Il Report

Inquinamento e siccità, questa estate dove andremo a farci un bagno? I dati per Roma e il Lazio

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Litorale romano a tratti un pericolo per la salute dei cittadini. Molto meglio la provincia di Latina secondo i primi risultati di Goletta Verde. Tra siccità, inquinamento e cambiamenti climatici la tenuta idrogeologica del nostro territorio sempre più a rischio.

Se continua così, da Mare nostrum passeremo in pochissimi anni a Mare mortum o monstrum. Su 265 campioni di acqua analizzati, il 52% è risultato contenere cariche batteriche elevate e un punto di prelievo su cinque è risultato soffrire di inquinamento cronico. Circa 25% della popolazione italiana ancora non coperta da depurazione.

Sono solo alcuni dei dati contenuti nel Rapporto Goletta Verde di Legambiente dell’anno passato. Ripartita il 18 giugno scorso, la storica imbarcazione farà anche quest’anno un nuovo giro delle nostre coste martoriate, fino al 12 agosto, alla ricerca di quelle dove è ancora possibile fare il bagno in un ambiente pulito e soprattutto sano.

Tra i primi risultati delle analisi d’acqua marina (regione per regione) ci sono quelli del Lazio, che come al solito si posiziona malissimo: “dei 23 punti monitorati lungo le coste laziali, più del 50% sono risultati con valori di inquinanti elevati e addirittura per nove di questi il giudizio è di “fortemente inquinato”. In questi luoghi non c’è alcun segno di miglioramento, anzi peggiorano di anno in anno”.

Questo il commento dei ricercatori, che poi elencano i luoghi sul litorale romano e laziale dove è davvero sconsigliabile farsi un bagno in questa estate italiana iniziata tra caldo e siccità: la foce del Fosso Grande ad Ardea e la foce del fiume Marta a Tarquinia (per l’ottavo anno consecutivo risultano fortemente inquinati); la foce del rio Santacroce di Gianola – Formia (settimo anno consecutivo); la Foce fiume Tevere a Ostia (sesto anno); ad Ardea la Foce del Rio Torto fortemente inquinata (sesta volta in sette anni); foce del canale Crocetta a Torvajanica (quattro anni).

Esempi di cattiva amministrazione, di pessimo comportamento da parte di cittadini e imprenditori, ma anche un chiaro esempio di come si possa distruggere un ambiente naturale in maniera definitiva o quasi: come riportato tra parentesi, sono evidenti gli anni consecutivi di inquinamento dei tratti di costa, così come dei canali e dei corsi d’acqua che dall’entroterra arrivano al mare (e qui sul banco degli imputati salgono anche gli agricoltori e gli allevatori).

Ai rifiuti speciali urbani e industriali, agli olii esausti, alla classica plastica, ai rifiuti da cantiere edile, ai fertilizzanti e gli agenti chimici usati in agricoltura, agli scarichi provenienti dagli allevamenti di animali, si aggiungono le fognature che arrivano dritte al mare: “nel nostro Paese circa il 25% delle acque di fognatura viene scaricato in mare, nei laghi e nei fiumi senza essere opportunamente depurato”, ha affermato Serena Carpentieri, responsabile Campagne di Legambiente

Partecipando alla conferenza mondiale delle Nazioni Unite sugli Oceani, Goletta Verde ha prodotto anche uno studio di 30 anni di analisi, esperienze e buone pratiche per salvaguardare la salute dei cittadini e quella del mare, evidenziando purtroppo come su ben 20 dei 23 punti di campionamento, sono stati trovati rifiuti di tutti i generi, specialmente quelli di plastica, nel 100% dei casi.

In sette di questi punti, si può parlare di vere e proprie discariche a cielo aperto: materassi, alberi di natale, sedie di plastica, rifiuti ingombranti abbandonati in loco ma, soprattutto, trasportati dai fiumi in mare.

Dove andare a fare il bagno allora?

In realtà in molti posti. Situazione molto migliore è quella riscontrata in provincia di Latina, dove l’unico campionamento risultato oltre i limiti di legge rispetto ai nove monitorati è stato quello alla foce del rio Santacroce a Gianola di Formia, risultato per il settimo anno consecutivo fortemente inquinato.

Nessun problema per i prelievi effettuati nei Comuni di Sabaudia, Terracina, Fondi e Gaeta.

Estate siccitosa

L’estate appena iniziata sembra essere particolarmente siccitosa per il Lazio, come anche per la bassa Toscana, la Campania, la Puglia, la Calabria, la Sicilia, la Sardegna, il Piemonte, l’area del Po, il Veneto. Le regioni adriatiche finora si sono salvate per gli ingenti quantitativi di neve caduti tra gennaio e febbraio, ma se la situazione non migliorerà sul finire di agosto possiamo decretare lo stato di emergenza per tutta la penisola.

Abbiamo avuto mediamente il 40% di pioggia in meno (ma in alcune zone si parla del 50%), in particolare al Nord Ovest, in molte aree della Val Padana (il livello del fiume Po è sceso di 5,5 metri sotto lo zero idrometrico, peggio della secca d’agosto del 2016), nel Lazio tutto, in Campania, in Sardegna, in Puglia, ma anche in Veneto si registra un 30% in meno di precipitazioni.

Prendendo come esempio Roma, negli ultimi sei mesi sono caduti 120 millimetri di pioggia, meno di un terzo di quella che mediamente cade sulla città.

Secondo calcoli approssimativi, mancano all’appello 20 miliardi di metri cubi d’acqua sull’intero territorio nazionale.

Le piogge degli ultimi giorni, soprattutto a Nord del Po e in alcune aree della Toscana, a poco serviranno se non seguite da altre precipitazioni, ma siamo a luglio, il mese tradizionalmente più secco dell’anno.

Siccità colpa dei cambiamenti climatici?

È presto per dirlo e comunque non sappiamo molto di questi fantomatici cambiamenti climatici, sulla bocca di tutti ma così difficili da individuare con certezza e misurare. Il clima cambia da sempre, da circa 2,5 miliardi di anni (fin lì è arrivata la paleoclimatologia), non si ferma mai, diciamo che a volte rallenta così tanto da sembrare tutto fermo (come è accaduto tra gli anni ’50 e i primi anni ’90 del secolo scorso).

Oggi sappiamo che la temperatura globale sta aumentando progressivamente (nel 2016 sulla superficie terrestre è stata più alta di 1,43 gradi rispetto alla media; quella della superficie marina ha registrato +0,75 gradi sopra la media), che la CO2 ha superato le 400 parti per milione (Ppm), che l’acidità degli Oceani sta aumentando, che in alcune aree del pianeta l’inquinamento è così forte da oscurare il cielo, rendere i campi incoltivabili e l’acqua non potabile.

Ogni mese che passa è il più caldo degli ultimi tempi (secondo il NOAA, maggio 2017 è stato il terzo più caldo di sempre dal 1880) e ogni anno che passa è il più caldo della media 1880-1990 (sempre NOAA e la NASA hanno certificato che il 2016 è stato l’anno più caldo di sempre dall’inizio delle registrazioni nel 1880).

Tanti segnali di qualcosa che non va, di qualcosa che sta cambiando sempre più rapidamente.

Se l’uomo sia o meno il primo artefice di tutto questo non siamo ancora in grado di stabilirlo con certennza (la CO2 e le temperature sono variati continuamente nel corso delle ere e anche in maniera netta e non per forza correlata), ma di certo la sua impronta ambientale è assolutamente insostenibile e da ridurre drasticamente, perché una cosa l’abbiamo capita: se l’inquinamento non è causa della febbre della Terra è di certo causa del decesso e delle malattie invalidanti di decine di milioni di persone ogni anno, in ogni parte del mondo (nel 2012 l’ Organizzazione mondiale della sanità riferì di 12,5 milioni di decessi dovuti all’inquinamento, una morte ogni quattro su tutto il Pianeta).