IA e guerra

Intelligenza artificiale e difesa militare, il Pentagono accelera con il programma Replicator

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Nell’ambito di uni sforzo proattivo per fortificare il proprio apparato tecnologico, il governo statunitense sta accelerando lo sviluppo di strumenti di IA all’avanguardia.

Nella corsa allo sviluppo dell’intelligenza artificiale in ambito militare, con particolare riferimento alle armi letali autonome, gli Stati Uniti allungano il passo, fermo restando che, per quanto rapido, il processo d’adozione dell’IA dovrà essere supportato da un impegno di limitazione e prevenzione dei pericoli ad essa collegati (leggasi, in particolare, la nuova paura sbloccata a tema intelligenza artificiale in merito alla sua capacità di controllare le armi nucleari).

Con uno sforzo proattivo volto a fortificare l’arsenale tecnologico della nazione, il Pentagono sta accelerando sullo sviluppo di strumenti di IA all’avanguardia, per trasformare radicalmente l’approccio contemporaneo ai conflitti. A questo proposito, il vicesegretario alla Difesa degli Stati Uniti, Kathleen Hicks, ha precisato che il Pentagono dispone già di 800 progetti di intelligenza artificiale in corso e sta assistendo “un mese dopo l’altro a miglioramenti a livello tattico” sia nell’IA sia nei flussi di dati che la alimentano.

Il programma Replicator

Il Pentagono si sta impegnando a mettere in campo migliaia di sistemi d’arma e veicoli autonomi entro il prossimo biennio – basti pensare che il Dipartimento della Difesa ha richiesto 1.8 miliardi di dollari per l’intelligenza artificiale per l’anno fiscale 2024 –, come parte di un nuovo progetto per competere meglio con la Cina e la Russia ed è ben noto che la corsa al digitale abbia connotati immediatamente geopolitici. In tal senso la direttrice dell’Intelligence nazionale degli Stati Uniti, Avril Haines, ha ammonito: “Cina e Russia sfruttano l’IA per la repressione digitale”. Annunciato alla conferenza sulle tecnologie emergenti della National Defense Industrial Association, in particolare il programma Replicator, volto a scoraggiare un’invasione cinese di Taiwan, “stimolerà i progressi nello spostamento troppo lento dell’innovazione militare statunitense verso piattaforme piccole, intelligenti, economiche e numerose”, ha dichiarato Hicks. Si tratta di una grande rete – che verrà istituita prima del settembre 2025 – formata da migliaia di droni volanti, a terra, marini e sottomarini (potenzialmente pure in orbita) guidati dall’IA, capaci di muoversi in sciame oppure di operare da soli qualora le comunicazioni con le basi lontane risultassero complicate (se non impossibili). La stessa rete custodirà sia sistemi in grado di ingaggiare il bersaglio (ovviamente non in autonomia, ma sempre previa conferma ultima da parte di un essere umano) sia elementi contraddistinti in modo esclusivo da capacità ISR (“Intelligence, Surveillance and Reconnaissance”).

L’IA sta cambiando la guerra

Va da sé che Replicator non rappresenta il primo esperimento di questo tipo con il coinvolgimento del Pentagono. Da tempo, infatti, Washington collabora con vari partner mediorientali (da Tel Aviv a Riad) agli sforzi della Task Force 59 (TF59) della Marina degli Stati Uniti, mirando a costituire una rete centralizzata di droni e sensori volta al monitoraggio delle attività militari iraniane nella regione che spazia dal golfo persico alla Siria. E ancora, da fine agosto – secondo quanto riportato dall’agenzia Bloomberg citando il Pentagono – le truppe ucraine hanno in uso Vampire, sistema anti-droni americano che fa leva su dimensioni contenute, costo ridotto e trasporto agevole, finalizzato a contrastare i droni kamikaze di fabbricazione iraniana che i russi utilizzano per sabotare e distruggere le infrastrutture energetiche e civili ucraine.

Droni, reti neurali, armi letali autonome: l’intelligenza artificiale sta mutando proprio sull’opportunità di integrare in maniera effettiva i componenti di Replicator all’interno del preesistente apparato militare statunitense. E anche in materia economica permane più di un dubbio. Ad esempio, Kevin Decker, CEO di una delle società produttrici dei sistemi impiegati dalla Task Force 59, ritiene il budget di “centinaia di milioni di dollari” calcolato dalla Hicksin grado di fornire soltanto centinaia del numero complessivo di droni oceanici di cui abbiamo bisogno per stabilire una vera deterrenza nei confronti della Cina e di altri avversari”.