Il quadro

ItsArt, la ‘Netflix italiana della cultura’ rimanda il lancio a fine aprile (e forse riapriranno i cinema)

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La “collecting” Artisti7606 promuove una iniziativa il 15 aprile per denunciare che le piattaforme si arricchiscono sempre di più ma non riconoscono i diritti degli autori.

La settimana dopo Pasqua si chiude con almeno due notizie degne di attenzione, nell’economia politica del sistema audiovisivo italiano: la ormai mitica piattaforma italiana della cultura (“la Netflix” o “la Disney della cultura”, secondo le sempre entusiastiche aspettative dei promotori) ItsArt alias Italy is Art ha rimandato di un altro mese il proprio lancio, e quindi forse vedrà la luce a fine aprile; a fine aprile, potrebbero riaprire le saracinesche anche i cinematografi, seppur con capienza assai ridotta, alla luce di un nuovo protocollo in gestazione al Ministero della Cultura.

Le due notizie sono interessanti ed in qualche modo intrecciate tra loro, perché la prima conferma una tendenza all’incremento dell’offerta audiovisiva via web, mentre la seconda ripropone la questione di come una modalità storica di fruizione – qual è la sala cinematografica – si può rapportare con lo sconvolgimento dei paradigmi determinato dalla rivoluzione digitale.

L’esperienza della “reclusione” in casa provocata da un governo repressivo della pandemia ha senza dubbio determinato un incremento notevolissimo della fruizione di cinema ed altro immaginario audiovisivo, e molti si domandano se la “riapertura” delle sale cinematografiche registrerà una rinnovata domanda, o se questo lungo periodo di chiusure avrà determinato una sorta di consolidata disaffezione.

Sarà comunque sicuramente indispensabile una campagna promozionale di ri-stimolazione della fruizione in sala e ci si augura che il Ministero della Cultura voglia presto attivarsi in modo adeguato, dotando l’iniziativa di un budget congruo e magari promuovendo una gara tra le migliori agenzie pubblicitarie del Paese (non replicando la grancassa della dimenticata campagna “Moviement”, molto fumo e poco arrosto).

Il conto alla rovescia della piattaforma ItsArt viene rimandato di un mese ancora (da fine febbraio, a fine marzo, ed ora a fine aprile…): partirà infatti tra fine aprile ed inizio maggio, anche se molte nebbie avvolgono ancora l’iniziativa della “start-up” promossa dal Ministero della Cultura, che l’ha affidata a Cassa Depositi e Prestiti (Cdp), che ha scelto come partner Chili (si ricordi che le quote societarie sono rispettivamente del 51 e 49 per cento).

Il modello di business resta incerto, anche perché è tutta da dimostrare l’esistenza di una platea di potenziali consumatori interessati alla tipologia di offerta di ItsArt, che sembra rivolgersi allo stesso target di emittenti televisive come la franco-tedesca Arte ed i canali italici di RaiCultura o Sky Arte: si tratta di nicchie di mercato, per raffinati cittadini di cultura alta (esemplificativamente: i frequentatori dei teatri che offrono spettacoli di lirica).

Ma, certamente… mai dire mai: sarebbe bello scoprire che la domanda potenziale è maggiore di quella che si può prevedere nasometricamente.

Il “business model” primario di ItsArt è di tipo anzitutto “pay per view”: si paga per vedere uno specifico prodotto, dopo aver scaricato gratuitamente una “app” (il che sarà possibile su qualsiasi “device” mobile e su praticamente tutti i televisori “smart”).

Un elemento innovativo – secondo ItsArt – sarebbe rappresentato dall’opzione di acquisto online di biglietti per assistere a spettacoli dal vivo o a mostre, ma francamente anche questa modalità ci sembra già presidiata, almeno in parte, e quindi in fondo non granché “appealing”.

Fonti di ItsArt sostengono che la piattaforma avrebbe fatto passi da gigante, in questi primi mesi, in particolare sul fronte dell’approvvigionamento dei contenuti che, sul fronte delle “visual” e “performing arts”, ha avuto bisogno di approfondire una catena di gestione dei diritti fin qui praticamente inesistente.

Gli interlocutori di ItsArt sarebbero rimasti soddisfatti di quel che la piattaforma offre, perché, entrando nel suo catalogo, il ritorno oscillerebbe tra il 50 ed il 90 % dei ricavi derivanti dalla spesa dell’utente.

La “library” di ItsArt alla partenza non sarà completa, ma si arricchirà da qui alla fine dell’anno, con la possibilità di inserire anche contenuti gratuiti a discrezione dei produttori: in quel caso, la piattaforma si occuperà di inserire brevi inserzioni pubblicitarie.

Quando la mole di contenuti sarà più ampia, si contemplerà anche la possibilità di proporre anche abbonamenti.

Un “mix” di modelli di business, in primis “Tvod” ma anche “Avod” ed infine “Svod”: “Tvod” = “Transactional vod” (ovvero “video on demand”); “Avod” = “Advertising video on demand”; “Svod”, ove la “S” sta per “Subscription” (“vod”)… Un “mix” la cui funzionalità è ancora tutta da dimostrare (vedi “Key4biz” del 9 marzo 2021, “ItsArt, le authority (Agcm e Agcom) benedicono la Netflix della cultura”).

Fonti della società mettono un po’ le mani davanti, e, rispetto al concreto scenario di redditività, segnalano che esso si pone nella prospettiva di ritorno tipico di qualsiasi “startup” e che dovrebbe indicare un approdo all’utile non prima del quinto anno di vita. Qualcuno stima un potenziale di 1 milione di fruitori, ma, per ora, si tratta di numeri in libertà…

E la Commissione Vigilanza non approva l’obbligo a Rai di entrare in ItsArt

E ricordiamo che una decina di giorni fa, in Commissione di Vigilanza Rai, s’è verificata una strana dinamica, un incidente di percorso curioso a fronte della larga maggioranza partitica che governa il Paese: un dispaccio dell’agenzia stampa Adnkronos delle ore 21:46 di martedì 30 marzo titolava “Maggioranza battuta”, dando per vincente Fratelli d’Italia… “Non è stata approvata la risoluzione che imponeva alla Rai l’ingresso in ItsArt”.

La riunione della Vigilanza ha registrato in effetti una dinamica strana, dato che, data l’ora tarda, la maggioranza se ne era già andata quasi tutta a casa, come ha ben spiegato Vanessa Riccardi sull’edizione del 31 marzo del quotidiano “Domani”: per far passare la risoluzione presentata dal Presidente Alberto Barachini (Forza Italia) sarebbero stati necessari 21 voti a favore (i membri della commissione sono 40, metà Senato e metà Camera), ma la maggioranza si è fermata a 18 più l’astensione del senatore del Movimento 5 Stelle Alberto Airola e del Presidente. Una eccentrica situazione, in tempi di larghissime maggioranze nate tra Camera e Senato a supporto di Draghi. “Decisivi i 2 voti contrari di FdI di Federico Mollicone e Daniela Santanché per impedirne l’approvazione”, si leggeva ancora nel lancio notturno dell’agenzia. La verità è che Mollicone e Santanché sono stati gli unici 2 no, decisivi solo perché in aula erano presenti 22 parlamentari in tutto: quindi, sì il numero legale per votare, ma alla fine non sufficienti per raggiungere la maggioranza necessaria, visti i 2 no e i 2 astenuti. Sull’entusiasmo dell’agenzia, “non bisogna dare retta alle veline” ha sostenuto con il solito piglio polemico il sempre effervescente Michele Anzaldi di Italia Viva, “bisognerebbe capire perché non c’era nessuno”: si ricordi che peraltro Anzaldi ha auspicato che Viale Mazzini restasse fuori dalla piattaforma…

In ogni caso, si ha notizia che, a Viale Mazzini, il “dossier ItsArt” non appassioni nessuno, e verosimilmente la questione potrà essere affrontata seriamente soltanto dal Consiglio di Amministrazione che verrà, verosimilmente in carica tra fine giugno ed inizio luglio: la piattaforma sarà online per quella data?!

La delicata questione dell’“equo compenso”, della “copia privata”, dei “diritti connessi”: un calderone sul quale andrebbe fatta chiarezza ed applicata una “ecologia dei media”

Il “caso ItsArt” ripropone una questione essenziale nell’economia digitale della creatività: il rapporto tra le “piattaforme” ed il tessuto creativo degli autori (ma il discorso riguarda naturalmente anche i produttori).

La questione è certamente delicata e, sull’argomento, merita essere segnalata una interessante iniziativa promossa dalla “collecting” Artisti7607, che ha organizzato un incontro online, per giovedì 15 aprile alle ore 12:20, intitolato “Non è equo questo compenso”.

A partire dalla tesi che le piattaforme si arricchiscono ma non riconoscono i diritti degli autori.

Tesi assolutamente condivisibile: aumenta infatti esponenzialmente in “streaming” la diffusione di opere protette, ma senza un dignitoso riconoscimento dei diritti di chi le interpreta. E forse anche di chi le crea, ovvero i soggettisti e sceneggiatori…

Il mercato dell’audiovisivo è in crescita costante, e multinazionali dello “streaming” stanno macinando profitti a livello globale, mentre l’intero settore dello spettacolo è in profonda crisi per la pandemia.

L’incontro prevede la partecipazione di molti attori ed artisti famosi, tra i quali basti citare Diego Abatantuono, Elio Germano, Corrado Guzzanti, Valerio Mastrandrea, Michele Riondino, Claudio Santamaria, Ambra Angiolini

Si ricordi che l’Associazione Artisti 7607 è nata nel 2010, costituita da oltre mille attori, per riaffermare in Italia, dopo un ventennio di gestione monopolistica dei “diritti connessi”, la libertà degli artisti di scegliere a chi affidarne la tutela. Nel 2013, si è costituita la società di “collecting” Artisti 7607, come intermediario abilitato dei diritti connessi video spettanti agli artisti interpreti. Artisti 7607 è una società cooperativa a responsabilità limitata, che, in qualità di “organismo di gestione collettiva”, è attiva nella raccolta e nella distribuzione dei proventi per “equo compenso” (utilizzazioni via etere, cavo o satellite dell’opera cinematografica o assimilata), “equa remunerazione” (a carico dei produttori di fonogrammi per il noleggio dell’opera cinematografica o assimilata cui gli artisti interpreti abbiano preso parte), e “copia privata” (per la riproduzione privata ad uso personale dell’opera cinematografica o assimilata cui gli artisti interpreti abbiano preso parte): si tratta dei compensi spettanti agli artisti interpreti esecutori del settore video (ovvero dei cosiddetti “diritti connessi” al diritto d’autore, ex artt. 80, 84 e 71 septies e octies della Legge sul Diritto d’Autore, la n. 633/1941). Gli “aventi diritto” di Artisti 7607 sono gli artisti che interpretano, anche come doppiatori, ruoli primari o comprimari in opere cinematografiche e assimilate anche di animazione (sono esclusi gli spot pubblicitari, le trasmissioni di intrattenimento, gli spettacoli teatrali).

Non andiamo oltre, in questa sede, perché si tratta di una questione veramente delicata e complessa, che è stata oggetto di numerose controversie, ideologiche (monopolio Siae “versus” liberalizzazione…) e legali: ci limitiamo a ricordare che nel febbraio di due anni fa, il Tribunale di Roma ha condannato la Cooperativa Artisti 7607 a pagare al Nuovo Imaie (Nuovo Istituto Mutualistico Interpreti Esecutori) circa 770mila euro e di circa 50mila euro di spese legali, in relazione ad una vicenda che ha visto le due “collecting” contrapposte in un procedimento promosso proprio dal Nuovo Imaie. All’Istituto risultava, infatti, che la Cooperativa avesse fornito alla Siae una lista di nominativi di artisti di cui non aveva mandato per la riscossione dei compensi derivanti dal diritto connesso: il tutto ai fini del recupero dei proventi per copia privata video relativi agli anni 2012/2013…

Un grande calderone di molti milioni di euro, con scarsa trasparenza gestionale

Si tratta di un grande calderone di molti milioni di euro, rispetto al quale non ci sembra vi sia una grande trasparenza, e basti osservare quanti sono organismi di gestione collettiva e delle entità di gestione indipendenti (secondo l’elenco redatto da Agcom, come previsto dalla delibera n. 396/17/Cons, ex articolo 5 comma 1, aggiornato al dicembre 2020): Afi – Associazione Fonografici Italiani, Artisti 7607 Società Cooperativa, Audiocoop, Evolution srl, Federintermedia, Getsound srl, Itsright srl, Lea-Liberi Editori Associati, Nuovo Imaie, Scf srl, Siae – Società Italiana degli Autori ed Editori, Videorights srl

Sulla stampa e sui media, è talvolta emersa la “querelle” tra Siae e Soundreef spa alias Lea (semplicisticamente rappresentate la prima come storica ed autoreferenziale e la seconda come l’alternativa che piace ai rapper…), ma la questione è veramente molto intricata e meriterebbe migliore attenzione da parte di tutti coloro che credono che debba essere un criterio “ecologico” (e non soltanto “economico”) a governare le industrie culturali e creative.

Che la questione sia veramente controversa è confermata dalla decisione assunta nell’aprile del 2019 dal Tar del Lazio, che aveva sospeso il giudizio promosso da Siae contro Agcom e nei confronti di Lea e Soundreef, avendo ritenuto rilevanti e non manifestatamente infondate le sollevate questioni di legittimità costituzionale… Il 13 luglio 2020 è stata depositata una sentenza giustappunto della Corte Costituzionale (relatore Giuliano Amato) che ha sancito che è legittimo il ricorso da parte del Governo alla decretazione d’urgenza per disciplinare l’intermediazione del diritto d’autore, anche in favore di organismi di gestione collettiva diversi dalla Siae. Di fatto, questa sentenza ha confermato l’eliminazione del cosiddetto “monopolio” della Siae (su queste tematiche si rimanda a “Key4biz” del 12 aprile 2019, “Siae-Soundreef, lo storico accordo cambierà l’economia del diritto d’autore in Italia?”).

L’economia del diritto d’autore, in Italia, permane comunque una landa non adeguatamente esplorata, e restano numerose zone d’ombra… Abbiamo già denunciato su queste colonne anche questo “deficit di trasparenza” (vedi “Key4biz” del 28 febbraio 2020, “Copia privata (che non è l’equo compenso), strumento di lotta alla pirateria o balzello anacronistico?”).

Quel che è sicuro è che lo sviluppo delle piattaforme “streaming” arricchisce sicuramente più le multinazionali che le gestiscono che il tessuto creativo degli autori e degli artisti…

Eppure andrebbe sviluppata una politica culturale e mediale che corregga questa asimmetria crescente, e rafforzi le capacità del “sistema degli autori” nei confronti degli “oligopolisti di internet”.

Le conseguenze della “rivoluzione digitale” nell’economia del lavoro creativo e culturale non sono state ancora studiate con adeguata attenzione, soprattutto in Italia: sulla base di ricerche dell’Istituto italiano per l’Industria Culturale (IsICult), l’intera “classe intellettuale” sta andando incontro a processi di continua e strisciante depauperizzazione, in questa nuova fase del capitalismo digitale. La retorica della “disintermediazione” liberatoria cozza con la realtà dei fatti: l’anima creative delle industrie culturali si impoverisce sempre di più…

Riaprono i cinematografi a maggio? Il dossier è in mano al Capo di Gabinetto del Mic Lorenzo Casini

La notizia non è stata, stranamente, rilanciata da nessun quotidiano su carta, e soltanto qualche giornalista particolarmente attento l’ha evidenziata (Davide Turrini sulla versione web de “il Fatto Quotidiano”): l’edizione di ieri giovedì 8 aprile della newsletter della Direzione Cinema e Audiovisivo (“DgcNews”), retta da Nicola Borrelli, ha segnalato che “c’è un piano per la riapertura delle sale a maggio. Si sta ragionando su test da praticare, come quelli effettuati in Spagna, a Barcellona”.

In Spagna, le sale cinematografiche e teatrali sono state autorizzate a riaprire da marzo 2021, e, secondo la affidabile testata internazionale “ScreenDaily”, è già attivo un 45 % degli schermi, con diverse limitazioni di capienza, a seconda delle regole sviluppate dalle singole autorità regionali…

Attualmente i cinematografi sono aperti in Svezia e Norvegia, in Islanda ed in Lussemburgo, in Bulgaria, Serbia, Croazia, Russia… Nel Regno Unito, la riapertura è attesa per il 17 maggio… In Francia, il Presidente Emmanuel Macron ha annunciato la riapertura dei luoghi della cultura da maggio…

Secondo alcune previsioni, in Italia, da lunedì prossimo 12 aprile ci potrebbero essere radicali “cambi di colore” nelle Regioni, e quasi tutta l’Italia potrebbe essere marchiata “arancione”: la Lega sta facendo pressione, all’interno della maggioranza di governo, per accelerare le riaperture, e la Ministro per gli Affari Regionali Maria Stella Gelmini (Forza Italia) ha dichiarato “maggio sarà il mese di ritorno delle attività economiche, con la speranza di riaprire qualcosa prima anche ad aprile, già dal 20 aprile”.

Ieri l’altro mercoledì 7 aprile, c’è stato un incontro del Ministro Dario Franceschini (Pd) e della Sottosegretaria Lucia Borgonzoni (Lega) con la Commissione Beni e Attività Culturali della Conferenza delle Regioni, durante il quale – ha rivelato la Coordinatrice Tiziana Gibelli (Assessore alla Cultura della Regione Autonoma Friuli Venezia Giulia, Forza Italia) – è stato annunciato un nuovo “protocollo” (dopo quello che avrebbe consentito teoricamente l’apertura fin dal 27 marzo), che sarà comunque sottoposto alla spada di Damocle del Comitato Tecnico Scientifico (che non ha finora brillato per specifica competenza in materia)…

Il 29 marzo il Ministro della Cultura ha scritto al collega Roberto Speranza (Pd) per sollecitare un incontro col Cts per sottoporre giustappunto il nuovo protocollo…

Il dossier “cinematografi” sarebbe nelle mani del Capo di Gabinetto del Ministero della Cultura, l’avvocato Lorenzo Casini, e sarebbero allo studio tre protocolli, che potrebbero portare la soglia di capienza dal 25 % al 40 se non addirittura al 50 %: la questione della “soglia” minima è effettivamente essenziale, perché, se dovesse essere stabilita (confermata) dal Governo quella del 25 %, è impraticabile una reale ripartenza delle attività…

Si ricordi infatti che il 26 febbraio scorso, il Cts aveva accettato la proposta del Ministro della Cultura Dario Franceschini di riapertura di cinema e teatri dal 27 marzo (che è stata anche la “Giornata Mondiale del Teatro” e voleva porsi quindi come data-simbolo), imponendo dei paletti discretamente rigidi: nelle sale sarebbe stato possibile occupare solamente il 25 % dei posti disponibili ed avere un limite massimo di capienza di 200 posti per teatri e cinema al chiuso (400 invece per quelli all’aperto), riducendo così di molto i numeri della proposta iniziale. E le sale si sarebbero potute aprire unicamente nelle Regioni che si trovano in “zona gialla”.

Nel nuovo “protocollo” in gestazione, tra le ipotesi per consentire l’accesso nei cinematografi, aumentando la “soglia minima” (verso il 50 %) ci sarebbero un tampone prima di entrare in sala, la mascherina Ffp2 da acquistare all’ingresso, e comunque un sistema di areazione importante…

Con queste premesse, temiamo che le sale cinematografiche italiane non verranno esattamente prese d’assalto, peraltro con la primavera che invita a godersi gli spazi all’area aperta (nonostante le restrizioni alla libertà di movimento, che pure dovrebbero in gran parte venire meno giustappunto a fine aprile)…

Oggi pomeriggio il Responsabile Cultura di Fratelli d’Italia, il deputato Federico Mollicone, ha dichiarato che “la paventata ipotesi di obbligatorietà del tampone per accedere agli spettacoli e alle attività culturali, quando riapriranno, pregiudicherebbe ancora di più l’economia della cultura, oggi allo stremo”. Ha ragione. “Chiediamo al Sottosegretario Borgonzoni – ha aggiunto – l’immediata convocazione, diviso per categorie, integrato dai rappresentanti delle Regioni, del tavolo sulla cultura in crisi, istituito grazie a un ordine del giorno di Fratelli d’Italia, per definire le modalità e il cronoprogramma delle riaperture. Ogni categoria ha le proprie specifiche necessità, e vanno valutate caso per caso, sul modello delle crisi industriali adottato dal Mise. Va superato il limite fisso di capienza dei teatri, dei cinema e dei luoghi all’aperto, e garantita almeno la capienza dei due terzi”.

L’Arena di Verona come “modello” nazionale?! 6.000 spettatori, posti singoli e distanziati, mascherine Ffp2 per tutti… Ma ci sarà la benedizione del Comitato Tecnico Scientifico?!

Va segnalato che sabato scorso 3 aprile è stato annunciato un protocollo sperimentale che potrebbe essere preso a modello, definito dall’Arena di Verona per la riapertura per la stagione estiva: posti a sedere numerati per 6.000 spettatori (il doppio dell’anno scorso), 16 arcovoli destinati agli ingressi scaglionati del pubblico, mascherine di tipo Ffp2 per tutti, distanziamento per artisti e orchestrali e tempi ridotti al massimo nel “backstage”. Posti a sedere singoli e distanziati, così suddivisi: 1.196 in platea, 1.554 su gradinata bassa, 3.250 su gradinata alta. Il tutto sorvegliato e controllato da personale dedicato ad ogni fase “pre” e “post” spettacolo: “siamo pronti a riaprire i cancelli e diventare il modello italiano per la ripresa degli eventi dal vivo, grazie ad un protocollo pilota con nuove capienze e regole”, ha sostenuto il Sindaco di Verona, Federico Sboarina (Forza Italia), che presiede la Fondazione Arena. “Il tutto – ha aggiunto – studiato nei minimi dettagli, dal montaggio del palcoscenico, alle prove, fino al deflusso del pubblico e alle pulizie“.

Si tratta di un documento di oltre 50 pagine (sic) che il Comune, insieme a Fondazione Arena e Arena di Verona srl (la società che gestisce gli eventi “extra lirica”), ha predisposto in accordo con il Sottosegretario alla Cultura Lucia Borgonzoni (Lega), e che è alla firma del Presidente della Regione, Luca Zaia.

Anche in questo caso, però, ci si domanda: ci sarà la benedizione del Comitato Tecnico Scientifico e della Cabina di Regia, che ormai dettano legge?! Dati i precedenti, si nutre scetticismo.