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Intelligenza artificiale, i sì e i no in due report. I rischi? Non solo la disoccupazione

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Il report di Microsoft contro quello dell'Università di Stanford. Due analisi a confronto riguardo l'intelligenza artificiale.

Rubrica settimanale SosTech, frutto della collaborazione tra Key4biz e SosTariffe. Per consultare gli articoli precedenti, clicca qui.

Per liquidare tutto con un battuta, si potrebbe dire che l’intelligenza artificiale per ora non ha bruciato troppi posti di lavoro ma ne ha creati parecchi, visto che si tratta del contenuto di ambito digitale più richiesto per report, analisi, studi che si concentrano su diversi aspetti per cercare di dare un quadro il più possibile chiaro della vera tecnologia disruptive dei nostri tempi dai tempi della nascita di Internet. Su questo argomento è anche la parte del Work Trend Index 2023 di Microsoft che si concentra sulla possibilità di delega di diverse (ma quante?) attività lavorative proprio all’intelligenza artificiale. Secondo il CEO Satya Nadella, «c’è un’enorme opportunità affinché gli strumenti basati sull’AI siano in grado di contribuire ad alleviare il cosiddetto “debito digitale”».

La premessa del report di Microsoft rispetta in pieno lo spirito del tempo, e sicuramente più di una ragione ce l’ha, ma è allo stesso tempo trendy: si lavora troppo, non si riesce più a bilanciare l’equilibrio tra casa e ufficio, sempre più persone preferiscono rinunciare a una parte del loro stipendio in cambio di una maggiore quantità di tempo libero, tutto ciò che porta fino al fenomeno della great resignation di cui tanto si è parlato (a proposito degli Stati Uniti, meglio chiarirlo) negli ultimi tempi. È ovvio che per supplire a questa richiesta di produttività che gli uomini sembrano sempre meno propensi a garantire l’AI potrà giocare un ruolo cruciale, e il risultato delle 31.000 interviste in 31 diversi Paesi da parte di Microsoft sembra confermarlo: con l’ovvio disclaimer che il colosso di Redmond ha investito in OpenAI solo quest’anno dieci miliardi di dollari (e la piattaforma gira su una supermacchina cloud Microsoft Azure).

I meeting: a che servono davvero?

Due persone su tre, per cominciare, dicono di fare fatica a trovare il tempo per concentrarsi sul proprio lavoro, sommersi come sono di email, meeting, chat e tutto ciò che ha a che fare più con il lato organizzativo (quando non è del tutto inutile) rispetto alla vera produttività: è questo il debito digitale, che secondo il report ha un costo molto elevato in termini di creatività e di apporto di ciò che solo l’essere umano può dare a un’azienda. I dati a supportare questa affermazione in effetti ci sono, perché – come del resto può testimoniare più o meno chiunque lavori in un ufficio privato o nell’amministrazione pubblica – negli ultimi anni c’è stato un notevole incremento delle ore lavorate in totale e ogni giorno, oltre che del tempo passato nelle riunioni: un’eredità anche del Covid, che è certamente indispensabile per un’implementazione corretta dello smart working lontano dal luogo abituale del lavoro ma che in qualche caso ha un po’ preso la meno, costringendo a lunghe ore passate su Teams o su Zoom per non concludere poi molto, a parte i saluti e gli addii. Il 25% degli utenti che fanno più ricorso alle email dedica alla posta elettronica addirittura 8,8 ore a settimana, mentre lo stesso percentile in materia di meeting passa sette ore e mezzo nelle riunioni digitali. Queste, tra l’altro, presentano diversi problemi intrinseci: per il 58% il brainstorming è molto difficile da fare durante un meeting di questo tipo, per il 57% arrivare in ritardo rende molto difficile recuperare il terreno perduto e capire di che si sta parlando, per il 55% i prossimi passi da fare decisi durante la riunione non sono chiari e per il 56% è difficile riassumere esattamente che è successo.

Gli stanchi sono più numerosi degli spaventati

Poi il report tocca il cuore del problema e l’interrogativo che ci facciamo tutti: l’intelligenza artificiale prenderà il nostro posto sul lavoro? Secondo Microsoft, è più corretto parlare di un’«alleanza tra IA e lavoratori»; se è vero che, stando alle risposte degli intervistati, il 49% di loro è preoccupato di perdere il posto in favore dell’intelligenza artificiale, la percentuale di chi vorrebbe delegare più lavoro possibile alla IA stessa per alleggerire il proprio carico è più alta, il 70%. Per la precisione, il 76% non avrebbe problemi a sfruttare l’intelligenza artificiale per compiti amministrativi, il 79% per lavoro analitico e, nel 73% dei casi, addirittura quello creativo. Tra i servizi più desiderati, la possibilità di trovare al volo le informazioni richieste, con molta più flessibilità rispetto a un normale motore di ricerca (e proprio per questo Bing è stato di recente potenziato proprio grazie a ChatGPT), riassumere il contenuto delle riunioni (80%) e aiutare a organizzare la giornata lavorativa (77%). Il tutto anche utilizzando gli assistenti in versione mobile, raggiungibili ovunque e in ogni momento della giornata (su SOStariffe.it intanto si possono confrontare le tariffe più interessanti per la telefonia mobile e Internet mobile).

I rischi? Non solo la disoccupazione

L’altro lato della medaglia, e della rosea visione di Microsoft, è quello dei rischi e dei pericoli che sono legati all’uso dell’intelligenza artificiale, anche non considerando il terremoto che nei prossimi anni sconvolgerà, nel bene o nel male, il mercato del lavoro. Da poche settimane è infatti stato pubblicato anche l’AI Index Report dell’Università di Stanford, che oltre a evidenziare la crescita esponenziale degli investimenti, degli usi e più in genere dell’interesse verso questa tecnologia, mette in guardia sui suoi inevitabili rischi. Per cominciare, l’impatto ambientale, visto che secondo alcuni studi addestrare un modello per l’intelligenza artificiale produce emissioni di carbonio 25 volte superiori a quelle di un singolo passeggero in volo da New York a San Francisco. Aumentano anche gli incidenti legati alla IA: di 26 volte, rispetto al 2012, e se non si ha l’idea di quanto possano essere impattanti questi guasti o volontarie truffe, basti pensare al video deepfake con il presidente dell’Ucraina Zelensky che in una conferenza stampa dichiara la resa alla Russia: conferenza stampa ovviamente mai esistita. A tutto questo si aggiungono i problemi di etica della macchina, come i pregiudizi e i bias nei dataset utilizzati dai motori di intelligenza artificiale (l’esempio più classico sono le fake news che ChatGPT e i vari epigoni prendono dal web, tutt’altro che un’autorità universale su ogni argomento, senza un’adeguata distinzione tra le fonti atttendibili e quelle che proprio non lo sono). E anche il fact-checking automatizzato è ancora decisamente da rivedere.

Per approfondire

  • Per scaricare il report di Microsoft clicca qui.
  • Per scaricare il report dell’Università di Stanford clicca qui.