Key4biz

ilprincipenudo. Rai, Mibac e la grande confusione sul fronte cinema ed audiovisivo

Angelo Zaccone Teodosi

Sarà anche “del cambiamento” (sicuramente nel “naming” e nelle intenzioni), ma almeno per quanto prassi e procedure, in materia di gestione della “res publica” culturale non si osservano modificazioni significative, con l’avvento del governo giallo-verde, nemmeno a livello di trasparenza gestionale e di processi partecipati: le due principali “macchine culturali” del Paese, la Rai ed il Mibac, continuano a registrare una situazione di sostanziale stallo, dato che il “piano industriale” ed “il piano editoriale” di Viale Mazzini sono in grande ritardo (ad ottobre, è stata concessa una proroga di sei mesi, e siamo giungendo alla novella scadenza, ad inizio marzo) e la Direzione Generale Cinema del Mibac è in stato di sospensione da quasi due mesi (in assenza di nomina della nuova guida).

Partiamo dal Mibac. Gli aspetti formali restano avvolti nel mistero (gli appassionati della materia consultano quotidianamente la sezione “atti a firma del Ministro”, sul sito web del Mibac), le bocche restano cucite (fatta salva la Sottosegretaria leghista Lucia Borgonzoni), e martedì 5 febbraio un folto gruppo di associazioni del settore cinematografico, giunti a comprensibile saturazione, hanno indirizzato una lettera aperta “unitaria” al Ministro grillino Alberto Bonisoli, per sollecitare la nomina del Direttore Generale del Cinema del Ministero dei Beni ed Attività Culturali: in effetti, come abbiamo più volte scritto su queste colonne (vedi, da ultimo, “Key4biz” del 19 gennaio 2019, “La situazione ‘statico stagnante’ di Rai e Ministero della Cultura”), il contratto di Nicola Borrelli, da dieci anni alla guida della Dg Cinema, ha avuto termine il 21 dicembre 2018, e spettava al Ministro, da allora, decidere se procedere al rinnovo dell’incarico o mettere in atto un avvicendamento. Lunedì 4 febbraio, sono scaduti anche i 45 giorni di “prorogatio” – limitata all’ordinaria amministrazione – previsti in questi casi. Dal 5 febbraio, la Dg Cinema è senza “capo”.

Venerdì scorso 1° febbraio, il qualificato (anche se un po’ clandestino) settimanale “Odeon” ha pubblicato un’intervista alla Sottosegretaria Lucia Borgonzoni, curata dall’attento collega Andrea Dusio: nell’economia di quell’articolo, si legge (a domanda risponde) testualmente: “Borrelli? Per me, dovrebbe restare”. L’iperattiva Sottosegretaria (che ha la delega per cinema e audiovisivo) precisa: “il direttore generale, per me, dovrebbe rimanere. La firma della sua conferma, però, ancora non c’è.  È stato chiesto un segnale di cambiamento, ma, in questo caso specifico, credo che occorra considerare la serie di novità della riforma, con i decreti che in parte vanno modificati. Una volta che li si è testati sul campo hanno mostrato i loro limiti, alcuni si sono rivelati dei meri esercizi di stile. Sarebbe dunque un enorme problema cambiare diretto-re generale, vorrebbe dire ripartire da zero, perché un dirigente di nuova nomina dovrebbe riprendere da capo in mano tutti i testi, allungando a dismisura i tempi di attuazione”. Una esplicita presa di posizione, un “assist” evidente e forte. Che conferma la tensione in atto tra Ministro e Sottosegretaria, che si colloca – in miniatura – nell’economia complessiva della dialettica tra Movimento 5 Stelle e Lega Salvini alla guida del Paese.

Così venerdì scorso la Sottosegreteria. E ieri martedì 15 associazioni del settore hanno rivolto un appello “unitario” al Ministro (chissà perché non anche alla Sottosegretaria). L’incipit recita “a nome di tutta la filiera del cinema e dell’audiovisivo”, ovvero “creazione, produzione, distribuzione, esercizio cinematografico, distribuzione internazionale e promozione, festival, cineteche, archivi”, anche se si nota che i firmatari non rappresentano proprio tutte le anime del settore (ovvero della “filiera”). Tra gli altri, non firmano l’associazione degli sceneggiatori Writers Guild Italia (Wgi) e la Fidac, la federazione delle associazioni delle categorie professionali e tecniche del cinema… Non coinvolte oppure dissidenti?!

Secondo i firmatari, “il settore si sta fermando” e si sta venendo a determinare “il progressivo blocco di tutte le attività”. Specificamente, viene lamentato che la sospensione in atto dal 21 dicembre, ha bloccato: le istanze di credito di imposta su opere già completate e in corso di realizzazione; i bandi per i “contributi selettivi”; i bandi per la “promozione” (festival, rassegne e premi); il completamento del processo di definizione dei contributi automatici; l’erogazione dei contributi per l’attività dell’esercizio d’essai; le pratiche di erogazione di risorse assegnate a valere sui piani straordinari…

Martedì stesso – quasi a mo’ di reazione rispetto alla “lettera unitaria”?! – ha iniziato a circolare la voce che il Ministro avrebbe apposto la propria firma su un decreto di nomina di un dirigente ben lontano da Roma (nato a Torino, buona parte della sua attività professionale si è svolto in quelle lande) e non granché conosciuto nell’ambiente “cinematografaro” romano… Si tratta di Mario Turetta (classe 1958), laureato in sociologia, giornalista, e finanche Grande Ufficiale al Merito della Repubblica: un curriculum variegato e ricco. Dal 1987 al 1994, Segretario Generale della Fondazione Rosselli (per decenni famoso centro di ricerca “bi-partisan”, fondato da personalità come Giuliano Amato, fondazione poi caduta in disgrazia – è stata messa in liquidazione un paio di anni fa – per brutte vicende di mala gestione amministrativa attribuita all’ex Presidente Riccardo Viale), entra nel 1996 nella pubblica amministrazione, al Ministero del Lavoro. Carriera notevole e rapida: nel 2000, Direttore dell’Agenzia Piemonte Lavoro; nel 2002, dirigente al Mibac; nel 2004, Direttore Regionale per i Beni Culturali e Paesaggistici del Piemonte; nel 2007, nominato Dg Affari Generali, Bilancio, Risorse Umane e Formazione del Mibac; nel 2008, Direttore Generale del Mibac per la Lombardia; dal 2010 al 2013, del Piemonte; dal 2015, Direttore della Reggia di Venaria, incarico prestigioso, che è stato oggetto di non poche polemiche per una gestione ritenuta da alcuni eccessivamente autocratica… Molti lo ricordano, a Roma, come Capo della Segreteria del Ministro (2001-2005) Giuliano Urbani (co-fondatore, tra parentesi, della Rosselli), e ricordano anche che fu il successore di Urbani, Francesco Rutelli (2006-2008), a volerlo a Direttore degli Affari Generali e Bilancio e Risorse Umane e Formazione del Mibac, nel 2007… Interessante il titolo della tesi di Turetta: “L’efficacia della comunicazione nella leadership innovativa e nelle organizzazioni: scenari e prospettive”.

Se le nostre fonti sono attendibili (e riteniamo lo siano, nonostante le cortine fumogene), si tratterebbe di una piccola (grande) rivoluzione, perché un manager pubblico qualificato, che possiamo definire “estraneo” alle logiche complesse (e vischiose) del sistema cinematografico ed audiovisivo, verrebbe catapultato in un mondo che non conosce (o che comunque conosce poco). Se si volesse manifestare un segno di “cambiamento”, l’obiettivo sarebbe raggiunto. Quanto una simile nomina possa determinare un rallentamento ulteriore dell’applicazione della complicata legge Franceschini-Giacomelli sul cinema e l’audiovisivo (basti pensare ai suoi oltre 20 decreti attuativi) è arduo prevedere: se Turetta mostrerà una curva di apprendimento veloce, i problemi potrebbero essere pochi e risolvibili, ma su tutto incombono anche gli annunci – manifestati sia dal Ministro sia dalla Sottosegretaria, seppur con toni diversi (più decisi la leghista, più morbidi il grillino) – di “riforma” della “legge di riforma”. Lo scenario appare quindi incerto assai. E preoccupante.

Passiamo dal Collegio Romano a Viale Mazzini: incertezza grande anche in queste lande. Come abbiamo segnalato anche su queste colonne (vedi “Key4biz” del 25 gennaio, “Rai, al via il nuovo ‘piano industriale’ ma resta una discreta confusione”), giovedì 24 gennaio l’Amministratore Delegato Fabrizio Salini ha presentato le “linee-guida” del “piano industriale” della Rai, ed alcune indicazioni di massima sono state rese di pubblico dominio, a partire dalla volontà di orientare il “public service media” italico soprattutto sul prodotto. Ieri (5 febbraio), sulle colonne web del quotidiano “la Repubblica” l’accurato collega Aldo Fontanarosa ha pubblicato due articoli, dai quali si comprende che il giornalista ha avuto il privilegio di leggere lo schema di “piano industriale”, documento che resta assolutamente “segreto” (al punto tale che in Rai è stata diramata una segnalazione specifica, invitando tutti coloro che hanno accesso al documento – una trentina di persone, a parte i componenti del Consiglio di Amministrazione – a ben ricordarsi che si tratta di un testo “strictly confidential”). Gli osservatori più acuti hanno notato che l’articolo non è stato riproposto nell’edizione “su carta” del quotidiano (oggi mercoledì 6 febbraio), ed alcuni malignano che Fontanarosa possa essere caduto in un… “trappolone”. Una “gola profonda” aziendale sarebbe stata così scoperta, e quanto anticipato dal collega sarebbe soltanto in parte corrispondente al documento “autentico”. Abbiamo chiesto conferma (ovvero se esistesse una posizione aziendale rispetto all’articolo di Fontanarosa) al Capo Ufficio Stampa Claudia Mazzola ed al Direttore della Comunicazione Rai Giovanni Parapini  ed entrambi ci hanno cortesemente risposto che sono molto ma molto impegnati in quel del Festival di Sanremo

Siamo appassionati di “intelligence”, ma sappiamo che quel che accade al Settimo Piano di Viale Mazzini è degno di un mix tra thriller e telenovela, e che la nostra tesi – sull’esigenza di una trasparenza massima nella gestione del “psb” – non è condivisa dai più (certamente non da chi governa l’azienda, né da chi ne nomina i vertici).

Abbiamo avuto il privilegio di leggere un documento che potrebbe essere quello sottoposto al Cda di giovedì 24 febbraio: se fosse quello vero (autentico), grande sarebbe la delusione. È veramente molto ma molto generico (per usare un eufemismo), e non emerge nessuna particolare “svolta” minimamente significativa. Ma forse abbiamo acquisito una bozza… incompleta e parziale.

In questo documento, per capirci, non v’è nessuna delle notizie anticipate da Fontanarosa, a partire – esemplificativamente – dalla cessione di una quota del 14 % RaiWay, quotata in borsa dal 2014. E su questo tema delicato, si notano “movimenti” da parte dell’ex Dg Rai Luigi Gubitosi, da fine novembre alla guida di Telecom come Amministratore Delegato (un ruolo specifico – a cavallo tra tlc e tv – lo sta svolgendo Carlo Nardello, già Direttore Marketing e Strategie in Rai, e cooptato da Gubitosi in Telecom, con il pomposo incarico di “Chief Strategic Development and Transformation Office”…). Sicuramente il Governo vedrebbe di buon occhio una “rete internet” – cioè in fibra ottica – unica (che potrebbe nascere dall’alleanza tra Tim e Oper Fiber), e quindi è verosimile si possa lavorare ad un soggetto unitario anche in materia di impianti televisivi… Secondo alcuni si tratta di business assai sostanzioso, e gli appetiti (in primis, Elettronica Industriale di Mediaset) andrebbero ben oltre le logiche di “servizio pubblico” cui peraltro Rai dovrebbe attenersi…

Insomma, anche qui grande confusione regna. E ci piace qui segnalare che, sul fronte del concetto di “servizio pubblicoRai inteso al meglio (almeno dal punto di vista di chi redige queste noterelle), una presa di posizione, giovedì scorso (31 gennaio), manifestata dal Forum del Terzo Settore (che rappresenta 88 grandi reti nazionali che operano negli ambiti del volontariato, dell’associazionismo, della cooperazione sociale, della solidarietà internazionale, della finanza etica, del commercio equo e solidale) e dal Csvnet (che rappresenta la quasi totalità dei centri di servizio per il volontariato), nelle persone rispettivamente di Claudia Fiaschi (Portavoce del Forum) e di Stefano Tabò (Presidente del Csvnet): “all’inizio di marzo, scadrà la proroga concessa dal Ministro per lo Sviluppo Economico per la presentazione del piano industriale e del progetto operativo Rai: ad un anno dall’approvazione del Contratto di servizio Rai 2018-2022, pubblicato in Gazzetta Ufficiale il 7 marzo 2018. Una delle annunciate novità fu quella di una ‘particolare attenzione alle offerte che favoriscano la coesione socialeNei principi generali del Contratto di Servizio, all’articolo 2, si parla della necessità ‘di raggiungere le diverse componenti della società, prestando attenzione alla sua articolata composizione in termini di genere, generazioni, appartenenza etnica, culturale e religiosa, nonché alle minoranze e alle persone con disabilità, al fine di favorire lo sviluppo di una società inclusiva, equa, solidale e rispettosa delle diversità e di promuovere, mediante appositi programmi ed iniziative, la partecipazione alla vita democratica.’. È quindi fondamentale garantire l’impegno perché tutto questo venga effettivamente soddisfatto”.

Forum e Csvnet sostengono, giustamente, che “l’azienda pubblica è centrale per la promozione dei principi di solidarietà”.

In verità, purtroppo, da quanto è dato sapere, al Settimo Piano, la questione non è ritenuta esattamente tra le priorità, né dal Presidente Marcello Foa né dall’Amministratore Delegato Fabrizio Salini. E ciò non è cosa buona e giusta…

Clicca qui, per leggere la “lettera unitaria” indirizzata il 5 febbraio 2019 al Ministro Alberto Bonisoli (Mibac), firmata da 100autori, Acec, Afic, Agici, Anac, Anec, Anem, Anica, Apt, Asifa, Cartoon Italia, Cna, Doc/it, Fice, Unefa.

Clicca qui, per leggere l’ “appello” manifestato da Forum del Terzo Settore e Csvnet affinché il Contratto di Servizio assolva gli obblighi della coesione sociale, il 28 gennaio 2019.

Exit mobile version