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Internet, il cloud non regge più? Aziende sempre di meno ma sempre più grandi

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Le maggiori aziende del cloud computing stanno finalizzando negli ultimi mesi una complessa serie di acquisizioni e operazioni di consolidamento aziendale, che porteranno a una concentrazione sempre maggiore di tutta l’infrastruttura della rete nelle mani di pochi. Cosa significa? Che un blackout potrebbe mandare internet Ko.

Rubrica settimanale SosTech, frutto della collaborazione tra Key4biz e SosTariffe. Per consultare gli articoli precedenti, clicca qui.

Martedì 8 giugno, verso le 13 italiane, abbiamo assistito all’incipit di un romanzo distopico: uno dopo l’altro, alcuni tra i siti più importanti di mezzo mondo – da Amazon alle homepage del New York Times e del Guardian (in Italia Corriere della Sera e Gazzetta dello Sport), da Reddit a Twitch –  sono diventati di colpo irraggiungibili, mostrando uno scarno messaggio di errore a chi cercava di visitarli. Il tutto è durato pochi minuti, ma in quel breve lasso di tempo parecchi hanno fatto correre l’immaginazione, fantasticando di attacchi hacker coordinati in tutto il mondo, crollo della rete Internet così come la conosciamo, prossima fine della civiltà moderna. In realtà la spiegazione, per quanto più prosaica, è stata se possibile ancora più improbabile: un singolo utente di Fastly – uno dei più grandi provider di infrastrutture cloud del mondo – cercando di cambiare le proprie impostazioni ha inavvertitamente attivato una falla nel sistema, abbattendo in un colpo solo l’85% di tutta la rete del fornitore e mandando nel panico mezzo pianeta.

Fastly ha dichiarato che in meno di un’ora il 95% della propria rete è stato ripristinato, ma un po’ tutti ci siamo fatti una domanda: è possibile che Internet, la più straordinaria invenzione degli ultimi decenni nonché un mezzo di comunicazione ormai vitale e indispensabile (soprattutto dopo l’esperienza della pandemia), sia così fragile? Possibile che basti una normalissima operazione da parte di una sola persona, in buona fede, per creare tanti problemi? Che garanzie abbiamo che in futuro non capiti più una cosa del genere, magari per una durata molto superiore e con conseguenze ben più gravi? Quest’anno è la terza volta che accade, anche se mai con questa capillarità, per problemi di Cloudflare e Amazon Web Services. E inoltre: è possibile che una sola compagnia, Fastly, che a parte gli specialisti in pochi fino ad ora avevano sentito nominare, sia così vitale per la Rete?

Il cloud computing: sempre di meno, sempre più grandi

Se è vero che le connessioni in fibra ottica, FWA e anche le residue ADSL hanno smesso da tempo di essere un lusso e sono diventate importanti quanto le altre utenze basilari, dall’elettricità al gas (su SOSTariffe.it si possono trovare sempre le offerte più convenienti al momento disponibili sul mercato), è evidente che un guasto alla Rete globale non possa essere considerato alla stregua di un trascurabile incidente di percorso. Fastly ad esempio ha tra i suoi clienti Stripe e Shopify, due tra i più utilizzati sistemi di pagamento e interfacce per l’e-commerce su Internet: questa volta non è capitato, ma il rischio è che una transazione effettuata proprio quando questi strumenti diventano non più disponibili possa “disintegrare” lo scambio di denaro digitale, con danni per miliardi. Addirittura un noto sito di news informatiche, The Verge, ha avuto l’idea di continuare a offrire i suoi contenuti su Google Docs: il problema è che nessuno ha pensato anche a regolare i permessi e così migliaia di utenti hanno cominciato a modificare le pagine come se si trattasse di articoli di Wikipedia.

La cosa veramente preoccupante – oltre alla dimensione di quest’ultimo blackout – è che incidenti simili sono sempre più frequenti e di impatto globale, tanto che le prospettive per il futuro non sono affatto rassicuranti: uno dei motivi è che le maggiori aziende del cloud computing stanno finalizzando negli ultimi mesi una complessa serie di acquisizioni e operazioni di consolidamento aziendale, che porteranno a una concentrazione sempre maggiore di tutta l’infrastruttura della rete nelle mani di pochi. Sulla carta, è una situazione razionale e auspicabile; se ad esempio è necessario implementare un nuovo standard di sicurezza, avendo pochi provider lo si può fare in un tempo relativamente molto breve. L’altro lato della medaglia è che, appunto, se c’è un guasto le conseguenze vengono amplificate come le onde di un sasso lanciato nello stagno, arrivando a rendere indisponibili siti e servizi che almeno a una prima occhiata non sembrano avere nulla in comune – a parte, appunto, l’infrastruttura che fa loro da supporto.

I servizi CDN e l’Internet “always on”

Fastly offre servizi CDN ai suoi clienti (da Amazon a Deliveroo): senza addentrarci troppo nei dettagli, ciò significa che i siti più visitati al mondo non offrono solo le “loro” pagine sui server che li ospitano, ma, grazie ai servizi CDN, anche copie delle pagine stesse, sempre aggiornate, che “avvicinano” il contenuto all’utente su base geografica e su scala globale: per evitare che ci siano ritardi se, poniamo, dall’Italia dobbiamo visitare una pagina su un server neozelandese, possiamo accedere a una sua copia su un data center italiano, che la rende fisicamente molto più vicina a noi. Si tratta, per un comune utente, di una differenza di una frazione di secondo, ma moltiplicata per l’enorme numero di visualizzazioni ogni giorno nel mondo, e applicata a siti che sono sempre più “pesanti” soprattutto per le connessioni meno aggiornate (con video, immagini ad alta risoluzione, audio e così via), la differenza è decisamente sensibile. È il prezzo da pagare per non navigare più come negli anni Novanta, quando i primi pioneristici siti ospitavano solo sui propri server i contenuti che rendevano disponibili agli utenti (e questo si traduceva in attese di interi minuti).

Inoltre, in caso di guasto passare da un provider all’altro (da Fastly a Cloudflare, ad esempio) è fattibile sulla carta, ma tutt’altro che semplice. Come ha dichiarato ad ABC News Doug Madory, esperto di infrastrutture di rete presso Kentik, “Se Fastly fosse stata fuori gioco per un intero giorno, sarebbe stato un grosso problema”. Secondo Josh Cheesman, analista di Gartner Inc., «con un guasto della durata di giorni, intere aziende potrebbero essere costrette a chiudere». Per fortuna, ha aggiunto Madory, “Possono passare anni tra due incidenti di questo tipo per un fornitore di servizi cloud, e credo che per il prossimo futuro continueremo a vedere questi eventi molto rari, ma di grande impatto”. Difficile pensare a delle contromisure efficaci: insomma, toccherà conviverci. Vivere costantemente avendo a portata di mano dispositivi come gli smartphone, a tutti gli effetti dei micro-computer diventati indispensabili proprio quando hanno cominciato a potersi collegare quasi senza limiti alla Rete, ci abitua male, come ha fatto notare David Vaskevitch, CEO dell’app Mylio ed ex CTO di Microsoft. “Internet è sempre lì. Finché non c’è”.