L’indipendenza digitale è priorità strategica, ma bisogna anche capire come procedere sulla strada della sua realizzazione, in maniera concreta e in questo sono le aziende a poterci dare delle indicazioni chiare e di prospettiva, perché sono gli attori più vicini al mercato.

“Realizzare i data center sul territorio non è una condizione sufficiente per essere veramente sovrani dal punto di vista tecnologico e sul dato stesso.
Bisogna lavorare su questo. Sicuramente c’è un problema di assegnazione di appalti pubblici verso aziende italiane ed europee che sviluppano tecnologia, c’è da capire come gestire e introdurre almeno una quota minima. Forse si potrebbero assegnare con delle gare pubbliche, il problema è che la quota attuale in Europa è inferiore al 10% e nel frattempo andiamo a sostenere le aziende straniere, creando una contraddizione evidente che chiede di riorientare la spesa pubblica verso le aziende europee”, ha spiegato Alessio Cecchi, CEO di Qboxmail, intervenendo nel Panel dal titolo “Il 1^ Rapporto sull’Indipendenza Digitale in Italia, la “fotografia” analizzata dal punto di vista delle aziende e geopolitico. E le alternative tecnologiche italiane”.

“Sharelock ha sviluppato un prodotto che va a coprire l’esigenza di tutelare il digitale aziendale, in particolare l’identità digitale, che è il primo bersaglio degli attacchi informatici, difficili da gestire all’interno delle imprese. Serve un cambio di paradigma rispetto al modello cyber attuale. Lo shift tecnologico del cloud e del Bring your own device rende obsoleto tutto quello che abbiamo fatto finora.
Si parla di individuare grazie all’AI i comportamenti anomali all’interno di un’azienda. L’utente è sempre il punto più debole. Tramite analisi comportamentale bisogna capire dove si creano le potenziali falle. Assieme ad Ermetix stiamo lavorando anche alla difesa dell’identità digitale in mobilità sui nostri device.
Abbiamo bisogno di quote di assegnazione di appalti pubblici come prima risposta al problema.
In ambito cyber il 90% è dominato da aziende americane.
Raggiungere l’indipendenza implica coraggio delle Istituzioni nel fare delle scelte decise e chiare per dare mano a normative che diano una spinta all’ecosistema italiano ed europeo. Le stesse imprese devono poi prendersi l’onere di farsi pioniere del cambiamento” ha detto Cristian Lucci, CEO di Sharelock.
“Abbiamo sviluppato una tecnologia proprietaria basata su AI partendo dal presupposto proprio dell’indipendenza digitale. In base al fornitore di tecnologie c’è un diverso livello di sicurezza. C’è un algoritmo di AI che analizza il comportamento dell’utente all’interno del dispositivo, valutando se ci sono azioni diverse rispetto all’utilizzo standard.
Gli algoritmi di AI sono costosi da sviluppare perché servono professionalità specializzate. Inizialmente abbiamo utilizzato prodotti commerciali sviluppati in altri Paesi, come USA, Israele o peggio ancora Cina, ma sono delle black box sconosciute, in cui si nascondono interessi geopolitici ben precisi.
Appena abbiamo potuto, siamo partiti con lo sviluppo di algoritmi in casa, proprio per avere il pieno controllo della nostra tecnologia e spiegare ai nostri clienti come funzionano e certificare i livelli di sicurezza che possiamo offrire. La sicurezza nazionale è un tema centrale nella cyber e poi c’è una ricaduta professionale e occupazionale significativa. L’indipendenza digitale è un fattore strategico sia per le imprese, sia per i Governi”, ha affermato Diego Fasano, CEO di Ermetix.

“Quando ti metti in casa una tecnologia che va a lavorare con dati e informazioni strategiche, meglio conoscerle fino in fondo. Noi stiamo lavorando ad una tecnologia in cui mettiamo a fattore comune diverse competenze su un terreno particolare della sicurezza dell’identità per provare a sviluppar eun m0doello per l’Europa ed esportabile all’estero.
Non credo alle quote cyber, non puoi rivoluzionare il mercato imponendo le assegnazioni di quote. Negli USA e in Cina ci sono di fatto e di diritto. Servono le competenze per sviluppare e produrre tecnologie. Rischiamo qui di abbassare i livelli di qualità. Dobbiamo metterci in testa di incentivare l’innovazione e avere il coraggio di investire e di confrontarci con società di consulting internazionali. In aggiunta, sarebbe utile stabilire degli standard sotto i quali, anche se sei un’impresa italiana, tu non accedi a queste quote”, ha proseguito Fasano.
“C’è un altro concetto da declinare in termini di dipendenza, la libertà di scelta del consumatore. Un’azienda spesso può solo scegliere tra tre o quattro provider globali, generalmente soluzioni americane, senza sapere mai che fine fanno i dati. Questa è una prima limitazione da superare.
Oggi ci sono delle realtà locali diverse che cercano di rompere questo oligopolio.
Chi ha la proprietà di una tecnologia è l’attore che da le carte. Il nostro lavoro è cercare di rompere questo muro. Karl ha deciso di sviluppare una soluzione per distribuire computer remoti sotto forma di container, con proprietà di scalabilità, efficienza e sicurezza”, ha sostenuto Pier Nunzio Pennisi, General Manager di Karl Technology.

“In questo modo noi diamo all’utente tutte le risorse che gli servono in un determinato momento redistribuendo le risorse non utilizzate. Questi computer remoti, questi pod, esistono fin tanto vengono utilizzati. In questo modo, lavorando con un pod effimero, hai un livello di sicurezza maggiore.
Il mercato non lo controlli politicamente – ha sottolineato Pennisi – ma politicamente puoi incentivare la nascita di soluzioni di qualità. Le tecnologie di qualità sono costose e spesso sono penalizzate come scelte. Ad esempio, trovare soluzioni di pagamento comode per il cliente. È difficile quando sei una piccola realtà avere accesso al credito per iniziare a lavorare. Un primo passo per favorire gli investimenti può partire da qui”.