l'analisi

ilprincipenudo. Rapporto Censis e dintorni, un fiorire di studi utili ma poco innovativi

di Angelo Zaccone Teodosi (Presidente Istituto italiano per l’Industria Culturale - IsICult) |

Dal 15° Rapporto Censis sulla Comunicazione all’8° Rapporto Leone Moressa sull’Economia dell’Immigrazione, fino alla ricerca di De Masi per il M5S “Cultura 2030”. Effervescenza di studi e prevalenza di analisi che fotografano la realtà, ma non stimolano dialettica ed innovazione.

ilprincipenudo ragionamenti eterodossi di politica culturale e economia mediale, a cura di Angelo Zaccone Teodosi, Presidente dell’Istituto italiano per l’Industria Culturale – IsICult (www.isicult.it) per Key4biz. Per consultare gli articoli precedenti, clicca qui.

Questa mattina è stata presentata in Senato, nella Sala Capitolare del Chiostro del Convento di Santa Maria sopra Minerva, la quindicesima edizione del “Rapporto sulla Comunicazione”, che prosegue il monitoraggio Censis dei consumi dei media (edito per i tipi di Franco Angeli, 25 euro), misurati nella loro evoluzione dall’inizio degli anni 2000, e l’analisi dei cambiamenti avvenuti nelle “diete mediatiche” degli italiani.

Si tratta di un’iniziativa promossa ab origine dall’Unione Cattolica della Stampa Italiana (Ucsi) ed affidata al Censis (Centro Studi Investimenti Sociali), ma da quest’anno il sodalizio s’è sciolto (per dissensi metodologici – da quanto è dato sapere – più che ideologici), ed il Censis ha trovato nuovi partner e finanziatori del progetto (in primis Intesa Sanpaolo, e si osserva come parte significativa dei dispacci di agenzia dedicati alla presentazione del rapporto di ricerca enfatizzava il ruolo di questo finanziatore dello studio).

Nelle intenzioni del Censis, il Rapporto analizza i processi di formazione dell’opinione pubblica, considerando anche l’uso politico dei social network. E vengono svelati alcuni “riti, tic e tabù della digital life”. Nell’“era biomediatica” (formula “made in Censis”), in cui “uno vale un divo”, uno degli effetti della disintermediazione digitale è “la fine dello star system”. Si legge nel Rapporto: “con la conseguente rottura del meccanismo di proiezione sociale che in passato veniva attivato dalla fascinazione esercitata dal pantheon delle celebrità: prima venerate e oggi smitizzate nel disincanto del mondo”.

Il Rapporto di ricerca evidenzia alcuni fenomeni degni di attenzione (si legga l’articolo di Paolo Anastasio, “Rapporto Censis, in 10 anni spesa per smartphone triplicata. Crollo del 38% per giornali e libri”), ma qui vogliamo manifestare anzitutto un’osservazione di “metodo”: il Censis, forte della propria storica esperienza e consolidata fama, tende a non dedicare particolare attenzione alla descrizione delle metodologie con cui sviluppa le proprie indagini. Nelle note a piè di tabella, spesso appare la generica indicazione “Fonte: indagini Censis”, senza specificare ampiezza del campione, struttura, affidabilità statistica, metodologia utilizzata… Nessuno ha l’ardire di mettere in dubbio la serietà professionale e la qualità intellettuale dei ricercatori del Censis o – ancora – la “vision” sempre stimolante di Giuseppe De Rita, ma crediamo che una maggiore chiarezza sarebbe assolutamente necessaria.

Questa precisazione è indispensabile perché sempre più spesso si assiste ad una  erratica “numerologia” che caratterizza non soltanto le dichiarazioni dei nostri governanti (ormai si comunica con la logica ad effetto, ovvero del fuoco d’artificio), ma – ahinoi – anche alcune fonti “primarie”, ovvero istituti di ricerca pubblici e privati, noti e meno noti… Si registra anche un indebolimento del livello di interpretazione critica dei dati, da parte dei giornalisti ed in generale del sistema dei media.

Si vive in un’epoca di “numeri in libertà”, ed il fenomeno è grave, in assenza di strutture indipendenti di “validazione” (vedi alla voce: possibile ruolo delle “autorità indipendenti”?!), perché si governa quindi sulla base di un “fact checking” spesso fragile e deficitario.

Hanno partecipato al dibattito Gian Paolo Tagliavia, Chief Digital Officer Rai, Gina Nieri – Consigliere di Amministrazione Mediaset, Massimo Porfiri, Amministratore Delegato Tv2000, Massimo Angelini, Direttore Pr Internal & External Communication Wind Tre, Fabrizio Paschina, Responsabile Direzione Comunicazione e Immagine Intesa Sanpaolo, Francesco Rutelli, Presidente Anica. Il 15° Rapporto è stato presentato da Massimiliano Valerii, Direttore Generale Censis e concluso dal fondatore e Presidente Giuseppe De Rita.

Da osservare che alcuni “player” fondamentali del sistema mediale-tlc non hanno collaborato alla ricerca. Il Rapporto Censis è stato infatti realizzato in collaborazione con Rai e Mediaset, Tv2000, Facebook, Wind 3, Intesa Sanpaolo. Assenti Sky Italia e La7, assenti soggetti come Telecom Italia e non pochi altri tra i “big player”. Ed è curioso assai che non sia intervenuto a commentare la presentazione il rappresentante di Facebook Italia

Il “Rapporto” realizzato dal Censis ci sembra abbia proposto una fotografia senza dubbio utile, ma non particolarmente innovativa, nell’analisi del passaggio degli italiani da “popolo di lettori” a “popolo di navigatori” (come l’ha descritto ironicamente Giuseppe De Rita).

La questione “metodica della ricerca” ed i dubbi fin qui manifestati sono emersi a chiare lettere anche in occasione di altre presentazioni avvenute in questi giorni: ieri si è conclusa la “due giorni” promossa dal Movimento 5 Stelle, tenutasi presso la Sala dei Gruppi della Camera dei Deputati di Via Campo Marzio, per la presentazione di alcune anticipazioni della terza ricerca che i grillini hanno affidato al sociologo Domenico De Masi (sempre energico e giovanile nonostante la classe 1938) questa volta centrata sulla cultura, dopo quelle sul tema del lavoro e del turismo.

Anche in questo caso, stimoli interessanti, ma inevitabili perplessità sulla affidabilità scientifica del “metodo Delphi”, tanto caro a De Masi. Come è noto, si tratta di una metodologia di approccio qualitativo, che viene ritenuta una sorta di metodo capostipite per la ricerca sociale partecipata, che si sviluppa attraverso l’interazione di un gruppo (panel) di individui (esperti, testimoni privilegiati, rappresentanti, cittadini…) che vengono intervistati ed interagiscono tra loro, argomentano attivamente un problema complesso, creando così un virtuoso processo di comunicazione. Uno dei limiti del metodo è determinato dalla qualità dei partecipanti e dal criterio di selezione del “panel” degli esperti (e dal latente rischio di eterodirezionalità dei risultati)…

È stato il Presidente della Commissione Cultura alla Camera Luigi Gallo ad aprire i lavori del convegno “Cultura 2030”, martedì mattina: “Quello che si decide nel presente modifica il futuro, e per questo c’è una scelta chiara da fare per ogni decisore politico: investimenti e risorse in istruzione e cultura. In questi due giorni, la politica farà un passo indietro e si porrà in ascolto del mondo della cultura. Sentiamo il bisogno di trasformare questo luogo in uno spazio di riflessione, ascolto e apertura mentale. Vogliamo creare un dibattito civile, aperto a diverse posizioni e idee”. Il senso della ricerca affidata a Domenico De Masi: “la ricerca previsionale ‘Cultura 2030’ vuole essere uno strumento offerto ai decisori politici, agli attori culturali e ai protagonisti sociali del nostro Paese per avviare una discussione sui cambiamenti in atto. È fondamentale comprendere il presente e cercare di prevedere in quale direzione ci stiamo dirigendo, soprattutto attraverso un’analisi profonda e complessa del mondo culturale che ci avvolge”.

Alcuni stimoli tratti dalla ricerca: in campo educativo, emergerà sempre più spazio a interdisciplinarità e orizzontalità degli studi… la cultura maschile farà propri tre valori che si credono tradizionalmente più appannaggio di quella femminile, come estetica, bellezza e cura… la famiglia sarà sempre più articolata, allargata, interetnica, adottiva e omoparentale… i giovani “credenti non devoti’”, connessi, con scarsa memoria di lungo termine, concentrati a sviluppare la propria identità sui “social”, ma disponibili a nuovi valori e forme culturali… sarà verosimilmente la musica il principale linguaggio espressivo e aggregante…

Molta attenzione è stata assegnata al sistema educativo: “nel futuro, il potere potrebbe concentrarsi nelle mani di chi detiene la conoscenza e non in quelle di chi possiede ricchezza o fonti energetiche, come accadeva in passato. In questo scenario, c’è un solo soggetto che può affrontare e vincere le sfide della nostra società post-industriale: il sistema Scuola-Università pubblico, cioè quelle istituzioni che possono ancora essere sotto il controllo dei cittadini”.

È stato evidenziato che in Italia i laureati rappresentano il 23 % della popolazione, a fronte di una percentuale molto più elevata in Europa (la media è del 39 %) ed in alcuni Stati come la California, dove è il 66 % ad aver conseguito una laurea. Eppure, qui da noi per le borse di studio ci sono soltanto 200 milioni di euro l’anno, mentre in Germania i fondi arrivano a 2 miliardi… De Masi ha anche citato il “Misperpections Index” curato da Ipsos (nel monitoraggio “The Perils of Perception”) secondo il quale l’Italia è al 12° posto in classifica, per basso indice di cultura personale dei cittadini e di non conoscenza reale di argomenti: peggio di noi soltanto 11 Paesi nel mondo. “Il nostro Paese si comporta come un ristoratore pazzo che fa entrare solo i clienti vestiti di un certo colore, lasciando la maggior parte dei tavoli vuoti. Basta guardare quanti sono i giovani che si presentano ai test d’ingresso alle facoltà universitarie e quanti quelli che poi realmente possono intraprendere il percorso formativo”. De Masi cita il caso di Napoli, dove “ben 6.943 giovani si sono presentati ai test della Facoltà di Medicina in lingua inglese, a fronte di una disponibilità di soli 501 posti disponibili. È paradossale che mentre diciamo che servono medici, mettiamo barriere all’entrata perfino a persone così motivate da voler frequentare corsi in inglese. È da matti mantenere il numero chiuso mentre siamo tra i Paesi con meno laureati“.

Tra gli interventi, segnaliamo quello di Moni Ovadia, che ha sostenuto che “il sapere critico è il vero grande nodo del presente e del futuro, permette di prefigurare il futuro. Viviamo a mio parere solo nell’ipertrofia solipsistica del presente, concentrati su quello che succede adesso. Se noi ci affidiamo a questo, non possiamo avere orizzonti, non possiamo avere un progetto ed essere guidati dal nostro progetto a impegnarci nella società per dare il nostro contributo alla sua trasformazione nella direzione di una società di giustizia. E per me la giustizia non può essere che la giustizia sociale… Nella formazione scolastica e familiare, ci sono dei deficit paurosi. Con le grandi difficoltà che hanno oggi le famiglie, lasciano i figli a guardare dagli schermi dei tablet certi programmi spaventosi, che deformano la coscienza. Il virtuale è straordinario se lo sai usare, se sei tu che decidi”. L’attenzione dell’artista si è concentrata poi sul rapporto tra “politica” e “cultura”: “non è la politica che si deve appropriare della cultura, la cultura deve essere critica e libera. La cultura deve tenere sotto stretto controllo la politica: è questo che tiene viva la democrazia. Il cambiamento avviene solo attraverso la cultura, che non è solo andare al cinema o alle mostre, ma riguarda la politica, la finanza, l’economia. Perché ogni cultura politica, finanziaria, economica, produce un diverso tipo di economia… Bisogna uscire dalle ideologie. Non è vero che con la caduta del comunismo sono finite le ideologie: per nulla. Per esempio, l’austerity dell’Europa è un topos ideologico culturale. Non c’è un solo un modo di intendere e di fare l’economia ed è ora che cominciamo a camminare verso un orizzonte che ci apra a nuovi possibili modelli. Solo la cultura può aiutarci a fare questo, ed è ora di ridare alla cultura uno dei primi tre posti nelle agende politiche”.

L’iniziativa promossa dal Movimento 5 Stelle è senza dubbio apprezzabile, ma la sala non è stata granché affollata, anche perché il convegno ha purtroppo registrato un livello di bassa “notiziabilità”: in effetti, ben pochi esponenti di quella “comunità” (artistica, professionale, imprenditoriale) cui il Movimento ha inteso indirizzarsi (il sistema culturale italiano) era a conoscenza del convegno. Come dire?! Gli auspicati “spazi di riflessione” e l’“analisi profonda e complessa” richiedono – ci sia consentito osservare – ulteriori e strumentazioni e luoghi e migliori modalità di coinvolgimento dei vari attori del sistema culturale italiano.

Sia anche consentito osservare che è discretamente curioso “presentare una ricerca” senza fornire ai partecipanti almeno una “sintesi” della stessa: nessun materiale, nemmeno le “slide” presentate da De Masi nelle quattro sessioni (intitolate “Cultura umanistica”, “Cultura scientifica,” Cultura sociale”, “Cultura virtuale”, e già questa quadripartizione stimola quesiti profondi…). Il Professor Domenico De Masi ci ha informati che è in corso di gestazione un suo libro in argomento, per i tipi di Rizzoli. Fino ad allora, verosimilmente il rapporto di ricerca resta documento riservato, “a circolazione interna” dei parlamentari del Gruppo: perché, di grazia?! È stato segnalato che il rapporto ha elaborato ben oltre mille “previsioni” (per la precisione, sarebbero 1.008!), e ci si augura che i risultati della ricerca godano presto dell’adeguata disseminazione…

A conclusione dell’iniziativa, la co-promotrice, la Vice Presidente della Commissione Cultura del Senato, la senatrice Michela Montevecchi, ha sostenuto l’esigenza di uno “spin-off” della ricerca, ovvero un approfondimento che dovrebbe essere dedicato alle nuove generazioni, che potrebbe essere intitolato giustappunto “Cultura 2030 Giovanissimi”.

Senza dubbio Domenico De Masi resta proprio “un faro” per il Movimento 5 Stelle, se tanta fiducia gli è stata accordata, a partire dal primo incarico di ricerca, “Lavoro 2025”, passando per il secondo “Turismo 2030”, per arrivare a questa terza ricerca “Cultura 2030”. Alcuni sostengono che è una sorta di compenso ovvero compensazione per non averlo cooptato come Ministro nella squadra di governo. Si ricorderà peraltro che s’erano anche registrate polemiche sul finanziamento di poco più di 50mila euro accordato dal Movimento al sociologo per la ricerca “Lavoro 2025”, un budget peraltro del tutto congruo per un simile studio. D’altronde De Masi ha pubblicamente dichiarato di essere contrario all’accordo del M5S con la Lega.

Ed in contemporanea alla iniziativa del M5S, ieri mattina, presso la Sala Polifunzionale della Presidenza del Consiglio dei Ministri, è stato presentato l’8° “Rapporto sull’Economia dell’Immigrazione”, realizzato dalla Fondazione Leone Moressa (pubblicato per i tipi de il Mulino, 18 euro), che da molti anni presidia in Italia questa specifica area di ricerca nell’ambito delle tematiche migratorie, con un’attenzione importante ma eccessivamente “monodimensionale”… Il titolo dell’edizione di quest’anno è ben sintomatico: “Prospettive di integrazione in un’Italia che invecchia”. Secondo questa ricerca, nel 2050, la popolazione anziana in Italia crescerà del 47 %, e con essa anche la richiesta di welfare, che dovrà essere soddisfatta da una popolazione in età lavorativa che diminuirà del 18 % rispetto ad oggi. I 5 milioni di stranieri regolari presenti nel Paese contribuiscono ad aumentare il numero degli occupati, ma l’immigrazione “tamponerà solo in parte” l’invecchiamento della popolazione. Fra 32 anni, la popolazione italiana non raggiungerà i 59 milioni, perdendo il 3 % degli abitanti rispetto alla situazione attuale. Il rapporto, realizzato con il contributo della Cgia (Associazione Artigiani Piccole Imprese Mestre) e con il patrocinio dell’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni (Oim) dell’Onu e del Ministero degli Esteri, segnala che il problema reale per la sostenibilità economica del Paese è che a diminuire sarà la popolazione in età lavorativa dai 15 ai 64 anni, che subirà una contrazione di ben 7 milioni, mentre la popolazione con almeno 65 anni aumenterà di 6 milioni…

Il Direttore dell’Unar – Ufficio Nazionale Antidiscriminazione Razziale, Luigi Manconi (già Senatore in quota Partito Democratico dal 2013 al 2018, e Presidente della Commissione Straordinaria per la Tutela e la Promozione dei Diritti Umani) ha sostenuto che i dati statistici sull’immigrazione “disegnano una realtà che sembra non avere alcun rapporto con ciò che chiamiamo la percezione”. In questa fase, vanno quindi “rivalutate e approfondite” l’economia e la demografia, “categorie uniche per fondare le analisi, ma anche un programma politico nel campo dell’immigrazione”. Manconi ritiene che economia e demografia sono “categorie fondamentali per consentire al legislatore di avere criteri per poter far pesare sulla realtà la volontà di operare nella direzione della conquista di una forma di convivenza”, e consentono di sviluppare “strumenti e strategie” per una società inevitabilmente “soggetta a conflitti”.

Fin qui, tre occasioni di ricerca e discussione che contribuiscono ad una migliore conoscenza dei fenomeni, ma che non provocano una lettura critica degli stessi.

In tutt’altro contesto, nel pomeriggio di ieri, presso la sede dell’Aamod – Fondazione Archivio Audiovisivo del Movimento Operaio e Democratico, un gruppo di una ventina di intellettuali, studiosi, operatori del settore “mediale” (ovvero “culturale” in senso lato), hanno discusso una bozza di “manifesto” in fase di gestazione, intitolato “Chip & Salsa” (denominazione provvisoria per ricordare il compianto Franco Carlini), che si pone come documento di lavoro per lo sviluppo di un discorso critico sul digitale, a trecentosessanta gradi (mediologico, tecnologico, sociologico, economico). Il documento è stato redatto a più mani da Carmelo Caravella, Piero De Chiara, Giulio De Petra, Michele Mezza, Vincenzo Vita… Le premesse sono intriganti: “Il digitale è un modo di produzione basato sulla potenza di calcolo, che genera conflitti sociali in misura non inferiore a quelli che hanno caratterizzato i precedenti modelli economici. Ora come allora, il conflitto è lo strumento fisiologico per riequilibrare i rapporti di forza e consentire negoziati con chi oggi detiene i nuovi mezzi di produzione, cioè i dati e gli algoritmi necessari per estrarne valore, sapere e potere. Sinora, nella prima fase del digitale, il racconto – ai limiti della fascinazione – si è concentrato più sulla distruzione creativa del vecchio mondo, che sulle sue contraddizioni interne. Questo appannamento della attitudine critica è una delle cause della crisi delle sinistre politiche e sindacali negli ultimi decenni”. Si tratta di una elaborazione frutto del lavorio avviato già da mesi, soprattutto da Vincenzo Vita (Presidente Aamod), Giulio De Petra (promotore della Scuola Critica del Digitale), Michele Mezza (giornalista e saggista, forse il massimo esperto italiano in materia di “algoritmi”, nonché curatore della rubrica “BreakingDigital” su “Key4biz”), Piero De Chiara (già dirigente apicale di imprese nel settore e consulente strategico), che avevamo già segnalato su queste colonne (vedi “Key4biz” dell’8 maggio 2018, “‘World Press Freedom Day 2018’, lo spauracchio dell’algoritmo ed il fantasma della povertà”).

Sia consentita un’osservazione finale: nella riunione presso l’Aamod, abbiamo osservato, registrato, apprezzato… un approccio realmente critico e propositivo (pur nella coscienza della grande difficoltà a prevedere l’evoluzione del sistema digitale) rispetto alla realtà fattuale ed alle prospettive possibili, approccio che non abbiamo certo intercettato in occasione della presentazione della ricerca Censis o Fondazione Leone Moressa o De Masi.

Esistono in verità due modi di “fare ricerca” (senza scomodare i classici della teoria della ricerca sociale): uno che potremmo definire passivo-inerziale, col quale si osserva il mondo e lo si descrive con approccio quasi fatalistico, e quindi inevitabilmente conservatore; uno che potremmo definire critico-attivista, col quale si cerca di andare oltre la mera descrizione fenomenologica degli accadimenti, e si cercano dialetticamente (finanche provocatoriamente) risposte e comunque proposte rispetto alle criticità osservate.

Riteniamo che, nella fase attuale, sia sempre più necessaria una ricerca più attiva, più critica, più propositiva, più provocatoria.

In un Paese che evidenzia un crescente deficit di “know how” tecnico-cognitivo da parte di chi governa, il ruolo dei ricercatori, degli studiosi, dell’accademia assume una centralità assoluta, per chi ancora crede nella funzione della classe intellettuale come agente provocatore del cambiamento.

  • Clicca qui, per vedere la videoregistrazione del convegno “I media digitali e la fine dello star system”, presentazione del 15° “Rapporto Censis sulla Comunicazione”, Roma, 11 ottobre 2018.
  • Clicca qui, per leggere la sintesi del 15° “Rapporto Censis sulla Comunicazione”, Roma, 11 ottobre 2018.