all’Autorità, rivisto e rimpolpato dopo le interlocuzioni degli ultimi mesi con Agcom.

C’è da dire che Vivendi a suo tempo ha fatto ricorso al Tar, che ha fissato la prima udienza il 7 febbraio 2018, contro la decisione dell’Agcom di imporre al gruppo di Vincent Bollorè di scendere sotto il 10% in Tim o Mediaset per ottemperare alle norme anticoncentrazione nel settore dei media e delle Tlc.

Nel frattempo, Mediaset e il suo primo azionista Fininvest, holding della famiglia Berlusconi, hanno avanzato una richiesta di risarcimento danni per 3 miliardi di euro a Vivendi per la scalata definita “ostile” a Mediaset e per la mancata acquisizione di Mediaset Premium a luglio 2016.

Soluzione politica e golden power

Ma a questo punto per uscire dall’impasse in cui si trova nel nostro paese, sembra proprio che Vincent Bollorè dovrà sperare in un intervento della politica, in particolare in un accordo fra Roma e Parigi che si potrebbe giocare il 27 settembre prossimo a Lione, quando il presidente del Consiglio Paolo Gentiloni (che si è espresso a favore del golden power su Sparkle) incontrerà il presidente Emmanuel Macron per parlare dei cantieri Stx Saint Nazaire e del ruolo di Fincantieri, ridimensionato dopo il dietrofront del nuovo inquilino dell’Eliseo. Una soluzione che ha mandato all’aria un accordo concluso in primavera dal nostro governo con Francois Hollande, per garantire la maggioranza dei cantieri navali francesi alla nostra azienda.

Insomma, una via d’uscita, un compromesso per Vivendi in Italia, potrebbe arrivare da un accordo tutto politico fra Gentiloni e Macron, su nuove condizioni per Fincantieri nella partita che si sta giocando a Saint Nazaire. La data dell’incontro è il 27 settembre e prima di allora il comitato sul golden power a Palazzo Chigi potrebbe decidere di non esprimersi in attesa di sviluppi.

Consob batte un colpo

Intanto, ieri la Consob batte un colpo e la campagna italiana di Vivendi si complica sempre di più, dopo la pronuncia dell’organo di vigilanza di Borsa che dopo una lunga istruttoria ha concluso che la partecipazione di Vivendi in Tim debba essere qualificata come una partecipazione di “controllo di fatto” ai sensi dell’art. 2359 del codice civile e dell’art. 93 del TUF, oltre che della disciplina in materia di operazioni con parti correlate. Tim ha prontamente annunciato che farà ricorso, ma se la decisione della Consob sarà confermata, Vivendi potrebbe vedersi costretta a consolidare a bilancio i 25,7 miliardi di debito che pesano su Tim.

Vivendi, primo azionista di Tim con il 23,9%, sostiene da sempre di non esercitare il “controllo” su Tim, ma di esercitare da fine luglio una semplice attività di “direzione e coordinamento” sull’operatore italiano. Il gruppo francese ha ribadito di aver sempre rispettato la legge e i regolamenti, annunciando a sua volta ricorso nelle sedi competenti.

Le motivazioni della Consob

Nella lettera in allegato  la Consob elenca poi i fatti che “costituiscono indici del concreto esercizio del controllo su Tim da parte di Vivendi”. In primo luogo, il fatto che tre amministratori dei dieci di designazione Vivendi (sui 15 totali) ricoprono incarichi dirigenziali di vertice nel gruppo Vivendi. In particolare Arnaud de Puyfontaine, Hervè Philippe, Frederic Crepin.

La Consob indica poi la delibera del cda del primo giugno 2017 di attribuzione a de Puyfontaine della carica di presidente esecutivo di TIM e il conferimento al medesimo di rilevanti deleghe. Inoltre la ricostituzione del comitato strategico composto da due consiglieri appartenenti al vertice esecutivo di Vivendi e da Recchi, Bernabè e Frigerio. Anche la composizione dei comitati interni al cda vede Vivendi fare la parte del leone. Un altro segnale del controllo di fatto, secondo la Consob, è l’impegno assunto da Vivendi con Bruxelles a cedere le quote detenute da Tim in Persidera, senza un preventivo coinvolgimento del cda di TIM (che ha ricevuto un’informativa su tale aspetto il 7 luglio 2017) e dopo che Tim aveva dichiarato nell’ultimo bilancio la strategicità di tale partecipazione.

Altri fatti indicativi del controllo di Vivendi sono la risoluzione del rapporto con l’ad Flavio Cattaneo, “di recente confermato ad dopo l’assemblea del 4 maggio” su esclusiva iniziativa del consigliere de Puyfontaine a seguito di una discussione con Cattaneo avente a oggetto cambiamenti nel management con il possibile coinvolgimento di Amos Genish (manager del gruppo Vivendi) quale direttore generale con deleghe. Sempre de Puyfontaine firma un “dettagliatissimo” accordo con Canal+ “senza che l’operazione sia stata discussa dal Cda di Telecom Italia”.

Rischio ammenda di 300 milioni

Il Governo italiano, dal canto suo, sta conducendo un’istruttoria per verificare se Vivendi ha ottemperato alle norme sull’obbligo di notifica della presa di controllo di un’azienda strategica, qual è Tim che controllo asset strategici come la rete sottomarina di Sparkle, dopo il cambio di governance di fine luglio, che ha visto l’uscita di scena dell’amministratore delegato Flavio Cattaneo e l’assunzione dell’incarico da parte di Arnaud De Puyfontaine, che peraltro è anche presidente di Tim e Ceo di Vivendi. Nel frattempo, la nomina del nuovo amministratore delegato di Tim sembra in stand by. Il comitato sul golden power a Palazzo Chigi sarebbe già orientato a concludere che Vivendi avrebbe dovuto a suo tempo notificare al Governo l’assunzione del controllo di Tim.

Se così fosse stabilito, il gruppo francese rischia una sanzione minima di 300 milioni di euro per la mancata notifica.