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La Basilicata e i crimini contro il paesaggio. La scomparsa di Monte Rossia, Serra Grande e Monte Rossino

Monte Rossia, Serra Grande, Monte Rossino non ci sono più, uccisi da un male incurabile: l’uomo. Comune di Lauria, Basilicata. Appena sopra la frazione di Melara. Al confine con il comune di Tortora, Calabria. A brevissima distanza dal Parco Nazionale del Pollino. Formavano un anello di affascinanti montagne pietrose, che circondava una serie di grandi doline d’altura: conche prative collegate fra loro da passaggi di roccia, ove un tempo forse si coltivava un grano di montagna, la Russia (da qui i nomi di due di esse).

Dal lungo crinale che collegava le tre cime, come un ovale, si godevano vedute immense sul gruppo dei monti Spina e Zaccana, sul gruppo del Monte Pollino, sulla valle del Mercure, sul gruppo del Monte Ciagola, sul Golfo di Policastro, sul Monte Sirino. E ancora oltre, a nord, sud, est, ovest. Chiunque veniva quassù passava per Ovo della Vacca, un grande pianoro circolare, coltivato, con piccole case di pietra che sembravano uscite da una fiaba. L’aura di queste montagne era fatta di solitudine, silenzio, immensità. Si avvertiva la presenza trepida degli uomini che per secoli avevano vissuto anche grazie ad esse. Vi giungiamo di primo mattino, Francesco, Alessandro, Alberto ed io. E’ venuto con noi anche Massimiliano Capalbo.

Pregusto l’emozione di solcare per ore quell’architettonico dedalo di massi calcarei, puntellato di piccoli boschi, di ciuffi di vegetazione arbustiva, sospeso sopra un mondo incantato. Voglio regalare agli amici una giornata memorabile. Ma un presentimento sinistro mi affligge mentre saliamo verso Melara. Come un peso sul cuore. Quando appare il crinale di Serra Grande ho un’angina pectoris. Percorriamo attoniti la sterrata che porta a Ovo della Vacca. Ci inerpichiamo sino in cima, ansimanti e afflitti. Si infrange ogni residua speranza. Giungiamo nell’inferno terrestre. Il luogo che ricordavo con tanto affetto non esiste più! Infilzato da un Golgota di grandi pale eoliche (chiamano “mini eolico” questi giganti di trenta metri!). “Ergo Wind” è scritto sui loro motori. Un sibilo sinistro suona nell’aria. Come le mostruose creature meccaniche di certi film americani, decine e decine di pale (ne conteremo più di cinquanta!) risalgono le pendici, costellano l’intero crinale lungo cinque chilometri. Sbancamenti, strade, elettrodotti avvolgono le tre montagne come un’orribile tela di ragno. E’ bastata un’assenza più lunga del solito per restituirmi le spoglie senza vita delle mie tre care montagne. Questo non è un cammino, non è un’erranza. E’ un lutto! Si fa strada in me la crisi del cordoglio di cui parlava Ernesto De Martino. Ma non ho alcun rituale per elaborare il lutto. Perché qui, la morte non era ineluttabile. Quelle montagne erano persone, compagne, amanti. Ed erano ben vive. Non solo nell’immaginario collettivo delle popolazioni che vi abitano intorno ma anche nella mente e nel cuore di le frequenta da anni. Poche altre volte ho sofferto così nella mia vita. Non ho mai visto uno stupro tanto violento e definitivo. Non posso pensare ad un’azione più malefica, ad una compiacenza politica più ottusa, ad una indifferenza – di chi avrebbe dovuto vigilare, protestare, dare notizia – più vigliacca. Cristo è ancora fermo ad Eboli. Anzi è arrivato sino a Lauria e qui l’hanno crocifisso. Basta con ridicole candidature per far diventare patrimonio mondiale dell’umanità questo o quel sito di Basilicata e Calabria. Impariamo prima a rendere quegli stessi luoghi patrimonio dei lucani e dei calabresi.

Propongo, invece, la creazione di un tribunale internazionale per i crimini contro il paesaggio. Denuncio a quel tribunale la Regione Basilicata, il Comune di Lauria e la Ergo Wind o chi per essa. E ne chiedo la condanna ai lavori forzati: demolire le pale eoliche, ripristinare lo stato dei luoghi, inginocchiarsi e invocare il perdono delle pietre, della terra, del cielo, dell’erba, degli alberi. Faccio voti per domenica prossima 14 gennaio che tutte le associazioni che andranno in montagna, ovunque, mettano una fascia nera al braccio per ricordare Monte Rossia, Serra Grande e Monte Rossino, cancellati dall’ingordigia, dall’insipienza, dall’ignavia degli uomini. Raccolgo una piccola pietra grigia. La metterò sul focolare, fra i miei lari. Scompare dalla Terra un’altra oasi di bellezza”. Che ne sarà della Basilicata quando avrà perduto le sue montagne?

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