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India muscolosa

James Hansen

Fin dal 1948, l’anno dell’assassinio del Mahatma Gandhi, la reputazione dell’India ha campato sul ricordo della straordinaria figura del pacifista e ‘santo’ che fu: forse sostenuta anche dalla profusione di quei manifesti sparsi nel mondo dalle opere pie che raccoglievano i fondi per nutrire i bambini indiani dagli occhi enormi che “morivano di fame”.

Nonostante l’immagine internazionale del Paese, intrisa di pacifismo e di patetismo, nel frattempo l’India è stata praticamente sempre in guerra con qualcuno: col Pakistan, con la Cina, con lo Sri Lanka, perfino con il Portogallo per l’annessione di Goa ed altri ex-possedimenti portoghesi. I conflitti militari che hanno visto coinvolta l’India a partire dalla sua indipendenza nel 1947 sono ben ventisette. Le Bhāratīya Saśastra Sēnāēṃ, le forze armate indiane, ad oggi costituirebbero  il 4° esercito più potente del mondo. L’India dev’essere l’unico paese tuttora percepito come ‘povero’,  ma che in realtà possiede una flotta di sottomarini nucleari, la classe Arihant.

Ora, si direbbe che l’attuale Governo indiano guidato da Narendra Modi abbia deciso di ‘togliersi i guanti’. Ciò a partire dall’espulsione dal Parlamento di Rahul Gandhi—il leader del partito d’opposizione Congress, nonché figlio dell’italiana Sonia Gandhi e pronipote dello storico Primo Ministro Nehru. Gandhi è stato poi riammesso al Parlamento grazie all’intervento della magistratura.

Modi è noto anche per l’abitudine di staccare l’Internet (84 volte nel solo 2022) per motivi di ‘ordine pubblico’—o di ‘convenienza politica’, secondo qualcuno—e, più di recente, come il presunto mandante ‘ultimo’ degli assassini di militanti sikh residenti all’estero: in Canada (con successo) e negli Usa (un imbarazzante fallimento).

Sikh sono una comunità religiosa e politico-militare indiana fondata alla fine del 15° Secolo con l’intento di unire indù e musulmani nella fede in un Dio unico e nel rifiuto delle distinzioni di casta caratteristiche della società indiana. Sono tuttora una minoranza esigua—si stima attorno all’1,3%—della popolazione indiana, concentrata nel Punjab dove, negli anni ’80, un loro movimento separatista fu soppresso con estrema violenza, culminata nel sanguinoso massacro—nel 1984—portato a termine dalle truppe di sicurezza indiane nel ‘Tempio d’oro’ di Amritsar, il ‘Vaticano’ dei sikh. Nel corso dell’operazione, denominata Blue Star, tutti i numerosi fedeli all’interno del santuario furono uccisi, compresi i civili.

Il massacro portò poi, come rappresaglia, all’assassinio del Primo Ministro Indira Gandhi, uccisa da due suoi ufficiali della sicurezza di fede sikh. Il fatto fece scatenare nel paese numerose violente sommosse contro i loro correligionari.

Da allora, il movimento ‘vivacchia’ essenzialmente tra i sikh della diaspora, fuggiti verso ‘lidi’ più accoglienti, in particolare nei paesi anglofoni. Resta un mistero il motivo per cui il Governo Modi possa aver deciso di bruciarsi la reputazione e le relazioni con due stati nordamericani—il Canada e gli Usa per l’appunto—con cui ‘da sempre’ l’India è stata in buoni rapporti.

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