guerra ibrida

Infrastrutture critiche tra minacce naturali e scelte dei governi

di Roberto Setola, professore ordinario presso la Facoltà di Ingegneria dell’Università Campus Bio-Medico di Roma e direttore del Master in Homeland Security UCBM |

La capacità degli operatori di infrastrutture critiche di gestire una situazione del genere è decisamente migliorata rispetto al 2003, quando abbiamo sofferto di problemi simili legati alle alte temperature e alla siccità. Ma questa volta si sono aggiunte complicazioni - Covid e guerra - a rendere lo scenario più complesso e integrato.

Pubblichiamo di seguito il primo editoriale del professor Roberto Setola nelle vesti di Editor in Chief dell’International Journal of Critical Infrastructure Protection, incarico che ha appena assunto.

L’autunno e l’inverno 2022 rappresenteranno in Europa un periodo molto impegnativo per gli operatori delle infrastrutture critiche. Essi si troveranno a dover gestire uno scenario molto complesso a causa della presenza contemporanea di una pluralità di minacce di origine naturali e antropica. 

Infatti, devono considerare il persistente degli effetti connessi con la pandemia di Covid-19 in termini di ridotta disponibilità di personale qualificato e di carenza di componenti e semi-lavorati su diverse catene di approvvigionamento a causa delle politiche di lockdown che sono adottate in Cina per contrastare l’epidemia e che implicano il blocco di interi settori produttivi in quella nazione e, di conseguenza, nei commerci internazionali.

Inoltre, il 2022 è stato l’anno più caldo degli ultimi due secoli con temperature molto elevate (fino a 40°C in gran parte dell’Europa) e con una grave siccità (in media si è registrata una riduzione del 50% delle precipitazioni). Questo ha comportato significative condizioni di stress per diverse infrastrutture, con la necessità di operare in condizioni critiche e con un aumento della domanda di sistemi di raffreddamento. Inoltre, la siccità non solo ha contribuito all’aumento degli incendi boschivi su larga scala, con un impatto immediato su molte strutture necessarie al funzionamento di queste infrastrutture, ma ha anche influito sulla produzione di energia elettrica a causa della ridotta disponibilità di acqua nei bacini per le centrali idroelettriche e, più in generale, dell’assenza di acqua nei fiumi da utilizzare per il raffreddamento delle centrali termiche. Purtroppo, i meteorologi sottolineano la possibilità, nell’immediato futuro, di eventi climatici estremi come trombe d’aria, tornadi, inondazioni, ecc. come già sperimentato in diversi Paesi europei, che possono creare ingenti danni a varie infrastrutture e alla popolazione.

Infine, in uno scenario di tempesta perfetta, la guerra tra Russia e Ucraina potrebbe provocare una ulteriore carenza molto significativa nelle forniture di gas. La Commissione europea ha già lanciato un piano per ridurre del 15% il consumo di gas in Europa, ma non è chiaro se tale taglio sarà sufficiente e diversi Paesi stanno prevedendo scenari più severi che prevedono il bloccando di specifici settori industriali e la riduzione generalizzata della qualità dei servizi, pur di risparmiare energia. Ciò avrà gravi effetti sul benessere della popolazione (a partire dalla temperatura interne delle abitazioni e dei luoghi di lavoro, ma anche su altri aspetti come la riduzione della potenza dei segnali idi telefonia mobile, il rallentamento della velocità di connessione ad internet, la riduzione nel numero dei treni giornalieri, ecc.). È ovvio che la chiusura di filiere industriali (come sta già accadendo per quelle ad alta intensità energetica) avrà conseguenze concrete sia sulla capacità di approvvigionamento di specifiche risorse, ma soprattutto in termini di impatto su un significativo numero di lavoratori, con effetti economici negativi.

Questo, insieme all’elevato costo dell’energia (decuplicato rispetto all’anno scorso), può creare un terreno fertile in cui i gruppi antagonisti possono cercare di sfruttare il malcontento popolare per “giustificare” azioni violente contro il “sistema”, a partire dal danneggiamento/sabotaggio di componenti delle diverse infrastrutture critiche individuati quali simboli interesse del potere economico e del governo. Infrastrutture che devono anche contrastare gli attacchi (informatici) di gruppi terroristici e/o sponsorizzati da StatI stranieri che intendono sfruttare la presenza di tali criticità per amplificare le conseguenze negative delle loro attività e creare paura, frustrazione e malcontento nella popolazione.

Ciò significa che gli operatori delle infrastrutture critiche avranno modi di verificare in concreto la loro preparazione in tema di gestione della resilienza. Si tratta, purtroppo, dello scenario perfetto per verificare quanto le strategie, i piani, le azioni e le conoscenze adottate siano adeguate a supportare la continuità operativa. A tal fine, gli operatori devono identificare i propri asset critici, adottare iniziative di sicurezza proattive per prevenire e contrastare le condizioni di pericolo, implementare strategie adattive per gestire situazioni impreviste e favorire un rapido recupero della funzionalità a valle di un qualunque evento negativo con l’obiettivo di continuare ad erogare i propri servizi alla popolazione anche in condizioni degradate. In una parola, devono essere resilienti da una prospettiva olistica, non solo rispetto a singole classi di minacce.

La capacità degli operatori di infrastrutture critiche di gestire una situazione del genere è decisamente migliorata rispetto al 2003, quando abbiamo sofferto di problemi simili legati alle alte temperature e alla siccità. Ma questa volta si sono aggiunte complicazioni – Covid e guerra – a rendere lo scenario più complesso e integrato. L’effetto delle interdipendenze tra catene di approvvigionamento, settori, Paesi è sempre più evidente e deve essere attentamente considerato per stimare le conseguenze negative di qualsiasi evento, come è possibile osservare esaminando agli effetti collaterali indotti da qualsiasi degrado che si verifichi in una qualsiasi delle infrastrutture critiche.

Questo ha conseguenze immediate sulle modalità con le quali sono identificazione di quali sono gli elementi più critici di ogni infrastruttura che non può essere effettuata esclusivamente con una visione utilitaristica del singolo operatore. Da qui la necessità di specifici approcci in grado di allocare in modo ottimale in una prospettiva olistica le scarse risorse, perché altrimenti le soluzioni saranno inefficaci e non in grado di garantire il benessere della popolazione.

Negli ultimi anni, abbiamo osservato una maggiore presa di coscienza della rilevanza dell’importanza della resilienza nella comunità delle infrastrutture critiche, grazie alla promozione di una cultura della resilienza e a un significativo sviluppo delle attività di ricerca e sviluppo.

In questo campo, l’International Journal of Critical Infrastructure Protection (IJCIP) rappresenta una delle vetrine più autorevoli dove le metodologie, le soluzioni e le tecnologie più innovative vengono proposte, analizzate, confrontate fornendo un punto di vista unico sull’essenza delle migliori pratiche e innovazioni in tema di protezione e la resilienza delle infrastrutture.

Seguendo questa linea, a partire da questo numero, abbiamo deciso che l’editoriale della rivista sarà uno spazio per sollecitare l’attenzione della comunità scientifica e dei professionisti sulle tendenze, le esigenze e i requisiti più rilevanti per promuovere concretamente un’efficace cultura della resilienza e fornire strumenti metodologici e tecnologici adeguati a contrastare le minacce naturali e antropiche e gestire efficacemente le situazioni di rischio.