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‘Innovazione? Non bastano i Digital Champion, ma serve cultura’. Intervista a Giuseppe Corasaniti (La Sapienza)

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Intervista a Giuseppe Corasaniti, magistrato presso l’ufficio Innovazione della Corte di Cassazione e docente di informatica giuridica al Dipartimento di Informatica dell’Università ‘La Sapienza’.

Mastica le leggi in quanto magistrato e insegna informatica all’università. E’ ideale l’osservatorio sull’innovazione in Italia, in particolare nella giustizia, di Giuseppe Corasaniti, docente di informatica giuridica al Dipartimento di Informatica dell’università ‘La Sapienza’ e magistrato presso l’ufficio Innovazione della Corte di Cassazione.

Key4biz. Quale è lo stato della innovazione in Italia?

Giuseppe Corasaniti. L’Italia conserva stabilmente uno degli ultimi posti in Europa in materia di innovazione. Ci sarà un perché. E non si tratta solo di risorse. Si tratta, a mio parere, prima di tutto di cultura. Una cultura della innovazione nel nostro Paese tarda a manifestarsi. Non bastano gli slogan o gli zar, i commissari o i ‘campioni’ digitali, ma serve una cultura diffusa, accettata e praticata ad ogni livello. Basta con gli sperperi ‘digitali’ perché va costruita prima di tutto una cultura innovativa in pochi passi e con ampia condivisione di basi. Basta con una visione aziendalistica e semplicistica delle soluzioni pronte, ma teniamoci pronti tutti noi a contribuire ad un rinascimento tecnologico basato su fatti e sui risultati condivisi. Basta con le parole e le prediche inutili e puntiamo invece sul buon governo organizzativo e sulle scelte innovative ‘utili’, quelle più semplici e elementari, quei piccoli passi che ci fanno andare avanti, verso una innovazione vera e partecipata e non ‘indicata’ da piani ostentati e da una spesa pubblica che non conosce decenza e sobrietà e che sembra ignorare la funzionalità delle piccole cose delle quali si compone il vero progresso sociale ed economico. Basta infine, con la dissennata politica dell’outsourcing che ha contribuito non poco al considerare l’innovazione come un qualcosa di “esterno” alle istituzioni ed alle imprese, come un prodotto o un servizio da vendere e da comprare.

Key4biz. E quali sono le cause di questo ritardo?

Giuseppe Corasaniti. Le ragioni sono molte. Credo proprio che sia arrivato il momento di dire forte e chiaro che la digitalizzazione in Italia è stata un fallimento a causa di una concezione malintesa e superficiale dell’innovazione, che poi ha causato spese inversamente proporzionali ai risultati. Per innovare non è sufficiente cambiare le leggi: bisogna cambiare soprattutto il modo in cui ci si organizza, bisogna tradurre le procedure organizzative in schemi capaci di essere recepiti e da svolgere esclusivamente con metodi informatici. Ogni volta che immaginiamo una nuova regolamentazione dovremmo farci anche carico delle ricadute “digitali”, dovremmo essere capaci di una nuova visione organizzativa, che sia basata sull’informatica come metodo costante, in ogni settore. Se si procede per comparti, se non ci si pone il problema di una visione integrata e soprattutto di sistema fatto di esperienza collettiva e condivisa, credo che non ci sia troppo da meravigliarsi, che non ci sia proprio da indignarsi ma che dovremmo solo impegnarci tutti, ciascuno nel suo ruolo, per un sistema Paese diverso perché capace di produrre innovazione nel pubblico e nel privato.

Key4biz. Perché la digitalizzazione è stata frenata ?

Giuseppe Corasaniti. Digitalizzare deve sempre di più costituire la regola costante e di base, il modo ordinario di svolgere relazioni e rapporti, il metodo per comunicare dati e documenti in tempi rapidi e secondo schemi avanzati. Più si rallenta il percorso di digitalizzazione, più lo si formalizza o lo si burocratizza e meno i risultati saranno evidenti e disponibili, specie nel nostro Paese, che nasconde ancora una vera e propria diffidenza atavica nei confronti dell’uso di tecnologie digitali “in sostituzione” delle tecnologie analogiche e cartacee.

Key4biz. Quale è lo stato della innovazione nella giustizia?

Giuseppe Corasaniti. Immaginare una giustizia “digitale” significa forse tentare di dare al sistema giudiziario, alla magistratura ed all’avvocatura ed all’insieme delle professioni che si interfacciano nell’ordinamento giudiziario una prospettiva completamente innovativa. Ed è questa la “vera“ sfida del cambiamento.  Nessuna innovazione ha senso, in materia informatica, se si supera un periodo temporale minimo, l’informatica cambia dati, funzioni e sistemi nel giro di pochi mesi e richiede allora una attenzione ed una “formazione” innovativa completamente diversa, fatta di organizzazione agile, di partecipazione effettiva di tutti i soggetti interessati, di capacità di sviluppare soluzioni innovative originali sulla base delle esperienze maturate finora, diffondendone gli aspetti più utili e tenendo conto delle problematiche registrate in concreto. Nessuna innovazione ha senso, specie nella giustizia, se ci si muove separatamente o in modo isolato, se si pretende di “applicare” soluzioni informatiche imposte o recepite passivamente, non solo senza una analisi  organizzativa e funzionale adeguata, ma sostanzialmente riproduttive di una realtà cartacea e di una organizzazione analogica e sequenziale. Nessuna innovazione ha senso se non è, prima di tutto, condivisione e coinvolgimento attivo, intervento sulla cultura delle amministrazioni ed in particolare sulla amministrazione della giustizia perché moduli organizzativi siano resi più agili, a partire dall’uso costante della comunicazione digitale nelle forme più innovative, dall’analisi dei “big data”, dalla riscoperta della “giurimetrica”, cioè della vera e propria “misurazione” delle norme e dei sistemi giuridici di applicazione normativa in termini di efficienza, efficacia e funzionamento, tanto più in un sistema ormai omogeneo di fruizione avanzata dei “risultati” oggi reso possibile proprio dalla produzione e riproduzione digitale nel web “semantico” dei documenti giuridici.

Key4biz. Dunque quale è la sua proposta?

Giuseppe Corasaniti. E’ fondamentale “costruire”, anzi ricostruire, una cultura dell’informatica giuridica, finora relegata a disciplina marginale nei corsi di studio destinati a formare i soggetti professionali del mondo giudiziario e delle professioni legali. Si tratta di uno sforzo anche formalmente imposto dal nuovo Codice dell’amministrazione digitale, la cui applicazione è essenziale anche e soprattutto nel settore della giustizia, che non può più, credibilmente, essere connotato da una separatezza tanto incomprensibile quanto difficile da comprendere.

Key4biz. Quanto si è fatto sul processo telematico non è bastato?

Giuseppe Corasaniti. Lo sforzo ministeriale in questi anni è stato certamente intenso, ma non basta certo per costruire una cultura “collettiva” sul piano della digitalizzazione. E forse è il momento anche di ripensare tecnologicamente alcune piattaforme come il PCT (Processo civile telematico) troppo legate a software “proprietario” per sperimentare nuove e più efficaci forme di gestione interattiva, e soprattutto sicura, dei contenuti documentali anche nella prospettiva di una e-justice comunitaria. Anche per la giustizia assume così una importanza strategica la efficace predisposizione di contenuti dei siti web, centrali e territoriali, con la progressiva costituzione di “portali” avanzati attraverso i quali  possono essere promossi e sviluppati sul territorio progetti “aperti” per la  diffusione e al riutilizzo dei dati pubblici (Open data). E sono proprio i dati del sistema giustizia a poter diventare così sistematicamente, in tale prospettiva, un motore di cambiamento, un indicatore preciso dello stato e delle problematiche dei conflitti o dei disagi sul territorio ed insieme un preciso programma di ricerca innovativa. Dalle sentenze della Cassazione, peraltro già integralmente on line e disponibili in formato XML, oggi anche in formato ipertestuale europeo ECLI, fino alle sentenze dei giudici di pace sul territorio una prospettiva “di sistema” non può essere nemmeno sfiorata se non si parte dalle specificità di ogni centro di produzione di documenti giuridici, se non si individuano “indicatori” e “marcatori”  predeterminati e comuni mediante le funzioni informatiche oggi possibili. Si tratta di arrivare a quello che un compianto maestro dell’informatica giuridica, Renato Borruso, definiva “dato giuridico globale”, che oggi è possibile ricavare dal web semantico, se solo si avviassero iniziative concrete in questa direzione magari coinvolgendo stabilmente il mondo dell’università e della ricerca, allora davvero le prospettive sarebbero straordinarie.