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Iran, ultimatum a Telegram & Co: server nel paese entro un anno

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Le aziende straniere che offrono servizi di messaggistica devono trasferire tutti i dati e le attività relative ai cittadini iraniani su server ubicati nel paese per poter continuare la loro attività.

Mentre infuria la polemica, rilanciata dal New York Times, sulla fornitura da parte di svariate aziende europee (tra cui la tedesca Finfisher e l’italiana Hacking Team) di sistemi di sorveglianza delle comunicazioni che permettono ai regimi autoritari – dall’Etiopia agli Emirati Arabi – di intimidire i dissidenti, fa discutere la decisione dell’Iran di imporre alle società che forniscono strumenti di messaggistica di trasferire i dati su server basati nel paese.

L’Iran è uno dei paesi che esercita la più rigida repressione in materia di libertà dell’informazione. Internet e le comunicazioni digitali sono accusati di ledere la morale islamica. Nonostante le recenti aperture del ministro della Cultura Ali Jannati, l’uso delle più utilizzate (Telegram, Whatsapp, Facebook) è fortemente ristretto. Un sistema di filtri – noto come ‘Intelligent Filtering’ – rende irraggiungibili il 70% dei siti esistenti e l’accesso alla rete è ancora relativamente proibitivo per la gran parte della popolazione. Non a caso, il paese occupa uno degli ultimi posti, il 169esimo su 180, nella classifica sulla libertà di stampa di Reporters sans Frontieres.

Nonostante i controlli, tuttavia, gli utenti riescono ad aggirare i filtri e questo causa, secondo le autorità, gravi disagi socio-culturali.

E così, riferisce Reuters, il 29 maggio il Consiglio supremo del Cyberspazio ha stabilito che “le compagnie straniere che offrono servizi di messaggistica devono trasferire tutti i dati e le attività relative ai cittadini iraniani su server ubicati nel paese per poter continuare la loro attività”.

Il Consiglio è composto da membri scelti direttamente dal leader supremo iraniano, l’Ayatollah Ali Khamenei, ha dato alle aziende straniere un anno di tempo per conformarsi alla richiesta che riflette “linee guida e preoccupazioni del leader supremo”.

Tra le app più utilizzate nel Paese, e che quindi potrebbe subire più di altre le implicazioni di questo aut-aut c’è Telegram, usata da circa 20 milioni di iraniani, su una popolazione totale di 80 milioni.

Diverse volte, in passato, le autorità iraniane hanno arrestato giornalisti e attivisti, tra questi un ex corrispondente della BBC, e hanno preso il controllo del loro account Telegram usando come cavallo di Troia per inviare spyware ai contatti e controllare le loro comunicazioni.

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