I numeri

In Italia finiti all’asta 126.083 immobili pignorati dalle banche

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La distribuzione geografica delle abitazioni che finiscono nelle aste giudiziarie vede il Nord in testa con il 42% degli immobili, segue il Sud con il 32% e il Centro con il 26%. Il 10% solo in Sicilia.

Al Nord la maggior parte delle case all’asta, Sicilia seconda Regione per pignoramenti

In totale nel 2021 le case messe all’asta dalle banche sono state 126.083 per un valore pari a 18.738.413.549 euro. Si registra un aumento del 8,10% rispetto all’anno precedente, ma con un fortissimo calo, pari al -38,38%, rispetto al periodo pre-Covid. Nel 2019 infatti le case messe all asta dalle banche sono state 204.632. L’infografica in apertura mostra la suddivisione del pignoramento del bene-casa da parte delle banche per ogni regione. Dei 126.083 immobili andati all’asta nel 2021 oltre il 42% ricade nelle regioni del Nord Italia; tuttavia la mappatura a livello nazionale mostra un quadro più articolato tra Nord, Centro e Sud: se infatti la prima Regione per case messe all’asta dalle banche è la Lombardia con il 18,63%il secondo posto è occupato dalla Sicilia con il 9,95%, troviamo poi il Lazio con il 7,64%, la Toscana 6,82% e il Veneto con il 6,72%.

La sospensione delle procedure di pignoramento della casa

La ragione di questo calo rispetto al periodo pre-Covid sta nella sospensione delle procedure di esecuzione decisa all’inizio dell’emergenza sanitaria e durata fino a metà 2021. Questa è anche la ragione della composizione dell’ecosistema degli immobili andati all’asta. Come si vede nella nostra infografica qui sopra, a essere di tipo residenziale sono 58.427, cioè il 46,34%. Una percentuale molto inferiore al 2019 quando rappresentavamo, invece, il 70%. Interessante anche la percentuale di box e posti auto pignorati: sono il 9,3% del totale.

Molto rilevante è la quota rappresentata da uffici e negozi, il 10,7%, da magazzini, il 7,3%, da capannoni, il 4,4%. Come spiega il Centro Studi Astasy Analytics di Npls Re Solutions che ha raccolto i dati, alla base vi è la somma degli effetti della recessione legata al Covid, che ha messo in difficoltà tante imprese ed esercizi commerciali, ma anche di trend precedenti alla pandemia. Tra questi ultimi vi è il passaggio a un’economia più digitale e immateriale che ha sempre meno bisogno di spazi fisici come capannoni e magazzini.

L’11,5% di quello che va all’asta, poi, è costituito da terreni: sono 14.506, e tra questi ve ne sono anche molti di quelli resi edificabili durante gli anni della bolla immobiliare e che poi non sono stati sfruttati a causa del tramonto del mattone. Più di 10mila immobili rientrano nella categoria “Altro”, una voce piuttosto ampia che racchiude l’8,5% di quelli totali. Qui vi sono cinema, teatri, caserme in disuso, biblioteche, stabilimenti balneari e perfino chiese.

Pignoramento casa: il valore è inferiore ai 250mila euro

Complessivamente il controvalore di base degli immobili pignorati dalle banche o risultanti da un fallimento d’impresa che sono stati battuti all’asta nel 2021 è stato di 18 miliardi e 738 milioni di euro, ma considerando le offerte minime consentite si scende a 14 miliardi e 53 milioni.

Stiamo parlando di case, uffici, terreni che nella grande maggioranza dei casi, l’89%, non superano il prezzo di 250 mila euro e, anzi, mediamente ne valgono solo 62.472, decisamente meno del passato, a ulteriore dimostrazione della crisi che ha attraversato il settore immobiliare fino a poco tempo fa.

La maggior parte del valore complessivo degli immobili all’asta è rappresentato da una piccola minoranza di strutture dal prezzo di base molto alto, ovvero dal 9% (11.349 in valore assoluto) che va dai 250mila euro al milione e dal 2,04% (2.576) che supera il milione di euro. Quest’ultimo scaglione, in cui si trova solo un immobile su 50, vale complessivamente ben 6 miliardi e 571 milioni, il 35,1% del totale.

Dove sono gli immobili pignorati dalle banche

La distribuzione geografica delle abitazioni o delle altre costruzioni che finiscono nelle aste giudiziarie vede il Nord in testa con il 42% degli immobili. La proporzione della popolazione italiana che vive in questa area è di circa il 46%. Vuol dire che nelle regioni settentrionali vi sono state, in proporzione agli abitanti, meno procedure che altrove.

Diverso è lo scenario al Centro, in cui si trova il 26% delle aste a fronte di una quota inferiore al 20% della popolazione nazionale. Nel Mezzogiorno vi è il rimanente 32% degli immobili pignorati dalle banche o in vendita per fallimento. In questa area spicca, però, il dato della Sicilia: è seconda dietro la Lombardia per numero di aste, nell’isola si concentra il 10% di tutte quelle italiane. Dopo la Sicilia vengono Lazio e Toscana. Sono questi, al Centro e all’estremo Sud, i poli del disagio in tale ambito.

Il 57,2% delle aste del 2019 nel 2021 erano ancora attive

Il Centro Studi Astasy Analytics ha realizzato anche una ricerca sull’esito delle aste precedenti alla pandemia, quelle del 2019. Vi è una percentuale altissima di procedure ancora attive, il 57,2%. Si tratta del risultato di due fattori: da un lato la già citata sospensione, per circa un anno e quattro mesi, di ogni operazione sugli immobili che siano abitazione principale, dall’altro l’indisponibilità da parte della domanda ad accettare il prezzo proposto inizialmente.

Per legge il lotto non aggiudicato deve venire riproposto, in un’asta successiva, con un ribasso del 25%. Questo spiega il motivo per cui nel 2021 il valore medio degli immobili messi in vendita con tali procedure è sceso rispetto agli anni precedenti. Rispetto al 2017 la riduzione è stata addirittura del 44%.

Valori così bassi come quelli che vengono raggiunti da molti immobili possono rappresentare un buon affare per i compratori, che magari non avrebbero altro modo per acquistare una casa, ma sono un danno per il debitore e il creditore. Se la casa o il capannone o il terreno, che il primo è costretto a mettere in vendita, fruttano meno denaro di quanto immaginato, possono non bastare a ripagare il debito contratto e il secondo non otterrà la restituzione di quanto dovuto. Con ovvie conseguenze negative sul mercato del credito e sulla ripresa.

I dati si riferiscono al 2021

Fonte: Centro Studi Astasy Analytics