Key4biz

Disoccupazione tecnologica: nell’UE a rischio ‘automazione parziale’ tra 40 e 70% dei lavori

L’espressione “disoccupazione tecnologica” (“technological unemployment”) è stata resa famosa nei primi anni ’60 del secolo scorso da John Maynard Keynes. Il celebre economista britannico, padre della macroeconomia e figura fondamentale della scienza economica del XX secolo, ammoniva l’Occidente sulle conseguenze negative che l’impatto dell’innovazione tecnologica avrebbe avuto sul mondo del lavoro.

il tema, nel tempo, è stato più o meno enfatizzato dai media e dall’opinione pubblica, praticamente fino ai giorni nostri, con la trasformazione digitale in corso e il dispiegamento di un’ampia gamma di tecnologie disruptive che necessariamente rivoluzioneranno il mondo del lavoro.

Il noto economista americano Jeffrey Sachs, ha affrontato diverse volte lo spinoso argomento della disoccupazione tecnologica e se da un lato la considera inevitabile, come inevitabile è il progresso tecnologico e l’impiego massiccio di macchinari intelligenti e ad elevato livello di automazione, dall’altro invita i Governi e le imprese a mettersi attorno ad un tavolo e a sviluppare politiche sociali mirate a limitare e contenere gli effetti drammatici della perdita del lavoro dovuta alle nuove tecnologie.

Molti dei suoi suggerimenti, tra cui investire in nuove competenze, preparare il lavoratore a dover cambiare più volte mansioni nella propria vita, imparare a vivere e lavorare con le macchine in un ambiente sempre più innovativo e reattivo, sono stati progressivamente assunti a obiettivi da diversi Governi, persino dell’Unione europea e negli Stati Uniti.

Ha scritto Sachs in un suo recente saggio: “La tecnologia è un vantaggio se gestita correttamente e se esiste una struttura adeguata per assicurare un’ampia distribuzione dei benefici legati ai cambiamenti tecnologici”.

Grazie all’Agenda per le competenze per l’Europa e ai finanziamenti dell’Unione europea (Ue), la Commissione ha preparato il terreno per dotare di competenze migliori a tutti i livelli i cittadini europei e, in stretta collaborazione con gli Stati membri, gli erogatori e le società di formazione.

La nuova indagine ESDE (Employment and Social Developments in Europe) 2018, presentata venerdì scorso, è dedicata all’evoluzione del mondo del lavoro e in particolare all’impatto su di esso degli sviluppi tecnologici, con focus sulle incertezze circa gli effetti futuri dell’automazione e della digitalizzazione.

L’economia europea sta crescendo in modo più veloce e uniforme rispetto al passato. Ciò favorisce l’occupazione, sostiene i redditi delle famiglie e migliora le condizioni sociali. Il cambiamento tecnologico reca in sé elevate potenzialità per stimolare la crescita e l’occupazione, ma solo se plasmato secondo le nostre attese”, ha dichiarato in una nota ufficiale Marianne Thyssen, Commissaria responsabile per l’Occupazione, gli affari sociali, le competenze e la mobilità dei lavoratori.

Il pilastro europeo dei diritti sociali fornisce un orientamento per preparare tutti a questa trasformazione. Con le nostre proposte su condizioni di lavoro trasparenti e prevedibili e sull’accesso alla protezione sociale realizziamo in concreto il pilastro, dotando i cittadini europei di un’istruzione e di competenze migliori lungo tutto l’arco della vita e facendo sì che, in un mondo del lavoro in rapida evoluzione, tutti i lavoratori godano dei diritti fondamentali”.

Nel dettaglio, l’indagine indica il progresso tecnologico come “elemento chiave per aumentare la produttività complessiva”, ma che allo stesso tempo è “causa della sostituzione delle attività di routine a bassa qualificazione” e dell’“aumento del livello di competenze necessario per l’occupabilità”.

Pur in assenza di una conclusione definitiva sulla possibile incidenza della tecnologia sull’occupazione, gli studi dimostrano che sono le attività ripetitive di routine dei lavori attuali a prestarsi maggiormente ad un’automazione totale o parziale”, si legge nel documento diffuso da Bruxelles.

Oggi, si legge nello studio, circa 430 mila robot sono impiegati nell’industria manifatturiera europea (il quadruplo in più rispetto a 25 anni fa), di cui il 40% in Germania.

Ne consegue che “una percentuale che oscilla tra il 37% e il 69% dei lavori potrebbe essere parzialmente automatizzata nel prossimo futuro”, mentre “un’istruzione migliore e l’apprendimento permanente, come pure l’adeguatezza delle istituzioni preposte al mercato del lavoro e alla protezione sociale, costituiscono elementi fondamentali per adattarsi all’evoluzione del mondo del lavoro”.

Ulteriore elemento di preoccupazione per l’Europa è che “Le nuove tecnologie contribuiscono all’aumento del numero dei lavoratori atipici e autonomi. Dall’indagine ESDE emerge che le nuove forme di occupazione apportano un vantaggio sia ai lavoratori sia alle imprese in termini di maggiore flessibilità, migliore equilibrio tra vita professionale e vita privata, offrendo al contempo alle persone, comprese quelle con disabilità e anziane, nuove opportunità di entrare o restare nel mercato del lavoro”.

Inoltre, “l’indagine ESDE rileva altresì una correlazione tra la crescente incidenza del lavoro atipico e il peggioramento delle condizioni di lavoro”, con una maggiore volatilità del reddito, una minore sicurezza occupazionale e un accesso insufficiente alla protezione sociale, come osservato nel caso dei lavoratori delle piattaforme digitali.

Exit mobile version