Il report

ilprincipenudo. Rapporto Federculture: trend positivo, ma troppo entusiasmo

di Angelo Zaccone Teodosi (Presidente Istituto italiano per l’Industria Culturale - IsICult) |

Non stenderemo commenti sui dati secondo cui la spesa delle famiglie italiane per “cultura e ricreazione” sarebbe cresciuta nel 2015 del 4%, a quasi 68 miliardi di euro. Fa rumore l’assenza del ministro Franceschini alla presentazione.

ilprincipenudo ragionamenti eterodossi di politica culturale e economia mediale, a cura di Angelo Zaccone Teodosi, Presidente dell’Istituto italiano per l’Industria Culturale – IsICult (www.isicult.it) per Key4biz. Per consultare gli articoli precedenti, clicca qui.

Ieri mattina si è tenuta al Maxxi – Museo nazionale delle arti del XXI secolo – un’affollata presentazione del XII rapporto annuale di Federculture – Federazione Servizi Pubblici Cultura Turismo Sport Tempo Libero – (intitolato “Impresa Cultura. Creatività, partecipazione, competitività”), una associazione di imprese pubbliche e private e di enti attivi nel settore culturale, soprattutto nello specifico museale e dei servizi correlati.

Il rapporto di Federculture rappresenta ormai un utile strumento di conoscenza per tutti gli operatori del settore e propone ogni anno analisi variegate sui molti aspetti del sistema. Paradossalmente, questa continua variazione degli approcci e dei collaboratori, così come delle tematiche, è una ricchezza – perché aumenta i punti di vista – ma al contempo una debolezza – perché determina assoluta discontinuità metodologica, fatta salva l’appendice statistica.

La dodicesima edizione mostra una particolare evoluzione rispetto alla precedente, anche perché è il risultato dell’avvicendamento ai vertici della federazione: dopo molti anni di presidenza di Roberto Grossi (che ha connotato il suo mandato con un intenso protagonismo personale), nel novembre del 2015 è stato eletto Andrea Cancellato, direttore generale della Quadriennale di Milano dal 2002, ma la regia di Federculture è di fatto passata nelle mani di Claudio Bocci, nominato direttore dopo un lungo periodo di sodalizio come dirigente della federazione e collaboratore di fiducia di Grossi.

Per la prima volta il nome di Grossi non campeggia a caratteri cubitali sulla copertina del volume e altra novità è rappresentata dal passaggio di editore da Il Sole 24 Ore a Gangemi, pur restando sostanzialmente immutato il layout e la dimensione del tomo (oltre 400 pagine).

In estrema sintesi il rapporto, basato sulla rielaborazione di fonti primarie (Istat e Siae soprattutto), propone una lettura molto positiva delle condizioni del sistema culturale italiano nel suo complesso.

Una lettura ancora più ottimista, in alcuni casi addirittura entusiasta, è emersa dalla presentazione al Maxxi ed è apparsa clamorosa l’assenza del ministro Dario Franceschini (per altri “impegni istituzionali”, come si usa dire) che avrebbe dovuto manifestare la propria regale e/o papale benedizione, a fronte di una messa corale appassionata.

Separiamo i fatti dalle opinioni: oggettivamente il Governo Renzi e il Ministero Franceschini hanno messo in atto politiche d’intervento significative nel settore culturale nazionale, a partire da consistenti incrementi della spesa pubblica e azioni di riforma legislativa su più fronti. Che questa duplice leva abbia determinato effetti positivi sull’economia complessiva del sistema culturale italiano è molto probabile, ma non dimostrabile attraverso gli indicatori finora utilizzati: dati come la quantità dei visitatori nei musei piuttosto che la spesa in cinematografi sono soggetti a variazioni contingenti e “stagionali”, e i trend reali possono essere definiti soltanto nel medio periodo (almeno di respiro quinquennale). In altre parole, un piccolo incremento percentuale della spesa privata in cultura (ricordando che l’Istat inserisce in questa macrocategoria anche le spese in ricreazione e quindi anche lo sport) non è in sé meccanicamente sintomatico di uno status di benessere, ed è ardita impresa realizzare una correlazione causa/effetto.

La presentazione, più che il volume, è stata centrata sulle opinioni entusiaste piuttosto che su un’interpretazione oggettiva, e magari critica, dei dati e della situazione complessiva.

Quel che ha preoccupato ancor di più è che uno dei relatori, il presidente dell’Agis Carlo Fontana, ha enfatizzato come il nuovo intervento pubblico dello Stato italiano nel settore culturale si caratterizzi per un sostanziale venir meno dell’“indirizzo” che esso potrebbe (e secondo noi dovrebbe) manifestare: in effetti, strumenti come il “Tax credit”, l’“Art bonus”, il “Bonus cultura”, spostano dal “pubblico” al “privato” la identificazione delle iniziative da sostenere con i danari della collettività …

Questa dinamica, senza dubbio interessante dopo decenni di discrezionalità ed autoreferenzialità della mano pubblica, non è automaticamente eccellente e sana in sé. Di fatto si tratta di un’ennesima abdicazione della politica (nel senso evidentemente nobile della parola) rispetto al mercato e alle sue ipotetiche doti di eccellente autoregolazione.

Dopo un lungo periodo di discrezionalità dello Stato, si passa ad una inedita discrezionalità del cittadino alias consumatore. Che tutto questo sia benefico per il rafforzamento del tessuto culturale nazionale, per l’estensione dell’offerta e del pluralismo, per la migliore allocazione delle risorse pubbliche, è tutto da dimostrare. Ricordiamo una volta ancora, per esempio, che la tanto decantata efficacia del Tax credit nel settore cinematografico ed audiovisivo (così come rispetto a possibili estensioni al settore musicale o dei videogame) non è ancora mai stata oggetto di una valutazione di impatto da parte dello stato italiano. Chi può escludere che le risorse “pubblico/private”, alla fin fine, non vengano realmente destinate all’estensione dello spettro dell’offerta culturale, all’estensione del pluralismo espressivo ed artistico, che pure dovrebbero essere i principali obiettivi di uno stato sensibile alla cultura, all’arte ed alla democrazia?

Da segnalare che da qualche mese Federculture ed Agis (storica lobby del sistema italiano dello spettacolo aderente a Confindustria) hanno siglato un patto federativo ed un’alleanza operativa (Agis ha tra l’altro accolto Federculture nella propria storica sede di Villa Patrizi). Se è per alcuni aspetti positiva la convergenza tra questi due soggetti (perché stimola interazioni tra il settore museale e lo spettacolo dal vivo), ci si augura che non si venga a determinare un appiattimento sulle posizioni confindustriali (perché viale dell’astronomia o via di Villa Patrizi rappresentano anime importanti del sistema, ma non la pluralità delle soggettività e quindi non si può delegare a loro l’insieme delle policy pubbliche).

Curiosamente ieri mattina in tutt’altro consesso, anch’esso lobbistico comunque, si teneva un interessante incontro dal titolo “The Social Value of Beauty”, presieduto da Think Tank Trinità dei Monti e dalla British School at Rome, nel quale si registravano non poche posizioni critiche sulla complessiva situazione della politica culturale italiana (osservata soprattutto dal punto di vista britannico, con intervento, tra gli altri, dell’Ambasciatrice britannica Jill Morrison).

Quasi completamente assente, al Maxxi, una interpretazione critica dei fenomeni in atto.

Non stenderemo commenti di sorta sui dati che hanno alimentato la rassegna stampa odierna, a partire dalla cifra secondo la quale la spesa delle famiglie italiane per “cultura e ricreazione” (sic!) sarebbe cresciuta nel 2015 del 4%, arrivando a quasi 68 miliardi di euro.

… Ancora una volta numeri in libertà, sparati ad effetto, per “dimostrare” che tutto va ben, signora la marchesa.